Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28567 del 18/10/2021

Cassazione civile sez. I, 18/10/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 18/10/2021), n.28567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4875/2016 proposto da:

Q.A.A.F., elettivamente domiciliato in

Roma, Via Barnaba Tortolini, 34, presso lo studio degli Avvocati

Nicolò Paoletti, e Ginevra Paoletti, che lo rappresentano e

difendono per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente e controricorrente –

contro

Università degli Studi di Reggio Calabria, in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge

dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma,

Via dei Portoghesi, 12 domicilia;

– ricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 74/2015,

depositata il 23/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/05/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Q.F., con citazione notificata in data 2-9 giugno 1996, conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria l’Università degli Studi di Reggio Calabria e la ISPEDIL S.p.A., chiedendo la determinazione – della giusta indennità di espropriazione e di occupazione in relazione ad alcuni terreni di sua proprietà, siti in Reggio Calabria, oggetto di procedura ablativa per la realizzazione di una nuova sede universitaria.

1.1. Con Decreti Prefettizi nn. 199 e 8, rispettivamente del 3 maggio 1993 e del 17 gennaio 1995, la concessionaria dei lavori aveva occupato in via temporanea e d’urgenza un’area di proprietà dell’attore, estesa mq 2.641, ed una ulteriore area, di mq. 478, e che con Decreto Prefettizio 27 marzo 1998, n. 318, veniva pronunciata l’espropriazione in favore dell’Università degli Studi di Reggio Calabria di complessivi mq. 3.640 del fondo e determinata una indennità di esproprio di Lire 36.400.000, pari a Lire 10.000 al mq., oltre a quella di occupazione.

1.2. La Corte di appello, all’esito di consulenza tecnica di ufficio, con sentenza n. 11 del 10 febbraio 2001, dichiarata la legittimazione passiva della sola Università degli Studi di Reggio Calabria, quantificava l’indennità di esproprio – determinato il valore venale del terreno espropriato in Lire 618.000.000 pari a Lire 170.000 al mq, secondo i criteri riduttivi di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis – in Lire 309.503.740, oltre a Lire 11.400.000 per i fabbricati insistenti sui terreni e l’indennità di occupazione.

2. Su ricorso dell’Università degli Studi di Reggio Calabria, la Corte di cassazione con sentenza n. 23028 del 9 dicembre 2004, in accoglimento del secondo dei motivi del ricorso principale, cassava l’impugnata sentenza per avere liquidato l’indennità in forza della sola edificabilità di fatto, in violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis e rinviava la causa davanti alla Corte di appello di Catanzaro perché applicasse ai terreni espropriati il sistema di determinazione delle indennità espropriative proprio delle aree non edificabili e, in accoglimento del ricorso incidentale proposto dal signor Q., anche per la determinazione dell’indennizzo da perdita di valore del fondo residuo.

3. Nel corso del giudizio di rinvio, riassunto dal signor Q.A.A.F., quale erede di F., nelle more deceduto, dopo la prima consulenza d’ufficio che aveva determinato l’indennità di esproprio secondo il valore agricolo medio (VAM), in seguito alla sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, riconvocato, il nominato tecnico determinava il valore di mercato dei beni, in applicazione del criterio sintetico-comparativo di stima, in Lire 45.000 al mq (pari ad Euro 23,24) alla data del decreto di esproprio e, quindi, complessivamente in Euro 90.483,25.

Detto valore veniva ripreso dalla Corte di appello che, con sentenza n. 74 del 2015, quantificava: l’indennità di esproprio in Euro 90.483,25, per terreni e fabbricati, oltre interessi dal 27 marzo 1998; l’indennità di occupazione in Euro 32.282,49, dal 21 luglio 1993 al 27 marzo 1998; l’indennità di occupazione dal 9 marzo 1995 al 27 marzo 1998 per il terreno esteso mq. 478, in Euro 2.704,20; il valore del terreno residuo, in Euro 69.895,98; il tutto oltre interessi.

3. Q.A.F. e l’Università degli Studi di Reggio Calabria hanno proposto distinti ricorsi per la cassazione della sentenza di appello affidando gli articolati mezzi, rispettivamente, a quattro ed otto motivi.

