Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28521 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. I, 06/11/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 06/11/2019), n.28521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26187/2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del Porto

di Ripetta n. 1, presso lo studio dell’avvocato Puccetti Luca,

rappresentato e difeso dall’avvocato Lamberti Marco, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.T.M. (già M.M.), in persona del curatore

speciale e difensore avvocato Bertelli Andrea, domiciliato in Roma,

P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, nominato con decreto dal Tribunale di Asti;

– controricorrente –

contro

A.J., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Baldracco Monica, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Procura Generale c/o Corte Appello Torino, T.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1215/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

M.A. propone ricorso per cassazione articolato in tre mezzi corroborati da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, in epigrafe indicata, nei confronti di M.M. (nato a (OMISSIS)) in persona del curatore speciale e difensore Avv. Andrea Bertelli, della madre del minore A.J. e di T.G.. Hanno replicato con separati controricorsi A.J. ed il curatore speciale per il minore; questi ha riferito che, nelle more del giudizio, il bambino è stato riconosciuto dal padre naturale T.G. dinanzi all’Ufficiale di stato civile ed ha assunto il cognome A.T.. E’ rimasto intimato T.G..

La Corte territoriale, in controversia concernente il disconoscimento della paternità promosso dal curatore del minore, nominato su istanza della madre, ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato che M.M. non era figlio di A., sulla scorta delle risultanze dalla CTU genetica eseguita.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi ed è ammissibile perchè sono chiaramente evincibili le questioni di diritto proposte.

1.1. Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame della sentenza di separazione dei coniugi M. – A. prodotta nel giudizio di appello – dalla quale, a parere del ricorrente – si evinceva l’interesse di M. ad essere collocato presso il padre in ragione della sua maggiore adeguatezza comportamentale nei confronti del minore e del legame profondo tra i due – e l’omesso esame delle relazioni dei Servizi sociali e del Servizio di neuropsichiatria infantile – dalle quali era ricavabile il miglioramento della situazione interrelazionale tra padre e figlio -, documenti prodotti sia in primo che in secondo grado.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 315 bis c.c., con riferimento al dovere di ascolto del minore.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha respinto il motivo di appello concernente la mancata audizione del minore da parte del primo giudice, ritenendo fondata la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto non opportuno sottoporre “il minore che non ha ancora compiuto i dodici anni a situazioni stressanti e destabilizzanti” in considerazione de “la sofferenza psicologica del minore ed il disagio a parlare del proprio ambiente familiare e della figura materna uniti all’esaustività delle acquisite relazioni dei servizi sociali e di NPI ed alla protratta opera manipolatoria posta in essere da M.A.”, oltre che della “dubbia capacità di discernimento” rapportata al ritardo nello sviluppo del linguaggio da cui è affetto M. (fol. 7 della sent. imp.).

Il ricorrente invoca il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano e critica la statuizione anzidetta sostenendo che il disturbo del linguaggio non compromette la capacità di discernimento e che la mancanza di tale capacità di discernimento avrebbe dovuto essere direttamente verificata e non tratta aliunde da elementi privi di rilievo scientifico; a sostegno rimarca che il minore – non ascoltato nel presente procedimento era stato tuttavia ascoltato dai Servizi sociali e dal CTU nel giudizio di separazione personale dei coniugi M. – A. e ritenuto capace di discernimento.

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 100 c.p.c. stante – nella prospettazione sostenuta mediante il richiamo alla CTP redatta dalla Dott. Al. nell’ambito di separazione personale – la assoluta carenza di interesse del minore ad agire nei confronti del padre legittimo e a conoscere la propria paternità biologica in ragione del forte legame affettivo con M.A..

2. Il secondo motivo è fondato, sicchè il suo accoglimento, comportando la caducazione dell’impugnato provvedimento, assorbe le altre ragioni di doglianza il cui esame diviene perciò superfluo.

