Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28567 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 15/12/2020), n.28567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11089-2012 proposto da:

CENTRO LIVORNESE RECUPERO INERTI SRL, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato

GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta e, difende unitamente

all’avvocato LAURA FORMICHINI;

– ricorrente

contro

REGIONE TOSCANA, DIREZIONE GENERALE BILANCIO E FINANZE SEZ. RIFIUTI,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BARBERINI N. 12, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO CECCHETTI, rappresentato e difeso

dagli avvocati LUCIA BORA, ARIANNA PAOLETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2011 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 16/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Centro Livornese Recupero Inerti S.r.l. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze l’atto di contestazione n. (OMISSIS), con cui veniva accertato dalla Regione Toscana l’abbandono di rifiuti speciali inerti in (OMISSIS) ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui alla L.R. n. 60 del 1996, art. 16, e D.M. 18 luglio 1996, All. 4, intimando alla ricorrente il pagamento della somma di Euro 19.877,60, quantificata moltiplicando l’aliquota prevista per il quantitativo di rifiuti rinvenuto e triplicata a titolo di sanzione.

In data 9 gennaio 2002 il Nucleo Investigativo Polizia Ambientale e Forestale del Corpo Forestale dello Stato aveva sequestrato un quantitativo di circa 2000 mc di rifiuti inerti rinvenuti al di fuori dell’area individuata nell’autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Livorno alla società contribuente, per il recupero, lo stoccaggio e il trattamento di rifiuti.

L’adita Commissione, con sentenza n. 95/19/2008, rigettava il ricorso. La contribuente proponeva appello, ritenendo l’inapplicabilità del DM 18 luglio 1996, atteso che nella specie non si trattava di abbandono incontrollato di rifiuti, ma di una messa in riserva attesa la tipologia dell’attività imprenditoriale svolta.

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con sentenza n. 6/16/11, rigettava l’appello, ritenendo sussistente l’illecito accertato anche sul piano tributario, sicchè la Regione Toscana aveva correttamente applicato la sanzione prevista per abbandono di rifiuti, essendo irrilevante il proposito coltivato, dall’azienda di riutilizzare i materiali, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’illecito la collocazione dei medesimi al di fuori dell’ambito coperto dal procedimento autorizzativo. I giudici di appello, inoltre, ritenevano corretto il metodo di calcolo della sanzione in relazione al quantitativo di rifiuti depositati, effettuato secondo i criteri di cui alla L.R. n. 60 del 1996, art.16 comma 6.

Centro Livornese Recupero Inerti S.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo un solo motivo. Regione Toscana si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

l. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o comunque insufficiente, contraddittoria motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio. La ricorrente lamenta che la decisione impugnata risulterebbe contraddittoria laddove ricostruisce il momento storico in cui si sono verificati i fatti per cui è causa. I giudici di appello ricercano la qualificazione giuridica del materiale trovato dalla Guardia Forestale attraverso una ricostruzione della successione legislativa in tema di terra e rocce da scavo, cercando di supplire ad una carenza probatoria degli accertamenti prodromici alla emanazione della sanzione. La classificazione di tale materiale come terra e roccia da scavo sarebbe desumibile solo ed esclusivamente dagli accertamenti che sul sito sono stati effettuati dal NOE di (OMISSIS), accertamenti che hanno generato il procedimento penale n. (OMISSIS) del 2007 riguardante proprio il materiale oggetto di sequestro e definito con sentenza passata in giudicato n. (OMISSIS) del 2009 del Tribunale di Livorno, con cui è stato assolto il legale rappresentante della società contribuente sull’assunto che le terre e rocce da scavo rinvenute nel sito del sig. A.G. non rappresentassero rifiuti. Sarebbe evidente la contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato proprio nella parte in cui si ravviserebbe la mancanza di una specifica autorizzazione prefettizia assolutamente estranea alla fattispecie di reato di abbandono di rifiuti. Gli Agenti accertatori, inoltre, si sarebbero limitati esclusivamente ad indicare dati approssimativi che dall’ente erogante sono stati presi come dati certi ed incontrovertibili, mentre la normativa richiamata nella motivazione della pronuncia impugnata, al fine di suffragare le quantificazioni operate dall’ente erogante, apparirebbe priva di qualsiasi logica giuridica. Nella specie, inoltre, la base imponibile sarebbe stata ricostruita in maniera totalmente approssimativa con formule di calcolo del volume assolutamente non conferenti. I giudici del gravame non solo non si sarebbero espressi in merito, ma avrebbero richiamato articoli inesistenti a supporto della regolare applicazione della sanzione atteso che la L.R. Toscana n. 60 del 1996, art. 16, non ripoterebbe il comma 6, ma si limiterebbe al comma 4.