Il signor Q. ha depositato controricorso al ricorso avversario e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Q.A.A.F. articola quattro motivi di ricorso.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancanza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello si era limitata a trascrivere le conclusioni della “integrazione della relazione tecnica d’ufficio” depositata il 24 settembre 2012 senza indicare le ragioni per le quali aveva ritenuto fondate tali conclusioni e senza rispondere alle puntuali e circostanziate critiche mosse dal ricorrente alla relazione, ignorando, anche, la successiva relazione resa a chiarimenti dal consulente di ufficio il 21 gennaio 2014 in cui il nominato tecnico aveva concluso per un aumento del valore dei terreni stimati.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente fa Valere l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di appello aveva omesso di esaminare l’esatta ubicazione dei terreni di proprietà del ricorrente rispetto al centro della città di Reggio Calabria, anche rispetto ad altri terreni esaminati dal nominato tecnico ed aventi la medesima destinazione urbanistica, il cui valore era stato valutato in misura di gran lunga superiore.

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 42 Cost., L. n. 2359 del 1865, art. 39, art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello aveva liquidato una indennità di esproprio, e, quindi, quella di occupazione e l’indennizzo per il decremento del terreno residuo, in misura inferiore al valore venale del bene perché, nel dare applicazione al metodo sintetico-comparativo, non aveva tenuto conto delle caratteristiche concrete dei terreni e, in particolare, della loro conformazione, ubicazione nonché della presenza di opere di urbanizzazione e di collegamenti.

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 42 Cost., L. n. 2359 del 1865, art. 39, art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di appello non aveva tenuto conto che, al momento dell’adozione del decreto di esproprio, i terreni ablati costituivano “Zona bianca” e dovevano, come tali, essere valutati in base al criterio suppletivo dell’edificabilità di fatto.

Il Tar per la Calabria, Sezione distaccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 1301 del 2005, passata in giudicato, aveva accertato la natura espropriativa del vincolo, perché le delibere, con cui era stata adottata ed approvata la variante al PRG per i terreni, avevano previsto la localizzazione dell’area universitaria.

Pertanto si trattava non di una conformazione della proprietà in base a criteri generali e predeterminati, ma di una puntuale e specifica destinazione, collegata ad un interesse pubblico e, quindi, di un vincolo preordinato all’esproprio e soggetto a decadenza quinquennale.

Nell’atto di riassunzione il ricorrente aveva dedotto che lo stesso Comune di Reggio Calabria, con nota inviata all’Università di Reggio Calabria, aveva dichiarato che la destinazione impressa al terreno era corrispondente ad un vincolo di natura espropriativa. Il vincolo approvato nel 1990 era decaduto nel 1995 e quindi prima dell’approvazione del decreto di esproprio del 27 marzo 1998 e pertanto a detta data il terreno in questione rimaneva “zona bianca”, con la conseguenza che ne doveva essere valutata l’edificabilità di fatto.

L’esame della questione, quale “fatto decisivo”, non era stata operata dalla Corte d’appello risultando di tanto ostativa la sentenza di annullamento della Corte di cassazione n. 23028 del 2004 che – a fronte della decisione della Corte di appello di Reggio Calabria che aveva affermato l’edificabilità di fatto dei terreni in assenza del necessario requisito dell’edificabilità legale in violazione dell’allora vigente della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis – aveva affermato il principio per il quale, all’edificabilità di fatto residua, nel sistema di cui all’art. 5-bis, una funzione suppletiva e complementare, utilizzabile in assenza di pianificazione urbanistica o come apprezzamento delle specifiche caratteristiche dell’area legalmente edificabile.

Siffatto principio di diritto era venuto meno con la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5-bis, commi 3 e 4, cit. e con il primo le “ulteriori affermazioni contenute nella medesima sentenza… circa la pretesa natura conformativa del vincolo impresso dalle succitate deliberazioni ai terreni di cui si tratta, trattandosi di mere argomentazioni… (che) non costituivano, quindi, un principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio”, trattandosi di prescrizioni di “valore meramente orientativo” così restando il “giudice del rinvio (…) libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi” (pp. 20 e 21 ricorso).

2. L’Università degli Studi di Reggio Calabria articola otto motivi. 2.1. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 865 del 1971, artt. 16,17, come interpretati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2011, della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 40 e dell’art. 42 Cost., nonché dei criteri di determinazione dell’indennità di esproprio secondo il valore venale del bene.

