Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28541 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 06/11/2019), n.28541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17022-2013 proposto da:

A.A., in proprio, elettivamente domiciliata in ROMA VIA

VINCENZO PICARDI 4/B, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA

ANGIULI, rappresentata e difesa da se medesima;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ADELFIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1/2013 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 14/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/04/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA D’OVIDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per l’accoglimento parziale del

1 motivo di ricorso, infondati i restanti;

udito per il ricorrente l’Avvocato ANGIULI che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Annamaria Angiuli proponeva ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Bari avverso l’avviso di accertamento in rettifica n. (OMISSIS), notificatole a mezzo posta in data 27/1/2011, con il quale il Comune di Adelfia le intimava il pagamento di 755,00 a titolo di ICI ed accessori per l’anno 2005, in relazione ad un piccolo fabbricato, nonchè a due terreni astrattamente edificabili e a due terreni agricoli.

In particolare, la ricorrente chiedeva la sospensione dell’atto impositivo ed il suo annullamento, deducendo: – violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1,2 e 5, per mancanza del presupposto di imposta sia per il fabbricato, in quanto da tempo inagibile e demolito, sia per i due terreni agricoli (iscritti in catasto al foglio (OMISSIS), part.lle nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)), in quanto non compresi nei beni di sua proprietà; – violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, per difetto di motivazione, risultando omessi nell’atto impositivo i criteri con i quali erano stati determinati i valori imponibili dei due terreni astrattamente edificabili (iscritti in catasto al foglio (OMISSIS), part.lle nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)); – violazione del giudicato esterno, atteso che l’atto impositivo impugnato concerneva lo stesso fabbricato e le stesse aree edificabili già oggetto di un precedente atto impositivo emesso per l’ICI del 2004, annullato dalla commissione tributaria regionale di Bari con sentenza 35/4/2009 del 13/7/2009, non impugnata dal Comune resistente e, pertanto, passata in giudicato.

Resisteva il Comune di Adelfia sostenendo la sussistenza del presupposto di imposta sia per il fabbricato, in quanto demolito il 16/2/2007, sia per i due terreni agricoli, indicati erroneamente con un diverso numero di particella (ossia (OMISSIS) e (OMISSIS), anzichè (OMISSIS) e (OMISSIS)); quanto al difetto di motivazione, evidenziava che la contribuente era stata messa nella condizione di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur.

2. L’adita Commissione provinciale, con sentenza n. 157/12/2011, del 4/10/2011, accoglieva il ricorso.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Adelfia, lamentando in particolare che il primo giudice aveva ignorato le deduzioni svolte nella memoria di costituzione circa il valore delle aree fabbricabili e l’errata individuazione delle particelle. Si costituiva la contribuente, insistendo per la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza n. 1/1/2013, depositata in data 14/01/2013, non notificata, la commissione tributaria regionale di Bari accoglieva parzialmente l’appello del Comune di Adelfia relativamente al fabbricato, già iscritto in catasto al foglio (OMISSIS), particella n. (OMISSIS) sub (OMISSIS) e ai due terreni edificabili, iscritti in catasto al foglio (OMISSIS), particelle nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), confermando per il resto l’impugnata sentenza e compensando le spese processuali.

3. Avvero tale sentenza Annamaria Angiuli ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.

Il Comune di Adelfia non si è costituito nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la “violazione e falsa applicazione di norme di legge: D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 8, relativamente al valore imponibile tassabile del fabbricato, già iscritto in catasto al foglio (OMISSIS), n. (OMISSIS), sub (OMISSIS).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria su fatto controverso e decisivo”.

Nell’illustrazione congiunta dei due motivi la contribuente si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto la tassabilità a valore intero del piccolo fabbricato iscritto in catasto al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS) sub (OMISSIS), pur avendo accertato che l’inizio dei lavori di demolizione di tale unità immobiliare era stato comunicato al Comune di Adelfia in data 4/9/1985, sul rilievo che in atti la medesima unità risultava dichiarata demolita totalmente solo in data 16/2/2007, sicchè per l’anno 2005, periodo di imposta cui afferisce l’accertamento di cui è causa, l’immobile doveva ritenersi assoggettabile ad ICI. Deduce in proposito la ricorrente che l’immobile, già in precarie condizioni di stabilità dal 1985, fu immediatamente demolito dal proprio dante causa a seguito di diffida del Comune di Adelfi e conforme autorizzazione, entrambe in atti, circostanze dunque note al Comune, nè potrebbe rilevare in contrario che la relativa variazione catastale sia stata effettuata, per mera dimenticanza, dagli eredi solo agli inizi dell’anno 2007.

