Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28542 del 20/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28542 Anno 2013
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 20/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

AIELLO SICUR. SER. s.r.1., in persona del 1.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. Matteo
Scuderi, elett. dom. presso lo studio di questi in Catania, via Firenze n.118, come da
procura a margine dell’atto
-ricorrente Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-controricorrentePagina 1 di 5 – RGN 22610/2009

estensore c

ferro

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Catania 14.7.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 19 novembre
2013 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
uditi l’avvocato dello Stato Bruno Dettori e l’avv. Giuseppe Vaccaro per il ricorrente;

IL PROCESSO
Aiello Sicur.Ser. s.r.l. [AIELLO] impugna la sentenza della Commissione
Tributaria Regionale di Catania 14.7.2008 che, in riforma della sentenza C.T.P. di
Catania n. 356/04/2004, ebbe ad accogliere l’appello dell’Ufficio, dichiarando la
legittimità del recupero del credito d’imposta, previsto dall’art.8 della legge n.388 del
2000 per le aree svantaggiate ed indebitamente fruito dal contribuente per l’anno
2002, mediante compensazione operata il 13.11.2002, cioè lo stesso giorno di entrata
in vigore del d.l. 12.11.2002, n.253 che aveva sospeso tale beneficio.
Ritenne a tal proposito la C.T.R. che la disciplina della fattispecie dovesse
inquadrarsi nella latitudine d’intervento dell’art.62 della successiva legge 27.12.2002,
n. 289, la quale ebbe a regolare la posizione giuridica tanto dei soggetti che avevano
conseguito il diritto al beneficio alla data dell’8 luglio 2002 quanto di quelli che, dopo
tale data, avevano ricevuto l’assenso dell’Agenzia delle Entrate relativamente
all’istanza, per entrambi prevedendo distinti nuovi adempimenti e nel frattempo
dettando un regime transitorio di sospensione connaturato alla data di entrata in
vigore della legge stessa e tuttavia da estendersi anche ai rapporti pregressi. Valutò
invero il giudice di merito che il citato art.62, nel disporre l’abrogazione degli artt. 1 e
2 del d.l. 12.11.2002, n.253 (non convertito in legge), aveva aggiunto, in sanatoria
sostanziale per le medesime situazioni anteriori, il mantenimento di validità degli atti
e provvedimenti adottati e la salvezza degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici
sorti sulla base delle norme non convertite, pertanto agendo come ripristino di un
continuum normativo anche a proposito della sospensione del beneficio, da
considerare mai venuta meno nonostante la mancata conversione del d.l. n.253 che
l’aveva disposta.
Il ricorso è affidato a quattro motivi; resiste con controricorso Agenzia delle
Entrate.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge con riguardo agli
arti. 62 1. n.289/2002 ed 1 d.lgs. [rectius: di.] n.253/2002, in relazione all’art.360 n.3
cod.proc.civ., avendo la C.T.R. erroneamente inteso la portata regolatrice della
prima disposizione quale efficace sul provvedimento non convertito, anziché sui
rapporti dal medesimo scaturiti, tale essendo l’unica disciplina consentita anche ai
sensi dell’art.77 Cost.
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estensore con

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Federico Sorrentino,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

1. I motivi primo e terzo, da trattare congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Osta al loro accoglimento l’indirizzo, cui questo Collegio intende prestare continuità
in difetto di diverse argomentazioni, per cui “l’art. 62, comma 7, della legge 27 dicembre
2002, n. 289, che ha disposto l’abrogazione degli articoli 1 e 2 del d. legge 12 novembre 2002, n.
253, prima della scadenza dei termini per la conversione in legge, facendo salvi gli effett i prodottisi e i
rapporti giuridici già sorti, ha soltanto impedito la protrazione dell’efficacia provvisoria delle predette
disposizioni fino al termine naturale della mancata conversione in legge, senza alcuna applicazione
retroattiva di disposizioni tributarie, vietata dall’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212; ne
consegue che, in base alla clausola di salvezza degli effetti prodottisi nel vigore del decreto-legge non
convertito, legittimamente l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero del credito di imposta
utilizzato dal contribuente in compensazione, nonostante la sospensione della fruizione disposta con il
citato d. legge n. 253 del 2002.” (Cass. 24251/2011). L’abrogazione disposta dalla 1. n. 289
del 2002, art. 62 nei riguardi del d.l. 12 novembre 2002, n. 253, artt. 1 e 2 prima della
sua conversione in legge non può essere valorizzata nel senso dell’impossibilità di
attribuire efficacia retroattiva alle norme del decreto non convertito, poiché esse, per
quanto non convertite in legge, all’atto dell’emanazione della 1. n. 289/2002 erano
ancora provvisoriamente efficaci, sicché la loro espressa abrogazione da parte della
legge sopravvenuta ha avuto il solo citato esito di caducazione immediata, anticipando
una conseguenza che sarebbe intervenuta ex art. 77 Cost. dopo sessanta giorni, ma
senza attribuire efficacia ex tunc alle norme del decreto non convertito. Il legislatore,
facendo uso del potere espressamente conferito dall’art. 77, comma 3, Cost., ha così
inteso “regolare con legge i rapporti giuridici sulla base dei decreti non convertiti”,
appunto perché anche il decreto legge cit. risultò non convertito, per quanto la omessa
conversione fosse stata anticipata dalla espressa abrogazione. Come ricordato nel
precedente, “la formula adoperata nell’art. 62, comma 7 menzionato, per la sua generale
comprensività, si nferisce a tutti gli effetti prodottisi nel vigore del decreto legge non convertito, sicché è
arbitraria l’opzione ermeneutica [che limiti] la “salvezza” ai soli effetti “sorti e prodottisi nei
confronti dei contribuenti che non abbiano utilizzato il credito di imposta spettante”. Anche coloro che
invece lo abbiano utilizzato, nonostante l’espresso divieto contenuto nel D.L. n. 253 del 2002, art. 1
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estensore ccIi. m.ferro