La Corte di merito si era attenuta alla edificabilità di fatto e non alla edificabilità di diritto, tanto nella determinazione della indennità di esproprio che di quella per occupazione legittima. Poiché il terreno ricadeva in “Zona universitaria” relativa ad interventi finalizzati alla realizzazione dello scopo pubblicistico non poteva essere identificata con l’edilizia privata.

Perché una zona che imprime una destinazione a servizi di interesse collettivo possa considerarsi edificabile, non basta che si tratti di attività che potrebbero essere svolte astrattamente anche da soggetti privati in regime di convenzionamento, ma occorre una espressa previsione da parte del piano regolatore.

La destinazione di una zona ad edilizia scolastica è un vincolo a carattere conformativo che comporta l’inedificabilità, in quanto è servizio che prescinde le necessità delle singole zone ed è concepibile nella complessiva sistemazione del territorio.

L’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico connesso al perseguimento di un fine dello Stato.

Che il terreno avesse natura non edificatoria emergeva anche dalla relazione del c.t.u. che indicava la presenza di un agrumeto prima dell’esproprio e di impianti di irrigazione; il terreno doveva essere valutato secondo il valore venale agricolo in conformità alla qualificazione legale ed alle sue caratteristiche effettive.

La Corte di appello aveva applicato erroneamente coefficienti e comparato atti di cessione relativi a terreni del tutto diversi facenti parte del centro abitato.

2.2. Con il secondo e terzo motivo la “ricorrente deduce la ricorrente la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 865 del 1971, artt. 16,17, come interpretati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2011, del criterio del valore venale di cui della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 40 e dei criteri di determinazione dell’indennità di esproprio secondo il valore venale del bene per comparazione con beni non omogenei.

La ricorrente fa ancora valere l’erronea determinazione del valore venale dell’area agricola per comparazione di aree non omogenee e, richiamando la violazione delle norme indicate nel primo motivo, fa valere la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che impongono al giudice di decidere sugli elementi offerti dalle parti.

I giudici territoriali avevano applicato il metodo sintetico-comparativo, attribuendo ai beni da stimare il valore di immobili non omogenei quanto agli elementi materiali, quali natura, posizione e consistenza morfologica, e condizione giuridica.

I fondi utilizzati in comparazione, pur posti in zona universitaria perché ricadenti nell’area della facoltà di Architettura, rientravano, o ne costituivano limitazione, nell’area edificata della città di Reggio Calabria là dove, quello in esame era posto, invece, in zona isolata e molto periferica.

Il valore che la Corte di merito doveva utilizzare era quello di Lire 9.790 al mq. per l’indennità di esproprio, e in via derivativa, per quella relativa all’occupazione legittima.

2.4. Con il quarto motivo la ricorrente fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente e/o contraddittoria sulla utilizzabilità del criterio dell’edificabilità di fatto.

La sentenza (pp. 14 e 15), affetta da intima contraddittorietà, da una parte aveva escluso la rilevanza ai fini della stima della “edificabilità di fatto” per poi farvi espresso riferimento.

2.5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte di appello aveva sostenuto la natura omogenea dei terreni posti in comparazione dal consulente tecnico di ufficio senza dare conto di siffatta omogeneità, in difetto di dati relativi all’effettiva consistenza dei terreni.

2.6. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente denuncia l’erronea determinazione del valore venale dell’area residua secondo i criteri dell’edificabilità di fatto; la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 865 del 1971, artt. 16-17, come interpretati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2011, nonché del criterio del valore venale del bene L. n. 2359 del 1865, ex art. 39 e dei principi di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33,37 e 40.

La ricorrente fa, poi, valere la violazione e falsa applicazione delle norme sulle distanze legali in quanto erroneamente applicate a terreni non edificabili; la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 septies della Legge Urbanistica del 1942 come modificato dalla L. n. 765 del 1967, art. 19,D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 6,D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26; la nullità della sentenza per errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e la nullità assoluta della sentenza per carenza assoluta di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La sentenza quanto al decremento di valore del terreno residuo era viziata per violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40, applicabile ratione temporis, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57.

Il “giusto prezzo” era stato determinato secondo i criteri della edificabilità di fatto ed in contrasto con la destinazione legale del bene. La somma riconosciuta era abnorme perché il danno al terreno residuo era pari, quasi, allo stesso valore del bene espropriato.

