Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2853 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 05/02/2021), n.2853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17030-2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO

EMANUELE II N. 287, presso lo studio dell’avvocato IORIO ANTONIO,

rappresentato e difeso unitamente dagli avvocati FALCONE GIUSEPPE e

FALCONE FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3793/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA CALABRIA, depositata il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

 

Fatto

RILEVATO

che il contribuente A.A., esercente commercio al dettaglio di prodotti non alimentari via internet, propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Calabria, di rigetto dell’appello da lui proposto avverso una sentenza della CTP di Cosenza, che aveva respinto il suo ricorso avverso un avviso di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP 2006;

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo motivo, il contribuente deduce violazione e falsa applicazione artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697 e 2729 c.c., art. 6 CEDU e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la sentenza impugnata applicato una sanzione di Euro 2.172.007 ed avere confermato un avviso di accertamento induttivo senza alcuna prova nè tipica nè atipica, non potendosi configurare come prova un file di fantasia trovato su di un computer, privo di ulteriore riscontro e quindi da ritenere non utilizzabile, siccome non rispondente alla realtà, non potendo esso costituire, per i suoi contenuti abnormi, nè una prova tipica, nè una prova atipica, in quanto non era credibile che esso contribuente, da solo ed utilizzando un computer, con un capitale investito di Euro 5.164,57, avesse prodotto un imponibile non dichiarato per il 2006 pari ad Euro 6.108.120,28; e l’Agenzia delle entrate era pervenuta a tali conclusioni sulla base di un file che i verbalizzanti avevano trovato nel computer di esso contribuente, denominato “bilancio Attademo 06”, contenente elementi contabili diversi da quelli riportati nella contabilità ufficiale; ma trattavasi di file inutilizzabile, in quanto non era stato trovato alcun riscontro in altri elementi, quali movimentazioni bancarie, pur trattandosi di transazioni pagate con carte di credito o bonifici, e quindi con mezzi di pagamento tracciabili; pertanto la gdf, che aveva svolto gli accertamenti, non aveva trovato alcuna traccia della produzione del reddito ipotizzato in tale file e non aveva quindi offerto al giudice alcuna possibilità di convalidare il proprio operato; trattavasi quindi di appunti extracontabili costituenti presunzioni semplici, rimaste privi di riscontro e che quindi avrebbero dovuto essere valutati dal giudice con prudente apprezzamento; al contrario la sentenza impugnata, in modo palesemente errato, aveva applicato pesanti sanzioni afflittive senza alcuna prova nè tipica, nè atipica, senza tener conto di quanto da lui rappresentato in propria difesa, di avere cioè rappresentato a banche ed a fornitori una realtà che non corrispondeva alle reali dimensioni della propria impresa al solo scopo di acquisire un maggior credito presso banche e fornitori; ed il rinvenimento del file nel proprio computer costituiva un semplice indizio, che avrebbe dovuto essere supportato da altri riscontri, nella specie non rinvenuti, come pure era da ritenere non provata la percentuale di ricarico del 226% ipotizzata dall’ufficio;

che, con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto la sentenza impugnata aveva confermato un accertamento milionario senza avere in alcun modo accertato la sussistenza di alcuna sua capacità contributiva; invero l’art. 53 Cost. imponeva che ogni prelievo tributario avesse la propria causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza, nella specie del tutto mancanti;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

che il contribuente ha altresì presentato memoria illustrativa; che i due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, sono infondati; invero la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere (cfr. Cass. n. 21138 del 2018; Cass. n. 19329 del 2006; Cass. n. 14150 del 2016; Cass. n. 12680 del 2018) che la contabilità in nero, costituita da documentazione extracontabile, legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, ha natura di valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ed utilmente valutabile, a prescindere dal contestuale riscontro di irregolare tenuta della contabilità e dal mancato adempimento di obblighi di legge; pertanto, qualora, a seguito di ispezione, come quella eseguita dalla gdf presso la sede dell’impresa gestita dal contribuente, venga rinvenuta documentazione astrattamente idonea ad evidenziare l’esistenza di operazioni non contabilizzate (nella specie la gdf aveva rinvenuto un file contenente un vero e proprio duplicato di bilancio al 31 dicembre 2006, completo di stato patrimoniale e di conto economico), detta documentazione, pur in assenza di irregolarità contabili, correttamente è stata ritenuta probatoriamente rilevante dal giudice, incombendo sul contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli; d’altra parte spetta esclusivamente al giudice di merito la valutazione dell’idoneità degli indizi posti a fondamento di un accertamento presuntivo svolto; ed al riguardo entrambe le sentenze di merito hanno concordemente rilevato come il contribuente non avesse fornito alcun elemento idoneo a superare la presunzione di maggiori ricavi ipotizzata dall’ufficio;

che il ricorso proposto dal contribuente va pertanto respinto siccome infondato, con condanna del medesimo al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto dal contribuente e la condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate in complessivi Euro 10.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

 

 

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