La CTR, inoltre, avrebbe totalmente omesso di considerare che la ricorrente aveva prodotto tutta la documentazione a sostegno del proprio diritto, a fronte della quale sarebbe stato onere del Comune di Adelfia produrre a sua volta documentazione idonea a dimostrare una diversa data di effettuazione delle opere di demolizione, restando irrilevanti le risultanze catastali.

In ogni caso, prosegue la ricorrente, stante la precarietà ed inagibilità risalente al 1985, il valore imponibile ai fini ICI non avrebbe potuto essere superiore al 50% del valore determinato con la rendita catastale, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 8.

1.1. Il primo ed il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione, denunciata dalla ricorrente sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono rispettivamente infondato ed inammissibile.

Sul punto la sentenza impugnata ha così motivato: “Quanto al fabbricato controverso, va precisato che l’inizio dei lavori di demolizione della predetta unità immobiliare è stato comunicato al Comune di Adelfia in data 4/9/1985 (vedi nota trasmessa per posta raccomandata in atti) e dichiarato demolito totalmente in atti il 15/2/2007 n. (OMISSIS) – protocollo n. (OMISSIS) – Agenzia del Territorio -, con soppressione del foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS) sub (OMISSIS) (a seguito variazione identificativi per allineamento mappe del 31/1/2006) e sostituzione del foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS), sub (OMISSIS) e foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS) sub (vedi visura storica in atti). Ne discende che per l’anno 2005 tale unità immobiliare, non essendo stata ancora demolita, va assoggettata a tassazione ICI in base ai dati storici riportati nell’avviso di accertamento”.

Tale decisione è conforme alle norme di legge in materia atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, commi 2 e 6, il valore da assumere in relazione ad un fabbricato per il quale sia stato comunicato l’inizio dei lavori di demolizione, resta quello risultante dalla rendita catastale rivalutata secondo i moltiplicatori previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 5, primo periodo, sino a quando la preannunciata demolizione restituisca autonomia all’area fabbricabile stessa.

In ricorso si assume che la demolizione fu “immediatamente realizzata dal dante causa dell’odierna ricorrente”, ma tale circostanza attiene ad una questione di fatto che doveva essere allegata e provata dalla ricorrente nel giudizio di merito, ma di ciò non risulta menzione nella sentenza impugnata e neppure nel ricorso di legittimità, con il quale la ricorrente ha genericamente affermato di aver “provveduto a corredare il proprio ricorso di tutta la documentazione a sostegno del proprio diritto”, senza fornire alcuna specificazione in ordine alle difese assunte sul punto ed al tenore dei documenti prodotti nei precedenti gradi di giudizio. Ne deriva che la sentenza impugnata, in assenza di diversi elementi probatori, correttamente ha assunto a base della decisione la data della demolizione quale risultante dalla dichiarazione in atti del 16/2/2007, unico elemento idoneo a dimostrare, quantomeno in via presuntiva, il presupposto fattuale dell’avvenuta demolizione.

Neppure sul punto è ammissibile il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia genericamente un vizio di motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria su fatto controverso e decisivo.

Tale denuncia, infatti, non tiene conto che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 14 gennaio 2013 -, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass., sez. 3, 12/10/2018, n. 23940, Rv. 645828 – 01).

Nella specie la ricorrente, da un lato ha proposto una inammissibile e generica censura di erroneità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, e dall’altro lato, non ha indicato in quale atto ed in che termini avrebbe dedotto l’avvenuta “immediata” demolizione (la cui data non risulta allegata neppure in questa sede), nè il dato testuale o extratestuale da cui tale fatto risulti esistente, e neppure il come e il quando il medesimo fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua decisività (Cass., sez. 3, 10/8/2017, n. 19987, Rv. 645359 – 01). U)

Ne deriva l’inammissibilità del motivo, anche ove debba intendersi volto a censurare l’omessa considerazione dell’avvenuta esecuzione della demolizione in epoca antecedente a quella risultante dagli atti, trattandosi di circostanza della quale non è stata specificata l’avvenuta allegazione nelle fasi di merito.