Con il secondo motivo, si deduce vizio di violazione di legge quanto agli artt. 36 e s.
d.P.R. n.600/1973, in relazione all’art. 360 n.3 cod.proc.civ., avendo la C.T.R.
conferito rilievo ad un atto di recupero, al momento della sua notifica alla ricorrente
(11.12.2003), previsto solo da una Circolare dell’Agenzia delle Entrate e non da una
legge, essendo sopravvenuta, nel catalogo degli atti, tale facoltà solo a seguito dell’art.
1, comma 421 1. 30.12.2004, n.311.
Con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, co.2 e
10 1. 27 luglio 2000, n.212, in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ., avendo la C.T.R.
omesso di dar conto dell’avvenuta violazione dell’affidamento del contribuente, cui
l’amministrazione ha opposto una norma modificativa in pejus, tale essendo
l’estensione retroattiva della sospensione del beneficio.
Con il quarto motivo viene dedotto vizio di motivazione su punto decisivo, non
avendo la C.T.R. trattato adeguatamente dell’eccezione, sollevata dalla contribuente,
dell’inesistenza dell’avviso di recupero del credito d’imposta e della violazione dello
Statuto del contribuente.

Va inoltre osservato che la disposizione di cui all’art. 3, comma secondo, della legge 27
luglio 2000, n. 212, che fissa il termine minimo di sessanta giorni per l’effettuazione
degli adempimenti da parte del contribuente, non ha uno specifico fondamento
costituzionale, né il termine da essa stabilito attiene all’esercizio del diritto di difesa.
Ne consegue che il rapido susseguirsi di disposizioni aventi forza di legge non
rispettose del termine indicato determina il verificarsi di una normale vicenda di
successione di leggi nel tempo (Cass. 5324/2012).
2. Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Oltre ad un profilo di
insufficienza descrittiva del motivo, essendosi limitata la ricorrente ad invocare la
nullità dell’atto di recupero, senza riportarne i termini provvedimentali ed attinenti al
procedimento seguito dalla P.A., ove invece Agenzia delle Entrate eccepisce di aver
comunicato preventivamente la comunicazione connessa, così da consentire il
pagamento delle somme dovute senza le spese dell’iscrizione a ruolo, osserva il
Collegio che l’avviso di recupero del credito d’imposta (indebitamente compensato in
difetto dei presupposti), a maggior ragione se preceduto da una comunicazione di
revoca del beneficio, svolge una funzione informativa dell’insorgenza del debito
tributario, comunque costituendo manifestazione della volontà impositiva da parte
dello Stato, dunque al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione, e come tale è
impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, anche se emesso — come nella specie – anteriormente all’entrata
in vigore della legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha espressamente annoverato
l’avviso di recupero quale titolo per la riscossione di crediti indebitamente utilizzati in
compensazione. Proprio Cass. 4968/2009 statuì invero tale principio con riguardo ad
una fattispecie relativa ad avviso di recupero di un credito di imposta per insussistenza
dei requisiti del beneficio, ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388, emesso prima
dell’entrata in vigore della legge n.311 cit. (conf. Cass. 22322/2010, 8033/2011).
3. Il quarto motivo è inammissibile. È infatti inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod.
proc. civ., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il cd.
quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi,
anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso
della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata
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estensor

ferro

hanno visto “salvato” detto effetto [sospensivo] dalla norma di legge sopravvenuta, sicché non vi è
dubbio che correttamente l’Agenzia ha provveduto ad adottare l’avviso di recupero”. Al medesimo
esito era poi pervenuta anche Cass. 8145/2011, considerando che le norme della legge
27 luglio 2000, n. 212 sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a
carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di
principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione
delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge
ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di
costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito
contrasto con le stesse.

alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in
condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso
dal giudice di merito (Cass. 24255/2011).
Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con condanna alle spese in favore della
controricorrente, secondo il principio della soccombenza e liquidazione come da
dispositivo.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio in favore di Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 6.000 per compensi,
oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 novembre 2013.

P.Q.M.

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