Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28523 del 20/12/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 28523 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege
– ricorrente contro
Costantino Antonio
– intimato –
avverso
la
Commissione
sentenza
n.
Tributaria
229/34/2007
regionale
del
della
Lazio,
depositata il 22/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 10/10/2013 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito l’Avvocato dello Stato, Marco La Greca, per
parte ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con
sentenza
n.
229/34/2007
del
15/05/2007,
depositata in data 22/05/2007, la Commissione
1
Data pubblicazione: 20/12/2013
Tributaria
del
Regionale
Lazio,
Sez.
34,
accoglieva, con compensazione delle spese di lite,
l’appello
proposto,
Costantino Antonio,
in
data
24/01/2007,
da
avverso la decisione n.
188/32/2006 della Commissione Tributaria
Provinciale di Roma, che aveva respinto il ricorso
proposto dal contribuente contro il silenzio rifiuto formatosi su di una istanza di rimborso di
media del 32,95% ai sensi dell’art.16 DPR
917/1986), sulla somma capitale percepita, nel
2000, a titolo di corresponsione anticipata, in
sostituzione della rendita previdenziale, di quanto
spettante al medesimo quale iscritto, entro il
28/04/1993, al Fondo di Previdenza Aziendale dei
dirigenti ENEL, istituito sulla base di un
contratto assicurativo di capitalizzazione.
La Commissione Tributaria Regionale, con sentenza
del 22/05/2007, notificata all’Agenzia delle
Entrate in data 30/05/2007, accoglieva il gravame
del contribuente, in quanto riteneva applicabile al
medesimo, iscritto a forma pensionistica
complementare entro il 28/04/1993, la ritenuta del
12,50%
“sulle somme corrispondenti ai versamenti”
del contribuente al Fondo, ed invece la maggiore
“aliquota del 35,74 solo sulla parte eccedente”,
in conformità dell’art.42 comma 4 0 DPR 917/1986,
nel testo all’epoca vigente, come interpretato
dall’art.1 comma 5 0 • 30/1997.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
cassazione, notificato in data 23/02/2009,
l’Agenzia delle Entrate, deducendo un unico motivo,
per violazione e/o falsa applicazione di norme di
diritto, ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli
artt.287 e 288 c.p.c. ed all’art.2909 c.c..
ritenute IRPEF, applicate (sulla base dell’aliquota
Nel ricorso per cassazione, si dà atto che, a
seguito dì istanza di correzione di errore
data 12/10/2007″
materiale, presentata, “in
contribuente, con
dal
“ordinanza n. 1/34/08”,
depositata in data 16/01/2008 (non notificata), la
Commissione correggeva il dispositivo della
sentenza, dichiarando applicabile l’aliquota del
12,50%
“sul rendimento”.
La ricorrente Agenzia
della sentenza, venendo ad incidere sul contenuto
concettuale e sostanziale della decisione, in
quanto nella motivazione non si faceva alcun
riferimento alla distinzione tra
rendimento”,
“capitale e
viola sia le disposizioni concernenti
il procedimento di correzione materiale delle
sentenze sia quella concernente la formazione del
giudicato, in quanto, nella fattispecie, la stessa
istanza, ex art.287 c.p.c., era stata proposta,
nell’ottobre 2007, dopo il passaggio in giudicato
della sentenza, notificata ad istanza del
ricorrente in data 30/05/2007.
Non ha resistito il contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta con
l’unico motivo la nullità della sentenza, come
corretta con l’ordinanza del 16/01/2008, ex art.360
n. 4 c.p.c., per violazione degli artt.287 c.p.c. e
ss. , nonché dell’art.2909 c.c. .
Il motivo è fondato.
L’ultimo comma dell’art. 288 c.p.c. stabilisce che
“le sentenze possono essere impugnate relativamente
alle parti corrette nel termine ordinario
decorrente dal giorno in cui è stata notificata
l’ordinanza di correzione”.