Proseguendo nella trattazione congiunta del primo e del secondo motivo, la ricorrente lamenta inoltre la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 8, in virtù dei quali il valore imponibile ai fini ICI non avrebbe potuto essere superiore al 50% del valore determinato con la rendita catastale, stante lo stato di inagibilità del fabbricato asseritamente risalente al 1985.

Anche tale profilo di censura è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Invero la CTR, non avendo accertato lo stato di inagibilità del fabbricato, ma solo l’esistenza di una comunicazione di inizio dei lavori di demolizione – che di per sè non è peraltro necessariamente sintomatica di una situazione di inagibilità, ben potendo essere determinata da ragioni diverse – ha correttamente applicato il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, a mente del quale, come già evidenziato, il valore da assumere resta quello risultante dalla rendita catastale rivalutata secondo i moltiplicatori previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 5, primo periodo, sino ad avvenuta demolizione.

E’ pur vero, infatti, che, nell’ipotesi in cui l’immobile sia dichiarato inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 1, nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente poichè, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune (Cass. sez. 5, 10/6/2015, n. 12015, Rv. 635869 – 01), ma è anche vero che la esistenza di uno stato di inagibilità deve essere stata dichiarata dal Comune o, comunque, deve essere accertata in giudizio. Nel caso in esame, invece, di tale circostanza non viene fatta alcuna menzione nella sentenza impugnata che, pertanto, in assenza del relativo accertamento, ha correttamente ritenuto applicabile la tassazione a valore intero.

Tenuto conto dei fatti accertati, pertanto, la CTR non è incorsa in alcuna violazione di legge, nè del resto la ricorrente ha indicato quale affermazione della motivazione si porrebbe in contrasto con le norme invocate.

L’eventuale omessa considerazione delle allegazioni e produzioni idonee a dimostrare l’esistenza di uno stato di inagibilità, che la ricorrente assume di aver fornito con il proprio ricorso, potrebbe invero costituire l’omesso esame di un fatto decisivo, eventualmente denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nei limiti già sopra evidenziati.

Anche con riferimento a tale profilo della censura (inagibilità dell’immobile e conseguente tassabilità a valore ridotto), tuttavia, il secondo motivo, che denuncia appunto un vizio motivazionale, è inammissibile per gli stessi motivi evidenziati con riferimento al primo profilo della censura, non essendo stato indicato in quale atto processuale e, soprattutto, in che termini la circostanza dell’inagibilità sarebbe stata dedotta nei precedenti gradi di giudizio, nè i documenti specificamente prodotti a corredo di tale fatto, il loro contenuto e la loro collocazione all’interno del fascicolo processuale, e neppure come e quando il “fatto” dell’inagibilità sia stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente, infatti, come già sopra rilevato, riferisce genericamente di aver “provveduto a corredare il proprio ricorso di tutta la documentazione a sostegno del proprio diritto” (p. 5 del ricorso), ed indica specificamente una ordinanza del Comune prot. 6037 dell’8/5/1985, con la quale il Comune avrebbe proceduto a diffidare la proprietà per ragioni di pubblica incolumità, ma non precisa se e con quale atto tale ordinanza sarebbe stata prodotta.

A ciò consegue l’inammissibilità del motivo, in applicazione del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale nel processo tributario di cassazione il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, al fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria – del quale è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369 c.p.c., comma 3, – deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass., sez. 5, 18/1172015, n. 23575, Rv. 637488 – 01; Cass., sez. 5, 15/1/2019, n. 777, Rv. 652190 – 01).

2. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la “violazione e falsa applicazione di norme di legge: L. n. 212 del 2000, art. 7; D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11; D.Lgs. n. 496 del 1997, art. 59, relativamente alla dedotta carenza di motivazione dell’atto di accertamento ed ai valori imponibili ICI attribuiti ai terreni edificabili riportati in catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS) e (OMISSIS).

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la “motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria su fatto controverso e decisivo”.

La ricorrente, illustrando congiuntamente il terzo e quarto motivo, censura la sentenza impugnata per avere trascurato che il provvedimento impositivo impugnato è privo di qualsiasi elemento atto a consentire di comprendere le ragioni della pretesa tributaria, nonchè i criteri di quantificazione del valore delle aree considerate, come dedotto nel ricorso introduttivo e negli scritti difensivi prodotti nel successivo grado di giudizio. Tali deduzioni, prosegue la ricorrente, non sono state esaminate dalla CTR, che ha motivato la sua decisione con esclusivo riferimento alla richiamata Delib. della Giunta municipale 17 febbraio 2003, n. 40, a mezzo della quale il Comune aveva determinato in via generale i valori delle aree edificabili ai fini ICI, ma ai soli effetti del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g).

