Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28545 del 20/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28545 Anno 2013
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 20/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

Emme Emme s.p.a., in persona del 1.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. Gianfranco
Vecchio, elett. dom. presso e nello studio dell’avv. Alessandro Riccioni, in Roma,
viale Bruno Buozzi n. 49, come da procura a margine dell’atto
-controricorrente con ricorso incidentale-

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per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di tutera
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 19 novembre
2013 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Federico Sorrentino,
che ha concluso per raccoglimento del ricorso principale e l’inammissibilità del
ricorso incidentale.

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Bari, 23.10.2008 che, in conferma della sentenza C.T.P. di Bari n.
218/08/2006, ebbe a rigettare l’appello dell’Ufficio, così ribadendo l’illegittimità
dell’atto impugnato dal contribuente, consistente nell’avviso di recupero del credito
d’imposta, previsto dall’art.8 della legge n.388 del 2000 per le aree svantaggiate e
fruito in compensazione per gli anni 2003 e 2004, in relazione ad investimenti
effettuati su due immobili condotti in locazione e destinati ad ospitare rispettive sedi
di esercizio dell’attività commerciale.
Ritenne a tal proposito la C.T.R., condividendo l’accertamento del primo giudice,
il valore funzionale delle spese contestate con gli altri beni facenti parte del
medesimo complesso aziendale, stante la connessione oggettiva con essi e la
strumentalità all’esercizio dell’attività economica. Osservarono in sentenza i giudici di
secondo grado che i lavori di ammodernamento e miglioramento degli elementi strutturali degli
immobili locati non rientravano tra i costi della manutenzione ordinaria imputati al
conto economico, bensì tra quelli capitalizzati da iscrivere nell’attivo dello stato
patrimoniale.
Il ricorso è affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la società
contribuente che ha altresì introdotto ricorso incidentale condizionato, sviluppato su
un unico motivo.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale, Agenzia delle Entrate ha dedotto, in
relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ., la violazione dell’art.8 della 1. n.388 del 2000,
avendo la C.T.R. travisato la ratio della norma agevolativa, intesa riduttivamente
come legittimante il credito d’imposta per il sol fatto della strumentalità dei beni
oggetto d’investimento, senza così valutarne la necessaria novità e suscettibilità di
ammortamento ex artt.67 e 68 TUIR e soprattutto la separabilità dai beni di terzi cui
accedono, siccome dotati di autonoma funzionalità.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di omessa motivazione su un punto di fatto
decisivo, in relazione all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ., avendo la C.T.R. omesso di
spiegare le ragioni per cui gli investimenti su beni di terzi erano dotati di autonoma
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estensore

A

ferro

uditi l’avvocato dello Stato Bruno Dettori e l’avv. Gianfranco Vecchio per il
ricorrente;

1. Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Già questa Corte ha statuito che, con
riguardo ad immobili preesistenti, “in tema di agevolckioni fiscali per le aree svantaggiate, l’ari’.
8 della legge n. 388 del 2000, nel riconoscere un credito di imposta per l’acquiskione di beni
strumentali “nuovi”, intende il requisito della novità in chiave economica, piuttosto che in termini
materiali, in quanto l’obiettivo perseguito dalla norma è quello di incentivare, in determinate zone
territoriali, le inkiative che apportino crescita della produzione e sviluppo economico”, precisandosi
che incombe “al soggetto che intende avvalersi del beneficio l’onere di fornire elementi sufficienti per
valutare, nel caso concreto, la novità dell’acquiskione.” (Cass. 1165/2010). La condizione
principale per il riconoscimento del beneficio è dunque l’attuazione di nuovi investimenti
nei territori legislativamente considerati, una peculiare qualità dell’operazione che
ricorre in modo espresso ai commi 1 e 1-bis e viene poi specificata al comma 2 del
medesimo art.8, ove si dà conto che essa consiste nelle acquiskioni di beni strumentali
nuovi di cui agli artt. 67-68 TUIR, esclusi i costi relativi a mobili e macchine ordinarie
d’ufficio. Proprio da tale sottolineatura, vincolante per l’interprete e da assumere con
portata immune da ermeneusi estensiva, come in generale proprio dei regimi
agevolativi (Cass. 5824/2012), la giurisprudenza di legittimità, con indirizzo che qui si
intende ribadire, ha statuito che “sono esclusi da tale agevolnione i beni non di proprietà
dell’impresa, ma oggetto di contratto di locnione, in quanto l’art. 68, ultimo comma, del d.P.R. n.
597 del 1973, fa riferimento, per determinare il limite di deducibilità dell’ammortamento, al costo
complessivo dei beni, e, quindi, implicitamente, al costo di acquisto, tanto più che il comma 7 dell’art.
8 della legge n. 388 del 2000 riconosce il beneficio espressamente per i soli beni acquistati in
locazione finanziaria per i quali non venga esercitato il riscatto.” (Cass. 21411/2012). A tale
conclusione può ancora giungersi laddove, come nella specie, non possano dirsi
rispecchiati requisiti di spesa incrementativa, cioè tale da innestarsi sul valore del
cespite cui le spese accedono ma con capacità di generare per il futuro ulteriori
benefici economici rispetto a quelli propri dell’assetto del bene al netto di tali spese e
sempre che tali costi siano misurabili in maniera attendibile.
2. Ritiene invero il Collegio che il riferimento nell’art.8, co.2 1.n.388/2000 agli artt.6768 TUIR (nel testo, ratione temporis vigente, anteriore alla disciplina vigente dal
1.1.2004) abbia essenzialmente il significato di rimando alla nozione di “beni materiali
strumentali per l’eserckio dell’impresa” ovvero di “beni immateriali” senza cioè che la
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estensore

funzionalità, dovendosi negare la correttezza del ricorso alla categoria della
riutilizzabilità dei costi sostenuti solo in ragione del vincolo dell’inalienabilità (legale)
quinquennale.
Con il terzo motivo si solleva il vizio di contraddittorietà della motivazione su
punto di fatto decisivo, ex art.360 n.5 cod.proc.civ., censurandosi la sentenza ove
ascrive a costi capitalizzati da iscrivere nell’attivo patrimoniale i lavori di
ammodernamento e miglioramento degli immobili locati.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, la società controticorrente
deduce il vizio di omessa pronuncia, ex artt.112 e 360 n.4 cod.proc.civ., quanto alla
richiesta, formulata in appello incidentale, di dichiarazione di nullità dell’atto
impositivo stesso per difetto di notifica, di motivazione e di allegazione dei
documenti essenziali.

3. La ratio del credito d’imposta in esame è altresì ben riepilogata ove questa Corte ha
puntualizzato che “in tema di agevolazioni fiscali per le aree svantaggiate, la legge 23 dicembre
2000, n. 388 è intesa a promuovere nuovi investimenti produttivi e la stessa lettera del suo art. 8, nel
riconoscere un credito di imposta per l’acquisizione di beni strumentali “nuovi”, palesa tale
fondamento: di conseguenza, la predetta agevolazione non può essere riconosciuta in presenza della
semplice variazione documentale dello “status” di un bene, già in proprietà del contribuente, trasferito
soltanto contabilmente dal patrimonio merci ai beni strumentali, senza alcuna forma di investimento e
senza che la trasformazione sia prospettata come un rinnovamento economico del bene, funzionale
all’incremento della produttività.” (Cass. 11224/2011). Ha errato dunque la C.T.R. nel
confondere la strumentalità dei beni oggetto d’investimento rispetto al complesso
aziendale su cui l’investimento stesso venne effettuato, assumendo che questa sola
caratteristica esaurisse la predetta nozione normativa, invece richiedente anche il
requisito della novità e dunque della tendenziale autonomia rispetto al bene (qui, di
terzi) delle spese incrementative che vi accedono e, per esse, delle nuove entità,
addizioni o qualità stabili da esso conseguite.
4. I due restanti motivi del ricorso principale sono peraltro inammissibili, contravvenendo
essi al principio per cui “in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di
motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare
chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art.
366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di
ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che
costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di
valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il
requisito di specificità del motivo ex art. 366 comma 1, n. 4 cod. proc. civ., ma assume l’autonoma
funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica
denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione
favorevole al ricorrente.” (Cass. 5858/2013).