Tale
disposizione
è
stata
costantemente
lamenta quindi che la correzione del dispositivo
interpretata, dalla dottrina e dalla giurisprudenza
di legittimità, nel senso che la facoltà
d’impugnazione in essa prevista attiene ai soli
casi in cui l’ordinanza di correzione abbia
palesato
errores in judicando
o
in procedendo
rimasti, in precedenza, latenti, prima del
provvedimento correttivo (v. Cass. 192/99) oppure
quando l’errore corretto sia tale da ingenerare un
decisione, interferendo con la sostanza del
giudicato (v. Cass. 11429/94) o, addirittura,
quando vi sia stato un improprio uso del potere di
emenda degli errori materiali attribuito al Giudice
dagli artt. 287 – 288 c.p.c., in concreto
utilizzato ai fini una vera e propria riforma della
decisione, dando luogo a surrettizia violazione del
giudicato (v. S.U. n. 5165/04; conf. n. 3075/02).
La portata precettiva di una sentenza va
individuata tenendo conto non soltanto del
dispositivo, ma anche della motivazione, cosicché,
in assenza di un vero e proprio contrasto tra
dispositivo e motivazione, e da ritenersi
prevalente la statuizione contenuta in *una di tali
parti del provvedimento, che va, per l’effetto,
interpretato in base all’unica statuizione che, in
realtà, esso contiene (ctr., ex multis.
Cass. 5666
del 2000), mentre, nell’ipotesi di insanabile
contrasto tra motivazione e dispositivo, non è
consentito individuare la statuizione del giudice
attraverso una valutazione di prevalenza di una
delle contrastanti affermazioni contenute nella
sentenza, né è data la possibilità del ricorso
all’interpretazione complessiva della decisione che presuppone una sostanziale coerenza delle
diverse parti delle proposizioni della medesima – e
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obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della
neppure di utilizzare il procedimento di correzione
di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., poiché si
configura, in tal caso, la nullità di tale
provvedimento (invocabile ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 4) per la sua inidoneità a consentire
l’individuazione del concreto comando giudiziale
(Cass.. 7671 del 1995).
Il contrasto tra motivazione e dispositivo, che dà
ritenere configurabile solo se, ed in quanto, esso
incida sulla idoneità del provvedimento,
considerato complessivamente nella totalità delle
sue componenti testuali, a rendere conoscibile il
contenuto della statuizione giudiziale.
Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui
il detto contrasto sia chiaramente riconducibile ad
un semplice errore materiale, il quale trova
rimedio, come sopra accennato, nel procedimento di
correzione, al di fuori del sistema delle
impugnazioni, distinguendosi, quindi, sia
dall’error in indicando” deducibile ex art. 360
c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex
art. 395 c.p.c., n. 4, – ed è quello che si risolve
in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua
espressione letterale, cagionata da mera svista o
disattenzione nella redazione della sentenza, e
che, come tale, può essere percepito e rilevato
“Ictu °culi”,
senza bisogno di alcuna indagine
ricostruitiva del pensiero del giudice, il cui
contenuto resta individuabile ed individuato senza
incertezza (cfr., Cass. 8946 del 2000, 2958 del
2001 e, recentemente, 29490 del 2008).
Il procedimento di correzione di errori materiali
disciplinato dagli artt. 287 ss. c.p.c.. è pertanto
soltanto funzionale alla eliminazione di errori di
5
luogo alla nullità della sentenza, si deve, quindi,
redazione del documento cartaceo, ma non può in
alcun modo incidere sul contenuto concettuale della
decisione, con la conseguenza che l’ordinanza che
lo conclude non è soggetta ad impugnazione, neppure
con il ricorso straordinario per cassazione ex art.
111 Cost. (atteso il carattere non giurisdizionale,
ma meramente amministrativo di tale provvedimento),
mentre “resta impugnabile, con lo specifico mezzo
(il cui termine decorre dalla notifica del
provvedimento di correzione), la sentenza corretta,
anche al fine di verificare se, merce 11
surrettizio ricorso al procedimento “de quo”, sia
stato in realtà violato il giudicato ormai
formatosi nel caso in cui la correzione sia stata
utilizzata per incidere (inammissibilmente) su
errori di giudizio”
(Cass. S.U. 5165/2004; Cass.
5950/2007).
