Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28525 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. I, 06/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 06/11/2019), n.28525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in persona del L.R.p.t, rappr. e dif. dall’avv.

Giacomo Triolo e dall’avv. Umberto Ferrari, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Gianluca Moncada, in Roma, via Arno n. 38, p.2,

int. 9, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, e FALLIMENTO (OMISSIS)

s.r.l. in liquidazione, in persona del medesimo cur.fall. p.t.,

rappr. e dif. dagli avv. Enrico Felli e Maurizio Corain, elett. dom.

presso lo studio del secondo, in Roma, via Emilia n. 86/90, come da

procura a margine dell’atto;

– controricorrenti –

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del cur.fall. p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Brescici 24.9.2015, n. 1001/15,

RG 707/2015;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 22.10.2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) impugna la sentenza App. Brescia 24.9.2015, n. 1001/15, RG 707/2015 che ha rigettato il suo “appello” avverso la sentenza Trib. Bergamo 22.5.2015 (dichiarativa del proprio fallimento) e il decreto di pari data del medesimo ufficio (denegativo dell’ammissibilità della domanda di concordato);

2. ha ritenuto la corte, condividendo gli assunti del tribunale, che la presentazione della domanda di concordato L. Fall., ex art. 61, comma 6, per la tempistica (ad istruttoria prefallimentare, durata quattro mesi, appena chiusa, con riserva di decisione già assunta dal collegio) e i gravi difetti di corredo documentale (l’omesso deposito del bilancio al 31.12.2014 o di equipollente situazione patrimoniale), integrava gii estremi dell’abuso del diritto, nè – data la separatezza dei due procedimenti – il primo giudice poteva attingere, sulla domanda di concordato, da materiale formatosi nella parallela e non riunita istruttoria prefallimeritare; quanto a questa, non sussistevano vizi nell’aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, nelle prerogative del tribunale L. Fall., ex art. 15 e in concreto espletata per la verifica della situazione patrimoniale e del bilancio al 31.12.2013, dando modo mediante la nomina del consulente di parte di interloquire sulle operazioni; la prova dell’insolvenza a sua volta promanava da molteplici elementi, stante l’ingente massa debitoria pubblicistica nonostante la rateazione, peraltro non perseguita dal luglio 2014 (3,4 milioni Euro verso INPS, 157 mila verso INAIL, 1,1 milioni verso Agenzia delle Entrate, 305 mila verso fornitori di energia), la restituzione dell’azienda presa in affitto al fallimento (OMISSIS) s.r.l. e dunque il pregiudizio alla continuità produttiva, la disputabilità di poste contabili indizianti piuttosto per un bilancio in perdita e patrimonio netto negativo;

3. il ricorso è su tre motivi e ad esso resistono con controricorso FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione e FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, già creditori istanti L. Fall., ex art..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Considerato che la società deduce: a) (primo motivo) violazione del’art. 273 c.p.c., in relazione alla L. Fall., artt. 15 e 161, avendo errato la sentenza nel non riconoscere la doverosità della riunione dei due procedimenti, di fallimento e concordato, riguardando la medesima situazione di crisi, ed esistendo un rapporto di continenza; b) (secondo motivo) violazione della L. Fall., art. 161, comma 6 laddove si ritiene che il ricorrente debba presentare una situazione patrimoniale per essere ammesso alla procedura; e) (terzo motivo) vizio di motivazione in merito all’esistenza da parte della società ricorrente di abuso del diritto in merito al deposito del concordato con riserva, poichè la corte non avrebbe preso in considerazione che la ricorrente era società funzionante, vi era una sola istanza di fallimento, agli istanti era stata offerta la stessa somma richiesta,, si era prevista una ricapitalizzazione, la società versava in una mera crisi di liquidità e nemmeno vi era urgenza di ottenere l’automatic stay, mancando esecuzioni o ordini ingiuntivi; la stessa lunghezza della procedura prefallimentare era dovuta alla disposta CTU, non imputabile alla reclamante;

