Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28530 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 06/11/2019), n.28530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36484-2018 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ENNIO CERTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

23/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato il 23/11/2018, ha respinto la richiesta di protezione internazionale di I.M., cittadino del Pakistan, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale.

In particolare, il Tribunale ha rilevato che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento, per quanto ancora interessa, della protezione sussidiaria o umanitaria, risultando il racconto del richiedente (essere stato costretto a fuggire dal Paese d’origine a causa del timore di essere sottoposto a rappresaglie o vendette di alcuni acquirenti di animali, dal medesimo denunciati per il mancato versamento del corrispettivo) integrante una vicenda di “carattere personale, peraltro conclusasi, sul piano giudiziario, a favore del richiedente”; inoltre, nel Paese di provenienza, i conflitti in atto, secondo il più recente report del sito del Ministero degli Esteri (“consultato a febbraio 2018”), non raggiungevano un livello così elevato di intensità così da escludere che la sola presenza del soggetto nel suo territorio comportasse una minaccia individuale nei suoi confronti, attenendo poi solo ad alcuni territori; neppure sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, stante l’insussistenza di situazioni di effettiva vulnerabilità nel Paese d’origine.

Avverso il suddetto decreto, I.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 5 del 2008, art. 8, avendo il Tribunale valutato la situazione del Paese di provenienza del richiedente, ai fini della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), esclusivamente sulla base dell’ultimo report del sito del Ministero degli Esteri, senza adempiere al necessario obbligo di cooperazione istruttoria del giudice, acquisendo diverse fonti autorevoli, nonchè avendo il Tribunale escluso la ricorrenza delle condizioni per la protezione umanitaria, negando la sussistenza di condizioni di vulnerabilità laddove la situazione generale del Paese d’origine non consentiva comunque un rientro in assoluta sicurezza.

2. Le censure sono inammissibili.

In riferimento al diniego di protezione sussidiaria, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato. Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale” (in termini anche Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative, consultando il sito del Ministero degli Esteri), e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.

La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

La censura poi, riguardo alla protezione umanitaria, è del tutto generica, e perciò inammissibile, limitandosi a considerazioni di ordine generale sul tema della tutela umanitaria (che, nell’impostazione del ricorso, dovrebbe essere comunque accordata laddove lo straniero non possa rientrare nel Paese d’origine in condizioni di assoluta sicurezza), le quali nulla hanno a che vedere con la specifica situazione individuale.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 06 novembre 2019

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