Il terreno era stato erroneamente stimato come edificabile e le relative indennità di esproprio e di occupazione erano state quantificate in modo erroneo ed irragionevole.

Il fondo inizialmente unitario, secondo la Corte a seguito dell’esproprio sarebbe risultato diviso in due parti, poiché il terreno espropriato era posto al centro della più ampia estensione, ed aveva determinato la divisione del terreno residuo in due appezzamenti.

Il terreno residuo non era intercluso, erroneamente a quanto ritenuto e la Corte di merito non motivava sul punto. La sentenza richiamando la consulenza disposta proporzionava il valore del fondo relitto alle limitazioni imposte dalla distanza da mantenere rispetto alla pubblica strada in occasione di sfruttamento edilizio senza indicare però la strada e senza considerare che i limiti legali all’edificazione valgono per i terreni ricadenti in area edificabile.

3. I ricorsi vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c., perché hanno ad oggetto il medesimo titolo.

Il riferimento è alla sentenza di questa Corte, rubricata al n. 23028 del 2004 che cassando la precedente sentenza, la n. 11 del 2001, nel rinviare il giudizio davanti la Corte di appello di Catanzaro:

a) ha qualificato come conformativo, in quanto finalizzato alla realizzazione della destinazione universitaria della area, il vincolo di zonizzazione operato nella logica della ripartizione generale del territorio dagli strumenti urbanistici sull’area in cui insiste il terreno espropriato; b) ha escluso margine di applicabilità al cd. criterio della edificabilità di fatto, escludendo l’intervenuta decadenza per decorso del termine quinquennale di cui alla L. n. 1187 del 1968, art. 2; c) ha ritenuto il difetto di motivazione sulla indennità per perdita di valore del bene residuo, nel carattere parziale dell’esproprio.

4. I ricorsi quindi si prestano, nei loro articolati motivi, ad una unitaria valutazione nel preliminare ed assorbente rilievo da riconoscersi alla denunciata nullità della sentenza, ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente (primo motivo del ricorso Q.), nella dedotta sua incapacità, per il debito intersecarsi delle norme e dei principi di diritto a cui dare applicazione e degli esiti della disposta, in sede di rinvio, consulenza tecnica di ufficio, di dare conto delle ragioni dell’assunta decisione.

4.1. La struttura dell’adottata motivazione lascia distinguere al suo interno:

a) una prima parte, di natura assertiva, in cui convergono piane affermazioni di principio che nulla rendono in punto di specificità ed effettività delle ragioni della decisione, quali il “prudente apprezzamento” del giudice del merito che, nella volontà di fare proprie le conclusioni del nominato consulente tecnico di ufficio, può desumere “dall’analisi del mercato il valore commerciale attraverso il riferimento alle aree omogenee – in aderenza alla consulenza”, e tenendo “conto delle condizioni apprezzate dal mercato immobiliare che in base alla destinazione urbanistica della zona in cui l’immobile è compreso, possano incidere sulla edificabilità di fatto ed indurre alla determinazione del suo effettivo valore venale” (pp. 14 e 15 sentenza);

b) una seconda parte in cui, vengono menzionati operazioni e contenuti della relazione di c.t.u. per i passaggi rilevanti (atti comparativi di stima; destinazione urbanistica del terreno; data di adozione del decreto di esproprio cui riferire il valore di mercato; ubicazione del terreno espropriato rispetto agli altri assunti in comparazione);

c) una ultima parte in cui, all’esito delle sopra riportate premesse, il valore delle aree ablate viene determinato in Lire. 45.000/mq.

4.2. Nell’indicato costrutto si ha che, la Corte d’appello, nel richiamare le motivazioni della relazione tecnica d’ufficio nella parte in cui questa fa riferimento “agli atti comparativi trasmessi dalle parti e di quanto su di essi dedotto” (p. 15 sentenza che riporta p. 16 della relazione), non si confronta con le articolate contestazioni portate alla c.t.u. dalle parti che, ignorate dall’ausiliare, non ricevono risposta neppure in sentenza, il tutto ad integrazione di una motivazione piena, diretta a dar conto, nel contraddittorio tra le parti, del criterio di stima sintetico-comparativo prescelto ai fini di determinazione del valore di mercato delle aree ablate e, quindi, della indennità di esproprio.