Infatti, costituendo il relativo procedimento per
la correzione di errore materiale di sentenza un
rimedio esperibile per ovviare a vizi meramente
formali, derivanti da una divergenza evidente e
facilmente rettificabile fra l’intendimento del
giudice e la sua esteriorizzazione, mediante un
provvedimento di natura amministrativa del giudice
medesimo, che lascia intatto il contenuto della
decisione corretta, detto mezzo non è esperibile
anche per emendare vizi attinenti al processo
formativo della volontà, implicando ciò un riesame
1
dei termini della decisione, consentito solo in
sede d’impugnazione; ed a maggior ragione per
modificare le statuizioni in essa contenute (Cass.
7712/2000; 7486/1998; 5977/1998).
Nella fattispecie, invece, la sentenza impugnata,
per la parte corretta ex art.288 c.p.c., non ha
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di impugnazione per essa di volta in volta previsto
considerato
i
menzionati
presupposti,
che
condizionano e limitano il procedimento dì
correzione, in quanto emergeva, in modo palese, un
contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione,
essendo il dispositivo (nel quale si faceva
espresso riferimento alla applicazione
“dell’aliquota del 12,50% sulle somme
corrispondenti ai versamenti del contribuente al
contraddetto da quanto espresso in
motivazione (nella quale, senza alcuna distinzione
tra capitale e rendimento, si rilevava soltanto
l’applicabilità degli artt.6 1.482/1985 e 42 comma
4 ° del TUIR alla prestazione in forma di capitale
corrisposta dall’Enel al contribuente), così non
essendo possibile determinare la statuizione del
giudice, attraverso il confronto tra motivazione e
dispositivo, con valutazioni di prevalenza di una
delle affermazioni contenute nella prima su altre
di segno opposto presenti nel secondo (Cass.
27929/2009; Cass.ord.29490/2008:
“Nel caso di
insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo
non è infatti consentito individuare la statuizione
del giudice attraverso una valutazione di
prevalenza di una delle contrastanti affermazioni
contenute nella decisione, ne’ può farsi ricorso
alla interpretazione complessiva di essa, che
presuppone una sostanziale coerenza tra le diverse
parti
e
proposizioni
della
medesima”;
Cass.19601/2011).
In ogni caso,
con la correzione disposta, il
dispositivo è stato corretto nel senso della
declaratoria di applicabilità dell’
così incidendosi, nella
12,50% sul rendimento”,
ricerca
“aliquota del
dell’effettiva
volontà
del
giudice
d’appello, sul contenuto concettuale e sostanziale
7
Fondo”)
ST-2NTE ..›
Al
– 5
•
N 13;
MATE:IATRI3UTARIA
della decisione.
Inoltre, come lamentato dall’Agenzia ricorrente, il
procedimento di correzione è intervenuto su una
sentenza che risultava essere già stata notificata
all’Agenzia delle Entrate, a cura del contribuente,
sin dal 30/5/2007, con conseguente decorrenza, da
detta data, del termine breve per impugnare, di gg.
deposito, nell’ottobre 2007, dell’istanza di
correzione dell’errore materiale, ex art.287 e SS.
c.p.c., era ampiamente scaduto.
In tal modo,
attraverso il ricorso a tale
procedimento, è stato in realtà, di conseguenza,
violato il giudicato ormai formatosi, essendo stata
la correzione utilizzata (al di fuori delle ipotesi
di legge) per incidere inammissibilmente su errori
di giudizio (Cass. 13075/92; Cass. 13072/2002;
Cass. SS.UU 5165/04; Cass. 5950/2007).
Tutto ciò premesso il ricorso deve essere accolto e
la sentenza impugnata, nella parte corretta con
l’ordinanza n.1/34/2008, deve essere cassata senza
rinvio (per effetto del giudicato formatosi).
Le spese processuali dell’intero giudizio vanno
integralmente compensate tra le parti, attese tutte
le
peculiarità
processuali
della
fattispecie 7ze rri-.!,,T0 24cA!,22:2L .ER:A
17…2D13
concreta.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata, nella parte corretta con l’ordinanza
n.1/34/2008, senza rinvio; dichiara integralmente
compensate tra le parti le spese del giudizio.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Quinta sezione civile, il 10/10/2013.
60, dell’art. 325 c.p.c., che, al momento del
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