Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28534 del 20/12/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 28534 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n.12 presso gli Uffici dell’Avvocatura
Generale dello Stato che la rappresenta e difende.
-ricorrente-
2,gDo
‘,5
COSTANTINI STEFANO,
contro
rappresentato e difeso per procura
a margine del ricorso dagli Avv.ti Casimiro Ordine,
Sebastiano Rosso e Stefania Casanova ed elettivamente
domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma,
via Pompeo Trogo n.21.
-controricorrente-
Data pubblicazione: 20/12/2013
avverso
la
sentenza
n.25/07
della
Commissione
Tributaria Regionale della Liguria, depositata il
28.10.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29.10.2013 dal Consigliere Roberta
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.Tommaso Basile, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate, Ufficio locale di Alberga, a
seguito di processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza,
notificava a Stefano Costantini, titolare di un’impresa
esercente attività di servizi di pulizia, avviso di
accertamento con il quale recuperava il credito di imposta
previsto dall’art.7 legge n.388/2000, in materia di incentivi
per l’incremento
dell’occupazione r ritenuto indebitamente
utilizzato dal contribuente per gli anni di imposta dal 2001
al 2004, non risultando soddisfatta la condizione di cui al V
coma della norma citata.
In particolare era risultato che una dipendente, per la cui
assunzione era stato usufruito il credito di imposta, nei 24
mesi precedenti aveva lavorato alle dipendenze di altro
datore di lavoro.
Il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso
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Crucitti;
di accertamento veniva accolto dalla Commissione Tributaria
Provinciale adita e la sentenza, appellata dall’Agenzia delle
Entrate, integralmente confermata dalla Commissione
Tributaria Regionale della Liguria con la sentenza indicata
in epigrafe.
rapporto di lavoro intercorso tra la dipendente ed il
precedente datore di lavoro non poteva ritenersi a tempo
indeterminato ma, al contrario, quale lavoro stagionale o a
tempo determinato. Rilevava, ancora, la Commissione
tributaria ligure che -malgrado l’indicazione errata di tale
tipologia di contratto negli atti intercorsi tra le partiera evidente, dalla circostanza che il rapporto risultava
cessato alla data di fine settembre di ogni anno, che lo
stesso doveva ritenersi a tempo determinato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
Ha resistito il contribuente con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
1.Con il primo motivo -rubricato violazione e falsa
applicazione dell’art.7 comma quinto legge 388/2000, in
combinato disposto con gli artt.1, d.lgs. 368/2001 nonché
art.1326 e 1362 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.- la
ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la
Commissione tributaria ligure nel ritenere il rapporto di
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In particolare,i Giudici di appello ritenevano che il
lavoro a tempo determinato sul mero presupposto della
intervenuta cessazione del medesimo mentre, il carattere
continuativo ed indeterminato dello stesso risultava fra
l’altro dai modelli CUD presentati e dai modelli 770
rilasciati dal primo datore di lavoro nonché dalla stessa
dalle stesse dichiarazioni rese dall’intimato nel proprio
ricorso introduttivo.
2.Con il secondo motivo si censura , ai sensi dell’art.360
n.5 c.p.c., la sentenza impugnata per non avere preso in
considerazione gli elementi fattuali, già indicati nel primo
motivo di ricorso, decisivi per la controversia.
3.Detto ultimo motivo è infondato. La Commissione ligure,
seppur con motivazione stringata, ha esposto l’iter logico
seguito nella decisione, motivando di dare prevalenza a
determinate circostanze di fatto, emergenti dagli atti
processuali (quali le cessazioni del rapporto nel mese di
settembre di ogni anno) piuttosto che alla qualificazione,
definita errata, della tipologia di contratto a tempo
indeterminato negli atti intercorsi tra le parti.
4. E’,invece inammissibile,i1 primo motivo. Come noto, per
costante orientamento di questa Corte l’interpretazione di un
atto negoziale (quale nel caso in esame il contratto di
lavoro intercorso tra la neo assunta ed il precedente datore
di lavoro) è tipico accertamento in fatto riservato al
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volontà delle parti come dedotta nel contratto; ed, infine,
giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se
non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di
ermeneutica contrattuale, di cui agli artt.1362 e seguenti
c.c. o di motivazione inadeguata ovverossia non idonea a
consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per
violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare
puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione
mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente
violati ed ai principi in essi contenuti, ma occorre,
altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il
giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore
conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si
fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del
vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta
di un’interpretazione diversa (cosi Cass.n.22536/07 e nello
stesso senso id.n.10554/2010).
Nella specie, rigettato il secondo motivo con il quale si è
censurata la motivazione sotto il profilo del vizio di
motivazione, il mezzo in esame, alla luce dei principi sopra
esposti, va incontro alla sanzione di inammissibilità. Ed
invero, seppur in rubrica è indicato, tra le norme violate,
l’art.1362 c.c., nell’esposizione del motivo, appare
insufficiente
l’indicazione
del
canone
ermeneutico
asseritamente violato dal Giudice di merito ma soprattutto
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giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una
non viene specificato in quale modo e con quali
considerazioni tale Giudice se ne sia discostato
risolvendosi, in realtà, il mezzo (come, peraltro, evidente
anche dalla lettura del quesito di diritto formulato ex
art.366 bis c.p.c.) nella proposta di un’interpretazione
fattuali acquisiti in giudizio.
Alla luce delle superiori considerazioni il ricorso va,
pertanto, rigettato.
La natura della controversia e tutte le peculiarità della
fattispecie inducono a compensare integralmente tra le parti
le spese processuali.
P . Q .M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa
integralmente
tra
le parti
le
spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
29.10.2013.
diversa dell’atto negoziale sulla base degli elementi