2. il primo e terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per intima connessione, sono inammissibili, conseguendone l’assorbimento del secondo; è pacifico che, per il materiale versato nell’unitario procedimento di reclamo (al cui giudice è devoluto, nel suo complesso, il controllo di legittimità di entrambe le decisioni sulle istanze di fallimento e il ricorso di concordato, Cass. 1893/2018), la corte ha condiviso, con il primo giudice e in via logicamente preliminare, un motivato giudizio di abusività nell’utilizzo, da parte della società debitrice, dell’istituto del concordato con riserva L. Fall., ex art. 161, comma 6; per plurime concorrenti ragioni, esaminabili in questa sede non oltre gli stringenti limiti enucleati dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tale sviamento delle funzioni regolatone dell’insolvenza, in senso sia preventivo che alternativo rispetto alla disciplina liquidatoria, è stato riscontrato in modo diretto nella condotta del debitore, tardivo nel ricorso, irrituale rispetto alla fase decisoria dell’istruttoria prefallimentare, asimmetrico con riguardo al procedere del contraddittorio con i creditori istanti; si tratta di obiettive deviazioni strumentali nel ricorso al mezzo concordatario, comunque esaminabili in questa sede solo per i profili di violazione di legge, avendo di esse la corte offerto congrua ricostruzione argomentativa, per circostanze e fonti del proprio convincimento; così, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione a “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibilè”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014);

3. in materia, è noto l’indirizzo di questa Corte, per cui “tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39 c.p.c., comma 2, in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi.” (Cass. s.u. 9935/2015); ed altrettanto consolidato è il parallelo principio, ancora espresso dalla stessa pronuncia, per cui “la domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti”;

4. il giudice di merito, nell’attenersi ai citati canoni, ha in fatto negato, applicando il secondo, l’obbligatorietà del ricorso al primo e perciò correttamente disegnato, pur con motivazione qui da parzialmente integrare, la fisiologica flessibilità che deve connotare l’istruzione del procedimento per la dichiarazione di fallimènto allorchè nel suo iter sopravvenga la domanda di concordato; anche di recente, questa Corte ha precisato che, fermo il principio della continenza (non potendo sullo sfondo coesistere una regolazione della insolvenza con entrambi gli strumenti), la stessa riunione (cioè la modalità di coordinamento prescelta ex art. 273 c.p.c.) ove non disposta – e trattandosi di disposizione ordinatoria Cass. 13001/2006 – “non determina alcuna nullità, nè impedisce la dichiarazione di fallimento, quando il tribunale abbia già disposto la revoca dell’ammissione alla procedura concordataria, purchè il debitore abbia avuto formale conoscenza dell’iniziativa per la sua dichiarazione di fallimento” (Cass. 15094/2019); ciò in quanto, al di là della più puntuale alternatività-incompatibilità di fallimento e concordato preventivo, avuto riguardo alla nozione di causa identica, la formale riunione dei procedimenti, in generale, nemmeno è sindacabile in sede di legittimità (oltre a Cass. 13001/2006, 19840/2004, 9906/2001, 3586/1978); se è vero dunque che “la mancata riunione non fa venire meno l’esistenza del presupposto necessario per la dichiarazione di fallimento, costituito dalla presenza della relativa istanza” (così ancora Cass. 15094/2019), il motivato diniego di essa (come avvenuto nella specie in ragione della preliminare vantazione di abusività del ricorso al mezzo concordatario) esprime una corretta, benchè estrema, modalità di coordinamento tra i due procedimenti, secondo un’ispirazione che esige il riscontro, in quello di concordato, di una riconoscibile e immediata condotta di regolazione della insolvenza non solo sostitutiva e antitetica a quella fallimentare, ma altresì preventiva rispetto ad essa, anche e soprattutto quando, come nella vicenda di causa, il presupposto oggettivo – per quanto disputato – era il medesimo, cioè quello che autonome ed anteriori istanze di fallimento si proponevano di far accertare;

5. alla inammissibilità così pronunciata del ricorso consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, come meglio da dispositivo.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 5.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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