Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28528 del 20/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28528 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA
sul ricorso 22500-2008 proposto da:
FININTRA SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
PARIOLI 87, presso lo studio dell’avvocato SEMINAROTI
ALDO, rappresentato e difeso dall’avvocato VIGGIANI
MICHELE giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 20/12/2013

- resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 47/2007 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 20/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. MARIO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

CIGNA;

e

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
LA “FIN NITRA” srl proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Milano avverso l’avviso con il quale
l’Agenzia delle Entrate le aveva contestato, in relazione all’anno 1999, di avere dichiarato
come “oneri per trasferte” alcune prestazioni di lavoro subordinato, ed aveva quindi
accertato maggiori ritenute alle fonte non operate e non versate, con relative sanzioni ex artt.

A sostegno del ricorso la società deduceva, tra l’altro, che si era avvalsa della definizione
automatica di cui all’art 9 L. 289/2002 (c.d. condono tombale), sicchè, con il versamento della
prima rata, si era perfezionato il condono e, ai sensi del comma 10, si erano estinte anche le
sanzioni amministrative; sosteneva, inoltre, che l’Agenzia, irrogando sia la sanzione ex art. 13
sia la sanzione ex art. 14 aveva provocato una sostanziale duplicazione di sanzioni per il
medesimo fatto contributivo.
La CTP rigettava il ricorso.
Con sentenza 47/6/07, depositata il 20-6-2007, la CTR Milano rigettava l’appello della società;
in particolare la CTR, in primo luogo, rilevava che, ai sensi dell’alt 9 L. 289/2002, le ritenute
d’acconto non potevano costituire oggetto della definizione automatica di cui alla citata
norma, sicchè i sostituti d’imposta non potevano avvalersi del detto condono; la CTR
sosteneva, inoltre, la legittimità della duplicità di sanzioni irrogate, atteso che gli illeciti
compiuti attenevano a due motivazioni distinte previste dagli artt. 13 e 14 d.lgs 471/97.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, affidata a quattro motivi;
l’Agenzia si costituiva al solo fine della partecipazione all’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, con il quale la società ha denunziato -ex alt 360, comma 1, n. 5 cpccontradditoria motivazione, è inammissibile per violazione dell’ art. 366 bis c.p.c. applicabile
nel caso di specie perché la sentenza impugnata è stata depositata in data 20-6-2007, quindi
nel vigore del detto articolo, introdotto con il d.lgs. n. 40 del 2006 a far data dal 2-3-2006, ed
abrogato, ma solo dal 4 luglio 2009, con l’ art. 47, primo comma, lett d) della legge n. 69 del
2009.
Ed invero, per condiviso principio di questa Corte, con riferimento alla deduzione di vizi
motivazionali, l’illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve contenere,

13 e 14 d.lgs 471/97.

pena di inammissibilità, sia la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, sia le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, sia un momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto), e cioè un’indicazione riassuntiva e sintetica, che
costituisca un quid pluris rispetto all’ illustrazione del motivo e che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che
sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla
S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito.
Con il secondo motivo la società, denunziando -ex art 360, comma 1 n. 3 cpc- violazione e
falsa applicazione dell’art. 9 L. 289/2002 e dell’art. 2, comma 44 lett.c) L. 350/2003, chiedeva
a questa Corte, con apposito quesito di diritto, se le predette norme “precludono l’adesione
per gli stessi anni alle disposizioni degli artt. 8 e 9 L. 289/2002, e consentono l’estinzione
delle sanzioni amministrative”.
Anche detto motivo è inammissibile per violazione del su citato art 366 bis cpc.
Il quesito di diritto, come sopra riportato, non è infatti correlato alla ratio della impugnata
statuizione (che ha pronunciato sulla non applicabilità dell’art 9 L 289/2002 in una
fattispecie di violazione delle disposizioni fiscali concernenti le ritenute d’acconto) e non
appare comunque formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della
questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris”
suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla
sentenza impugnata
Con il terzo motivo la società deduceva -ex art. 360, comma 1, n. 5 cpc- omessa motivazione in
ordine all’eccezione (sollevata nel ricorso originario) che la definizione automatica di cui
all’art. 9 inibiva l’esercizio dei poteri dei poteri di cui agli artt 32,33, 38,39 e 40 dpr 600/73 e
51,52,54 e 55 dpr 633/72 di qualsiasi organo inquirente, impdendo gli atti prodromici e
l’applicazione delle sanzioni amministrative, comprese quelle accessorie.
Anche detto motivo è inammissibile.

ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; ciò anche quando l’indicazione del fatto

Con lo stesso, invero, la ricorrente ha inteso (inammissibilmente) sottoporre a questa Corte
vizi di motivazione sulla esaminata questione di diritto costituita dall’applicabilità dell’art 9
alle ritenute d’acconto oggetto dell’impugnato accertamento.
Con il quarto motivo la società denunziava ex art. 360, comma 1, n5 cpc omessa motivazione
in ordine alla sollevata eccezione di duplicazione delle sanzioni.

Al riguardo va, invero, rilevato che la CTR ha, sia pur sinteticamente, motivato, precisando che
“gli illeciti compiuti attengono a due motivazioni distinte previste dagli artt. 13 e 14 d. 1gs
471/97; in ogni modo, sul punto, questa Corte, con orientamento al quale si intende prestare
adesione, ha già precisato che “in tema di sanzioni per le violazioni nella materia della
riscossione delle imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia omesso di effettuare le
ritenute alla fonte sui compensi corrisposti a lavoratori dipendenti e di versare l’importo delle
trattenute non operate in tesoreria, è configurabile il concorso tra le sanzioni previste dagli
artt. 13 e 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, sia per la diversità delle condotte punite, sia
per il tenore dello stesso art. 14 che nel prevedere per chi non esegue, in tutto o in parte, le
ritenute alla fonte, l’applicazione della sanzione amministrativa pari al venti per cento
dell’ammontare non trattenuto, “salva l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 13 per il
caso di omesso versamento” ricorre alla tecnica normalmente adoperata in tema di concorso
apparente dì norme (ai sensi dell’art. 15 cod. pen.)”; Cass. 22855/2010; 13757/2013.
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, non avendo l’Agenzia svolto attività difensiva.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in data 29-10-2013 nella camera di Consiglio della quinta sezione civile.

Il motivo è infondato.

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