2. Il ricorso non è fondato e va rigettato, per i principi di seguito enunciati.

2.1. Non è contestato che in data 9.1.2002 gli Agenti del Corpo Forestale dello Stato – Coordinamento Provinciale di (OMISSIS) – N. I.P.A.F. disponevano il sequestro di circa 2000 mc. di rifiuti, ravvisando un deposito incontrollato sul suolo di rifiuti inerti, e che a seguito della segnalazione, con atto di contestazione n. (OMISSIS), veniva intimato il pagamento della somma di Euro 19.877,60.

La contribuente con la proposta censura, deduce la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento a profili che, nello sviluppo illustrativo delle doglianze, predicano anche violazione di legge.

Ne consegue che l’esame delle questioni, anche sotto tale profilo, non può prescindere dalla corretta interpretazione delle disposizioni normative applicabili alla fattispecie in esame.

La società contesta la legittimità del provvedimento impugnato ritenendo non applicabile il D.M. 18 luglio 1996, al caso di specie, in quanto il materiale rivenuto con terra e roccia da scavo non costituirebbe rifiuto sulla base del D. Ronchi, art. 8, comma 1, lett. f bis, della L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 17, secondo cui le terre e le rocce andrebbero escluse dal novero dei rifiuti, anche se contaminate da inquinanti, oltre al fatto che nella specie non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione prefettizia.

2.2. La disciplina dei rifiuti solidi urbani è stata innovata dall’approvazione del cd. D. Ronchi (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) che all’art. 6, stabiliva che si intende per rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”; le tre attività alternativamente previste in capo al detentore sono state oggetto d’intervento d’interpretazione autentica da parte del legislatore, con il D.Lgs. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14. Il citato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, in particolare, al comma 3, lett. b), qualificava come rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonchè i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo”. Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 2, lett. e), escludeva, peraltro, nella sua originaria formulazione dalla categoria dei rifiuti “i materiali non pericolosi che derivano dall’attività di scavo”, ma, a seguito di osservazioni al cd. D. Ronchi di cui alla nota della Commissione Europea del 29 settembre 1997, n. 6465, con il D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389, art. 1, comma 9, fu disposta l’abrogazione del citato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 2. Successivamente, con la L. 23 marzo 2001, n. 93, art. 10, fu modificato lo stesso D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, disciplinante le ipotesi di esclusione dall’applicazione della precetta normativa, aggiungendosi tra queste, con l’inserzione della lett. f – bis, dopo la lett. f), quella riferita alle “terre e rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti”. Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 3, lett. b), e il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, lett. f – bis), sono stati, quindi, oggetto d’interpretazione autentica dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, art. 1, commi 17, 18, e 19, quale modificata dalla L. 31 ottobre 2003, n. 306, art. 23. Il comma 17, in particolare dispone: “Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 3, lett. b), ed il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, lett. f – bis), si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti da attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA (Vantazione di impatto ambientale) “ovvero, qualora non sottoposto a VIA secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA” (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) “semprechè la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti”.

Il comma 18: “Il rispetto dei minimi di cui al comma 17, può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dal D.M. ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, allegato 1, tabella 1, colonna B, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore”. Comma 19: “Per i materiali di cui al comma 17, si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinanti anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriate, punte sia progettualmente previsto l’utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonchè la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell’ARPA, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18, e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazlone ambientale del territorio interessato. Qualora i materiali di cui al comma 17, siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utitizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione”. Il D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23 octies, convertito, con modificazioni nella L. 27 febbraio 2004, n. 47, ha poi stabilito che la L. 31 ottobre 2003, n. 306, art. 23, si applica ai lavori in corso alla data del 30 novembre 2003 a decorrere dal 31 dicembre 2004″.