Così statuendo, tuttavia, la CTR, oltre a non tener conto della denunciata carenza motivazionale dell’atto impugnato, avrebbe violato anche il disposto della norma da ultimo citata, la quale consente la generica predeterminazione di valori medi unicamente al fine di individuare i limiti al potere di accertamento dell’amministrazione comunale, laddove il valore delle aree fabbricabili sia stato dichiarato dal contribuente in misura non inferiore a quello predeterminato.

2.1. Il terzo ed il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione, che viene denunciata sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono rispettivamente infondato ed inammissibile.

Sotto il profilo della denunciata violazione di legge, giova richiamare il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Cass., sez. 6-5, 5/7/2017, n. 16620, Rv. 644804 – 01).

Quanto al vizio di motivazione, la censura è inammissibile per le medesime ragioni già evidenziate con riferimento alla portata ed ai limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione applicabile ratione temporis.

3. Con il quinto motivo di ricorso è denunciata la “violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, relativamente ai criteri di determinazione e quantificazione del valore dei terreni edificabili riportati in catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS) e (OMISSIS)”.

Con il sesto motivo di lamenta la “violazione del principio di diritto enunciato dalle SS.UU. della Corte di cassazione civile con sentenza 25506/2006”.

Con il settimo motivo è dedotto la “inammissibile inversione dell’onere della prova”

Nell’illustrazione congiunta dei motivi quinto, sesto e settimo, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, rapportandosi al valore medio di Euro 25/mq individuato dalla Giunta municipale con la Delib. n. 40 del 2003, in via generale per tutte le aree ricadenti nella vasta zona di espansione urbana C/2, oltre a violare il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), per le ragioni illustrate con il terzo motivo, avrebbe violato anche il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, non avendo applicato nessun criterio di calcolo previsto da tale norma, ed avrebbe inammissibilmente invertito l’onere probatorio ponendo a carico della contribuente l’onere di “offrire in giudizio elementi e motivi in contrario ed alternativi… per poter consentire al giudice di annullare il valore accertativo del Comune”.

Con particolare riferimento all’interpretazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, la ricorrente invoca l’arresto di SS.UU. n. 25506 del 30/11/2006 relativamente ai criteri di tassabilità ai fini ICI delle aree fabbricabili, con specifico riferimento a quelle prive di edificabilità attuale, quali afferma essere pacificamente quelle di cui è causa.

3.1. Quinto, sesto e settimo motivo sono infondati alla luce del principio già evidenziato con riferimento al terzo motivo, ed espresso dalla citata Cass., sez. 6-5, 5/7/2017, n. 16620, Rv. 644804 – 01.

4. Con l’ottavo motivo di ricorso è dedotta la “erronea motivazione su un punto decisivo della controversia”.

La ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto l’irrilevanza del precedente giudiziario costituito dalla sentenza della CTR di Bari n. 35/4/09, passata in giudicato, intervenuta tra le stesse parti ed avente ad oggetto le stesse aree di cui è causa, in applicazione della stessa Delib. di Giunta n. 40 del 2003, ma con riferimento a diverso anno di imposta ICI (2004).

4.1. Il motivo, peraltro inammissibilmente formulato con riferimento ad un vizio motivazionale, è comunque infondato.

Come rilevato dalla CTR, infatti, la ricorrente ha prodotto l’invocata sentenza n. 35/04/09 “mancante dell’attestazione di sentenza definitiva rilasciata dalla competente Commissione Tributaria”.

Tale produzione, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, non è idonea a dimostrare il passaggio in giudicato della predetta sentenza, ancorchè sul punto non siano state sollevate contestazioni dalla controparte (peraltro nella specie non costituitasi nel presente giudizio di legittimità).

Ciò, in applicazione del principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendola, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, nè che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (v. Cass., sez. 5, 2/12/2004, n. 22644, Rv. 578288 – 01; Cass., sez. 6-5. 18/04/2017, n. 9746, Rv. 643801 – 01).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla sulle spese, stante la mancata costituzione nel presente giudizio di legittimità del Comune intimato.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 (notifica dell’8 luglio 2013), ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a tutolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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