Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28566 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 06/11/2019), n.28566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 188 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore

generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Global Speed di G.B. s.a.s., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Filippo Bruno e Anselmo Carlevaro, elettivamente domiciliata in

Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 8, presso lo studio di quest’ultimo

difensore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Liguria, n. 655/4/2015, depositata in data 4 giugno

2015;

udita la relazione svolta in camera di consiglio del 9 aprile 2019

dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

che:

dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti di Zelda Distribution s.r.l. (quale rappresentante fiscale della Mirage Service Ltd) e Global Speed di G.B. s.a.s. (quale dichiarante doganale), un avviso di accertamento e un atto di contestazione delle sanzioni, avendo accertato che il valore dichiarato delle merci importate, consistente in una partita di sedili per autobus, non comprendeva quello dei tessuti utilizzati nella produzione, sicchè richiedeva il pagamento del maggior dazio doganale dovuto e dell’iva all’importazione; avverso i suddetti atti impositivi le contribuenti avevano proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Genova; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello Global Speed di G.B. s.a.s., nel contraddittorio con l’Agenzia delle dogane;

la Commissione tributaria regionale della Liguria ha accolto l’appello, annullando l’avviso di accertamento, in particolare ha ritenuto che: non era fondato il motivo di appello relativo alla ritenuta violazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, atteso che l’avviso di accertamento era motivato per relationem al processo verbale di constatazione, notificato alla ricorrente, sicchè questa era consapevole delle ragioni della pretesa; era fondato il motivo di appello relativo alla non corretta contestazione della maggiore iva all’importazione alla Global Speed di G.B. s.a.s., attesa la qualità di spedizioniere doganale della medesima società, tenuto conto che nella fattispecie sussisteva una operazione doganale di immissione in libera pratica, sicchè tenuto al pagamento era solo il soggetto che aveva proceduto all’estrazione delle merci dal deposito; era infondato il motivo di appello relativo alla mancata instaurazione del contraddittorio preventivo; infine, era fondato il motivo di appello relativo alla non corretta determinazione del valore delle merci importate, avendo l’ufficio applicato l’art. 30, lett. c), CDC, senza tuttavia fare applicazione delle previsioni di cui all’art. 152 DAC e, quindi, senza avere compiuto le deduzioni previste dalla suddetta previsione normativa, sicchè l’imponibile risultava determinato in misura illegittima; venivano assorbiti gli ulteriori motivi di gravame;

avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle dogane ricorre con due motivi;

la società contribuente si è costituita depositando atto denominato “controricorso”;

Diritto

CONSIDERATO

che:

Sui motivi di ricorso principale

con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 30, par. 2, lett. c), del Regolamento Cee 12 ottobre 1992, n. 2913/1992 (CDC), degli artt. 152 e 181 bis del Regolamento Cee 2 luglio 1993, n. 2454/1993 (DAC), per avere ritenuto che le previsioni normative sopraindicate imponevano all’amministrazione doganale l’onere di provare tutti gli elementi utili ai fini della individuazione dei costi da dedurre dal valore della vendita accertato secondo il criterio di cui all’art. 30, par. 2, lett. c), CDC;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., e degli artt. 2697 e 2727, c.c., nonchè dell’art. 178 (DAC), per avere ritenuto che, non essendo stata fornita la prova degli importi da dedurre dal valore determinato ai sensi dell’art. 30, par. 2, lett. c), CDC, ne conseguiva la illegittimità della pretesa, mentre avrebbe dovuto ricalcolare l’importo effettivo effettuando lo scorporo delle voci di deduzione provate in giudizio, quindi il valore del dazio corrisposto; i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati;

la pronuncia censurata ha accertato che, nella fattispecie, sussistevano i fondati dubbi, ai sensi dell’art. 181 bis DAC, in forza dei quali l’amministrazione doganale aveva proceduto alla rideterminazione del valore della merce dichiarato in dogana, e, inoltre, che era corretta la determinazione del valore della merce secondo il criterio applicato di cui all’art. 30, par. 2, lett. c), DAC;

la questione, quindi, si sposta sul rispetto o meno della previsione di cui all’art. 152 DAC, secondo cui “Se le merci importate o merci importate identiche o similari sono vendute nella Comunità tal quali, il valore in dogana delle merci importate, determinato a norma dell’art. 30, paragrafo 2, lett. c), del codice, si basa sul prezzo unitario al quale sono vendute le merci importate o merci identiche o similari importate, nel quantitativo complessivo maggiore, al momento o pressappoco al momento dell’importazione delle merci oggetto della valutazione, a persone non legate alle persone da cui acquistano tali merci, previa deduzione dei seguenti elementi: i) le commissioni generalmente pagate o di cui si è convenuto il pagamento, oppure i margini generalmente praticati per utili e spese generali (compresi i costi di commercializzazione diretti e indiretti delle merci in questione) in rapporto alle vendite nella Comunità di merci importate della stessa natura o della stessa specie; il) le abituali spese di trasporto e di assicurazione e le spese connesse sostenute nella Comunità, e iii) dazi all’importazione ed altre imposte da pagare nella Comunità a motivo dell’importazione o della vendita delle merci”;

il giudice del gravame ha ritenuto che, poichè le suddette deduzioni non erano state applicate dall’amministrazione doganale nè la stessa aveva svolto particolari difese, ne conseguiva l’illegittimità della pretesa;