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estensore chs.jn.ferro

regolazione nel TUIR, e ad altri fini, delle uscite per l’ammortamento dei beni
materiali o immateriali possa riflettersi in una più ampia ricomprensione tout court, nella
nozione di investimenti agevolabili per le aree svantaggiate, altresì delle “spese di
manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione” (art.67) o “dei diritti di
utilizzazione [o] concessione.” (art.68). Mentre pertanto la spesa capace di convertirsi in
credito d’imposta ai sensi dell’art.8 1. n.388/2000 è programmaticamente definita,
come visto, nella legge istitutiva dell’agevolazione, il rinvio da parte di quest’ultima al
TUIR opera solo al limitato scopo di permettere un censimento delle spese
incrementative, già definite come di necessità afferenti ad acquisti di beni strumentali
nuovi, avendo riguardo alla peculiare relazione che deve sussistere tra esse ed i beni
dell’impresa, appunto quelli materiali o immateriali per il suo esercizio, sulla base di
una nozione più ristretta di quella di spese ammortizzabili, per il cit. art.67 TUIR
idonee a sussumere anche le “spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e
trasformazione” e per l’art.68 TUIR “il costo dei diritti di utilizzo [o] di concessione”.

Conclusivamente, il ricorso principale è fondato e va accolto, con riguardo al primo
motivo, mentre sono inammissibili i restanti; il conseguente esame del ricorso
incidentale conduce invece al suo rigetto; ne deriva la cassazione della sentenza e, non
essendo necessari altri accertamenti di fatto, la decisione nel merito del ricorso
originario del contribuente, sul punto respinto. Le spese sono liquidate secondo il
criterio della soccombenza e come da dispositivo, quanto al giudizio di legittimità ed
invece integralmente compensate quanto al merito, tenuto conto della progressiva
definizione dell’indirizzo interpretativo qui applicato solo in epoche coeve o
successive all’instaurazione della controversia.

P.Q.M.
La Corte dichiara fondato ed accoglie il ricorso principale, quanto al primo
motivo, essendo inammissibili i restanti; rigetta il ricorso incidentale condizionato;
per effetto dell’accoglimento del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente; dichiara la
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estensoud

in m.ferro

5. L’unico motivo del ricorso incidentale, al cui esame deve procedere il Collegio stante la
dichiarata fondatezza ed il conseguente accoglimento del ricorso principale, è
inammissibile stante la sua genericità. Si rileva che la dedotta violazione dell’art.112
cod.proc.civ., pur riportando un passo dell’atto di costituzione in appello della società
contribuente (in quella sede appellata), non permette di individuare con precisione
quale sia stata — necessariamente a monte – la ragione di nullità dell’avviso di
accertamento, del quale si è predicato in modo nient’affatto preciso un complessivo
vizio di ‘mancata notifica’, ‘difetto di motivazione’ e ‘mancata allegazione dei
documenti essenziali per la comprensione dell’atto stesso’, facendo così ed inoltre
richiamo ad una non puntuale omissione di pronuncia che contraddice il principio,
cui si intende dare continuità, per cui “affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un
vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una
domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano
state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio
dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei
quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la
ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività.” (Cass. 5344/2013). Va aggiunto,
ripetendo un principio cui si intende dare continuità e che nel ricorso incidentale
appare ulteriormente aggirato, che “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile
soltanto qualora dal ragionamento de/giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata,
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero
quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, de/procedimento
logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando,
invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul
significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del
giudizio di cassazione” (Cass. 24148/2013).

integrale compensazione fra le parti delle spese del procedimento quanto al giudizio
di merito; condanna la controricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in Euro 7.500 in favore di Agenzia delle Entrate, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 novembre 2013.

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