Con allegazione piena, rispettosa del canone dell’autosufficienza, il ricorrente richiama i contenuti delle note depositate alle udienze dinanzi alla Corte di merito del 4 dicembre 2012 e del 5 febbraio 2013 – reiterate nei loro contenuti nella comparsa conclusionale depositata il 3 maggio 2014 – in cui contesta la scelta del c.t.u. di escludere alcuni documenti nella individuazione dei terreni da porre in comparazione e, ancora, l’operato utilizzo, in raffronto e a definizione del richiesto valore di mercato, di una stima effettuata in distinta procedura ablativa, diversa per ubicazione dei beni e loro caratteristiche fisiche ed urbanistiche (pp. 11 -13 ricorso).

I termini di raffronto obliterati sono quelli su cui la giurisprudenza di questa Corte ha dato definizione alla composita nozione della edificabilità legale in cui concorrono, quanto ai beni ablati, con le previsioni degli strumenti urbanistici, le caratteristiche di fatto delle aree espropriate.

4.3. Come da tempo chiarito da questa Corte, in materia di indennità di esproprio, il criterio cd. sintetico-comparativo si risolve nell’attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili “omogenei”, con riferimento non solo agli elementi materiali (quali la natura, la posizione o la consistenza morfologica), ma anche alla loro condizione giuridica urbanistica all’epoca del decreto ablativo, sicché il giudice per applicare correttamente detto criterio deve indicare gli elementi di comparazione utilizzati e documentarne la rappresentatività in riferimento ad immobili con caratteristiche analoghe a quello espropriato (ex multis: Cass. 31/12/2019, n. 34743).

4.4. Fermo l’indicato principio a definizione del criterio di stima del terreno ablato e, in via consequenziale, della relativa posta indennitaria, in punto di motivazione, ancora si osserva.

Là dove in materia di indennità di esproprio la decisione sia stata adottata “per relationem” alle conclusioni del nominato tecnico di ufficio e l’ausiliare abbia obliterato di fornire risposta alle articolate contestazioni difensive sui presupposti dell’adottato criterio di stima (individuazione degli atti comparativi nella ritenuta omogeneità dei beni in valutazione quanto ad ubicazione e connotazioni in fatto integrate dalle condizioni dei beni in confronto, fisiche – consistenza dei terreni perché pianeggianti o impervi e quindi facilmente accessibili o meno – e urbanistiche -presenza di opere di servizio quali rete idrica, fognaria ed illuminazione pubblica), la motivazione può dirsi solo “apparente”, perché non capace di dare conto di un percorso logico diretto a sostenere la decisione.

4.5. Questa Corte ha in più occasioni affermato che, nel caso in cui il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, egli non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni. L’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo dell’elaborato, anche “per relationem”, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (Cass. 06/05/2021, n. 11917; Cass. 11/06/2018, n. 15147; Cass. 21/11/2016, n. 23637) e, attraverso opportuni richiami, lasciare desumere che le contrarie deduzioni delle parti sono state ritualmente disattese (vd. Cass. 09/06/1998, n. 5677; Cass. 02/02/2015, n. 1815).

Tanto non può aversi, però, nell’ipotesi in cui a venire in rilievo, per l’adottata tecnica della motivazione, sia la mancata risposta alle deduzioni difensive delle parti che, obliterate dal consulente d’ufficio nella propria relazione, vengano, per l’operato richiamo, ignorate dal giudice.

Quando siano state sollevate dalle parti censure dettagliate e non generiche alla c.t.u., il giudice del merito ha l’obbligo di fornire una precisa risposta che, correlata alla specificità della critica, dia conto della scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio con una più puntuale motivazione.

Là dove il giudice contravvenga all’indicato canone, la motivazione è apparente, nella incapacità della relatio alle conclusioni del nominato tecnico di dare canto delle ragioni del percorso logico osservato, per inosservanza dell’obbligo, imposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione (vd. Cass. 25/02/2014, n. 4448 e Cass. 19/06/2015, n. 12703, Cass. 09/10/2017, n. 23594).

4.6. In accoglimento del primo motivo del ricorso proposto da Q.A.A.F., assorbiti tutti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà, anche, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021

 

 

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