tuttavia, va evidenziato che, rispetto alla pretesa dell’amministrazione doganale di rideterminazione del valore di transazione della merce secondo il criterio di cui all’art. 30, par. 2, lett. c), cit., è onere della contribuente dedurre elementi di prova diretti a contrastare la correttezza della suddetta determinazione, in particolare la sussistenza di circostanze che avrebbero dovuto condurre alla deduzione dell’importo, secondo le fattispecie previste dall’art. 152, DAC, sopra citato;

ciò trova correlazione con la previsione di cui all’art. 178, par. 3, DAC, secondo “Se il valore in dogana delle merci in questione non può essere determinato a norma dell’art. 29 del codice, l’autorità doganale può rinunciare a richiedere una dichiarazione redatta secondo le modalità di cui al paragrafo 1. In tal caso, la persona di cui al paragrafo 2 è tenuta a fornire o a far fornire all’autorità doganale in questione le altre informazioni eventualmente richieste per la determinazione del valore in dogana a norma di un altro articolo del predetto codice; tali informazioni vengono fornite nella forma e con le modalità stabilite dall’autorità doganale”;

la suddetta previsione tiene conto del necessario raccordo tra il potere dell’amministrazione di procedere, sussistendo i fondati dubbi, alla rideterminazione del valore della merce secondo uno dei criteri di cui all’art. 30 CDC, e l’onere di allegazione, da parte della contribuente, di tutti gli elementi informativi necessari per la corretta determinazione del valore di transazione;

il mancato assolvimento del suddetto onere, ovvero, come sostenuto dalla controricorrente, la mancata specifica richiesta sul punto, in sede di contraddittorio preventivo, da parte dell’amministrazione doganale, implica che l’eventuale sussistenza di elementi di deduzione all’importo determinato a seguito del contraddittorio possa essere spostato in sede processuale, con il correlativo onere di prova a carico del contribuente che ritiene che l’importo debba essere ridotto secondo uno degli elementi indicati dall’art. 152, DAC, sopra citato;

peraltro, in questo contesto, va altresì aggiunto che è’ principio consolidato di questa Corte quello secondo cui “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, ultimo periodo, la pronuncia di una sentenza parziale solo sulran” o di una condanna generica” (Cass. civ., Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 29/01/2019) 22-03-2019, n. 8250);

pertanto, quando il giudice ravvisa l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle partì (Cass. n. 17072 del 2010), dando alla pretesa dell’amministrazione “un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria” (Cass. n. 1852 del 2008), oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentita al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo;

tali principi sono applicabili al caso di specie, in quanto il giudice del gravame ha ritenuto la legittimità del ricorso al criterio di determinazione del valore di transazione secondo il criterio di cui all’art. 30, par. 2, lett. c), CDC, ma ha poi ritenuto che la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di elementi di deduzione comportasse, di per sè, l’illegittimità dell’intera pretesa; Sui motivi di censura contenuti nel controricorso.

Con riferimento al contenuto del controricorso, va precisato che con lo stesso sono state proposte ragioni di censura alla sentenza che attengono a profili non esaminati in quanto assorbiti, nonchè sono riproposte questioni su cui la sentenza non si è pronunciata;

nonostante la mancata specifica indicazione, le ragioni di censura relative a questioni su cui la sentenza non si è pronunciata, neppure implicitamente, vanno considerate quali motivi di ricorso incidentale;

ciò precisato, con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza per errata motivazione sulla questione della violazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, per non avere esaminato la questione del vizio di legittimità dell’atto di accertamento che non indica i presupposti di diritto su cui si fonda la pretesa;

il motivo è inammissibile;

a prescindere dalla indubbia genericità della censura, il lamentato vizio di omessa pronuncia si scontra con la specifica motivazione della sentenza censurata che, invero, ha specificamente motivato sulle ragioni per le quali non sussisteva il lamentato vizio di motivazione dell’atto impugnato;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza per errata e/o insufficiente motivazione nonchè per violazione e/o errata applicazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente in ordine al mancato rispetto del contraddittorio preventivo, per avere erroneamente ritenuto che la società Zelda non aveva fornito la prova della veridicità dei prezzi dichiarati nel corso della procedura di cui all’art. 181 bis DAC;

il motivo è inammissibile;

lo stesso è proposto senza tenere in alcun modo in considerazione la ratio decidendi della pronuncia in esame;

la sentenza, in particolare, ha precisato che la odierna contribuente non aveva presentato, entro il termine assegnato, alcuna osservazione e/o considerazione, sicchè nessuna ragione di doglianza poteva dalla stessa essere, eventualmente, prospettata; con riferimento, infine, ai motivi di ricorso che la parte ritiene non esaminati in quanto ritenuti assorbiti, gli stessi sono inammissibili in questa sede, dovendo essere esaminati, sia sotto il profilo della ammissibilità che, eventualmente, della fondatezza, dal giudice del rinvio;

in conclusione, vanno accolti il primo e secondo motivo del ricorso principale, va rigettato il ricorso incidentale, e dichiarate inammissibili in questo giudizio le questioni. prospettate come motivi su questioni ritenute assorbite, con conseguente cassazione della pronuncia e rinvio alla Commissione tributaria regionale, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del presente giudizio. Si dà atto, atteso il rigetto del ricorso incidentale, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della controricorrente incidentale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, dichiara inammissibili in questo giudizio le questione prospettate come motivi su questioni ritenute assorbite, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della controricorrente incidentale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 6 novembre 2019

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