Nel caso in esame, non è contestato che il Corpo Forestale dello Stato ha rinvenuto in data 9.1.2002 “un cumulo di rifiuti inerti” presso lo stabilimento della società contribuente.

Ciò premesso, secondo la succitata normativa d’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 3, lett. b), e del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, lett. f – bis), applicabili nei termini sopra precisati al presente giudizio, affinchè sia legittimamente esclusa la categoria di rifiuti a terre e rocce da scavo debbono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’esistenza di un progetto che autorizzi l’utilizzo (cioè il reimpiego) del materiate prodotto, con indicazione dei quantitativi necessari per la realizzazione dell’opera; b) l’esistenza dell’autorizzazione del progetto da patte dell’autorità competente.

2.3. Il giudice del merito, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, non ha rilevato la ricorrenza nella fattispecie dei predetti requisiti, circostanza neppure contestata dalla ricorrente, la quale ha, invece, dedotto che l’autorizzazione del progetto non fosse necessaria. Spettava, infatti, alla contribuente, trattandosi di prova relativa a causa di esclusione dell’applicazione di una sanzione, provare l’effettivo riutilizzo dei materiali, secondo le modalità previste dalle disposizioni sopra precisate, non essendo sufficiente esprimere l’intenzione di riutilizzarli (v. anche Cass. n. 13115 del 2012).

Gli enunciati principi sono stati precisati da questa Corte anche con riferimento all’applicabilità del tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi (ed. ecotassa), ed in particolare affermando che: “Ai fini dell’applicabilità alle terre e rocce da scavo del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (ed. ecotasse), istituito dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 24 e ss., il riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente, nella disciplina “ratione temporis” applicabile per attività svolte negli anni dal 2000 al 2004 (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 8, comma 1, lett. f – bis, così come interpretato autenticamente dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, art. 1, commi 17, 18 e 19), opera nel senso che: “a) spetta all’Amministrazione, trattandosi di prova relativa all’esistenza del presupposto per la legittimità dell’imposizione, provare le condizioni per la sussistenza della qualifica di rifiuto, e, quindi, che il detentore si “disfi”, “abbia intenzione di disfarsi”, o “abbia l’obbligo di disfarsi” dei materiale; b) spetta al contribuente, trattandosi di prova relativa ad una causa di esenzione o di esclusione da una determinato tributo, provare l’effettivo riutilizzo dei materiali secondo un progetto ambientalmente compatibile; c) spetta all’Amministrazione, trattandosi di prova relativa alle ragioni di esclusione della deroga al normale regime dei rifiuti, provare l’esistenza di un grado di inquinamento dei materiali superiore ai parametri di legge che ne impedisca il riutilizzo (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva escluso la natura di rifiuto nel caso di terra e rocce da scavo, derivanti dai lavori per la realizzazione del sistema dell’alta velocità, ed oggetto di “ricollocazione autorizzata” in discarica, essendo possibile configurabile l’esercizio di una attività costituente contemporaneamente stoccaggio di materiali e rimodellamento paesaggistico)” (Cass. n. 13465 del 2012).

Tenuto conto dei principi espressi, nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata, non ravvisandosi alcuna carenza motivazionale nello sviluppo logico delle argomentazioni espresse con riferimento alla ritenuta legittimità della contestazione di deposito incontrollato di rifiuti, e quindi della applicazione della relativa sanzione. Le critiche proposte sono, altresì, inammissibili atteso che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, o di vizio di motivazione, mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata correttamente dal giudice del merito (Cass. SS. UU. n. 34476 del 2019).

Sono, inoltre, all’evidenza inammissibili le ulteriori censure espresse con riferimento alla determinazione del quantum della sanzione, in quanto generiche e non adeguatamente illustrate sotto profilo dell’autosufficienza, sicchè viziate da difetto di specificità.

3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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