Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28559 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 06/11/2019), n.28559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15738-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.C., che si difende in giudizio di persona,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL PORTICO D’OTTAVIA N. 13,

presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO VENTURA, che e rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/2014 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 23/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato VENTURA che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. L’avvocato V.C. impugnava l’avviso di liquidazione con cui l’agenzia delle entrate, in riferimento al D.I. n. 1806 del 2009 emesso dal tribunale di Bari, aveva liquidato l’imposta fissa di registro ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 40 e dell’art. 8, lett. b, della tariffa, parte I, nonchè l’ulteriore imposta fissa per l’enunciazione del negozio sottostante di mandato d’opera professionale conferito dal cliente all’avvocato Ventura. Con l’avviso l’agenzia delle entrate aveva liquidato altresì l’imposta proporzionale del 3% sulle somme dovute a titolo di interessi di mora. Il ricorrente sosteneva che non era dovuta l’imposta per l’atto enunciato e neppure quella liquidata sulla somma dovuta a titolo di interessi di mora. La Commissione tributaria provinciale di Bari rigettava il ricorso. Proposto appello da parte del contribuente, la commissione tributaria regionale della Puglia lo accoglieva sul rilievo che per il decreto ingiuntivo di che trattasi andava applicata la sola imposta fissa e che l’avviso di liquidazione impugnato non era sufficientemente motivato.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a tre motivi. Il contribuente si è costituito in giudizio con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 22, 37 e 40 e dell’art. 8, lett. b, della tariffa, parte I. Sostiene che ai decreti ingiuntivi originati da fattura è applicabile l’imposta di registro in misura fissa, nonchè, per il principio dell’alternatività di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, una ulteriore tassa fissa per l’enunciazione del negozio sottostante quando l’atto enunciato, soggetto ad Iva, non sia stato già registrato. Ne consegue che il contratto di mandato relativo all’attività professionale di avvocato, in quanto enunciato nel decreto ingiuntivo, deve essere assoggettato a tassa fissa in quanto l’art. 8, comma 1, lett. b, della tariffa parte I dispone l’applicazione dell’aliquota proporzionale del 3% per la registrazione degli atti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori e l’art. 8 menzionato, nota II, con riferimento agli atti di cui al comma 1, lett. b, stabilisce il pagamento della tassa fissa per i casi in cui essi dispongano il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40. Alle disposizioni negoziali contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati, se enunciati in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, sono applicabili, per il disposto dell’art. 22, tutte le norme riguardanti l’imposta di registro. Sostiene inoltre la ricorrente che, con riguardo alla condanna al pagamento di somme dovute a titolo di interessi di mora per il ritardato pagamento, si applica l’imposta proporzionale di registro nella misura del 3% in quanto riconducibile al pagamento di somme come prevista dall’art. 8, comma 1, lett. b, della tariffa, parte I.

2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto controverso decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR, nell’affermare che l’ufficio si sarebbe limitato a indicare nell’avviso di liquidazione l’importo preteso di Euro 539 senza motivare in fatto e in diritto i presupposti alla base della rivendicata pretesa tributaria, dimostra di non aver di fatto esaminato le indicazioni contenute nell’avviso di liquidazione che recano la dettagliata descrizione della pretesa.

3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, norma che prevede che nell’avviso di liquidazione devono essere indicati gli estremi dell’atto da registrare o il fatto da denunciare e la somma da pagare sì che l’avviso di liquidazione è stato redatto nel pieno rispetto di detta norma.

4. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato nella parte in cui la ricorrente sostiene che andrebbe assoggettato a tassa fissa il contratto verbale di mandato professionale enunciato nel decreto ingiuntivo. Mette conto considerare che il decreto ingiuntivo è stato emesso sulla base del credito riveniente dalla prestazione di attività professionale svolta dall’avvocato V.C. ed esposto nella parcella vidimata dal consiglio dell’ordine. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, recita: “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69.

L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione.

Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita”.

Nel caso che occupa il contratto d’opera professionale, sulla base del quale l’avvocato svolge la propria attività nell’interesse del cliente, non viene menzionato ma costituisce solamente un implicito presupposto logico. Si deve invero considerare che, per potersi configurare la enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sè stante.

La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico. Mette conto, poi, considerare che, come già osservato da questa Corte (Cass. n. 481/2018 del 12.11.2017), nella presente fattispecie (a differenza ad es. di quelle assistite da fideiussione dove le obbligazioni sono duplici: quella del debitore principale e quella c.d. accessoria), l’obbligazione è unica, nascente dall’attività professionale svolta dal professionista (soggetta ad IVA) e per la quale è stata richiesta l’emissione del D.I., poi oggetto di tassazione.

Fondato è, invece, il motivo nella parte in cui si sostiene che è dovuta l’imposta proporzionale con riguardo alla condanna al pagamento di somme dovute a titolo di interessi di mora per il ritardato pagamento. Ed invero, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, le somme dovute a titolo di interessi moratori non concorrono alla formazione della base imponibile dell’IVA. Nè vale quanto affermato dal controricorrente, secondo cui si tratta non di interessi moratori ma di interessi legali cui non sarebbe riferibile la disposizione dell’art. 15 cit. poichè trattasi di interessi, ancorchè liquidati nella misura legale, dovuti a norma dell’art. 1224 c.c. per il ritardato pagamento della somma.

6. Il secondo motivo è inammissibile. Deve premettersi che la sentenza impugnata risulta emessa in data successiva al 12 settembre 2012, sicchè trova applicazione il nuovo dettato dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Proprio a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., ed al fine di chiarire la corretta esegesi della novella, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte che, con la sentenza del 7 aprile 2014, n. 8053, hanno ribadito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, ed è solo in tali ristretti limiti che può essere denunziata la violazione di legge, sotto il profilo della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Nella fattispecie, atteso il tenore della sentenza impugnata, deve escludersi che ricorra un’ipotesi di anomalia motivazionale riconducibile ad una delle fattispecie che, come sopra esposto, in base alla novella consentono alla Corte di sindacare la motivazione.

Infatti occorre altresì evidenziare che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”, e che pertanto nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 23678/2016; Cass. n. 8054/2014; Cass. n. 8053/14).

7. Il terzo motivo è fondato. Ciò in quanto nell’avviso di liquidazione, che la ricorrente ha trascritto nel ricorso in ottemperanza dell’onere dell’autosufficienza, risultano indicati gli estremi dell’atto da registrare, l’indicazione del negozio sottostante e degli interessi moratori pure assoggettati a tassazione nonchè la somma da pagare, così come prescritto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, u.c..

8. Vanno, dunque, accolti il primo motivo per quanto di ragione ed il terzo motivo; va poi dichiarato inammissibile il secondo. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e il ricorso originario del contribuente va parzialmente accolto dichiarando non dovuta l’imposta fissa di registro calcolata sull’atto enunciato.

Le spese processuali dell’intero giudizio si compensano in ragione della parziale reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione ed il terzo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso originario dichiarando non dovuta l’imposta fissa di registro calcolata sull’atto enunciato.

Compensa le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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