2.1. Osserva la Corte che l’ascolto del minore costituisce adempimento necessario ai sensi dell’art. 315 bis c.c., introdotto dalla L. n. 219 del 10 dicembre 2012, anche nel procedimento di disconoscimento di paternità.

Invero, detta audizione, prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, aveva acquisito tale carattere doveroso, nelle procedure che riguardavano i minori, già ai sensi degli art. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. 20 marzo 2003, n. 77, cioè ancor prima che dell’evoluzione normativa in atto si facesse interprete il legislatore nazionale mediante la più generale previsione dell’art. 315-bis c.c., comma 3, come si evince da quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite sin dalla sentenza n. 22238 del 21/10/2009.

2.2. In tema, è stato chiarito, sottolineando il valore procedimentale della regola oggi codificata, che “il diritto di essere ascoltato” è un “diritto assoluto del minore”, ultradodicenne o infradodicenne capace di discernimento, e costituisce una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione dell’interesse del fanciullo al suo sviluppo armonico psichico, fisico e relazionale (Cass. n. 6129 del 26/03/2015; Cass. n. 12018 del 07/05/2019): l’ascolto consente, invero, la partecipazione diretta del minore stesso al giudizio, sia quando questi sia “parte in senso sostanziale” (Cass. n. 5237 del 5/3/2014) – come nei giudizi in cui si controverte di affidamento e diritto di visita -, sia, a maggior ragione, quando questi sia parte in senso formale – come nel giudizio di disconoscimento della paternità (art. 247 c.c.) – ma la sua posizione processuale risulti necessariamente rivestita dal curatore speciale (art. 244 c.c., u.c.).

2.3. L’audizione è un atto processuale del giudice (art. 336 bis c.c.), che può stabilire, nell’interesse del minore, modalità particolari per il suo espletamento, comprendenti anche la delega specifica ad esperti, senza tuttavia che possa ritenersi sufficiente, a tale scopo, che il minore sia stato interpellato o esaminato da soggetti (ad esempio, gli assistenti sociali) nell’ambito della loro ordinaria attività, e cioè senza specifica delega, e le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale (Cass. n. 11687 del 15/05/2013; Cass. 15365 del 22/07/2015).

In proposito è stato anche sottolineato, proprio perchè il minore ha diritto di essere ascoltato, purchè abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, quando sia comunque capace di discernimento, che l’audizione – anche nel caso in cui sia disposta, secondo il prudente apprezzamento del giudice, a mezzo di consulenza tecnica – “… non può…in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al contrario, un’espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni” (Cass. n. 5097 del 05/03/2014).

2.4. Tanto premesso va osservato che l’obbligo dell’audizione può essere derogato solo ove non si ravvisi la capacità di discernimento, nel caso del minore infradodicenne, ovvero in tutti i casi in cui esistano particolari ragioni – che il giudice di merito deve indicare specificamente – che la sconsiglino (v. in tema, infra, sub 2.6.).

2.5. Ne consegue che l’omesso adempimento o l’omessa motivazione sulla sua assenza costituiscono lesione del diritto al contraddittorio, da far valere in sede d’impugnazione nei limiti e secondo le regole fissate dall’art. 161 c.p.c. (Cass. n. 5847 del 08/03/2013; Cass. n. 7479 del 31/03/2014).

2.6. Il ricorrente lamenta la lesione di tali principi, deducendo la violazione del disposto normativo in relazione ai casi che consentono la deroga alla obbligatorietà dell’ascolto, e sostanzialmente contesta il mancato accertamento della assenza di capacità di discernimento del minore e l’utilizzazione di elementi estranei al giudizio per ravvisare la ricorrenza di condizioni ostative di altra natura.

Orbene, la Corte di appello ha ritenuto di confermare la decisione di primo grado di non procedere all’audizione per le ragioni già prima sintetizzate, che prospettano un dubbio circa la sussistenza della capacità di discernimento e deducono – di contro – l’opportunità a non sottoporre il minore a situazioni stressanti e destabilizzanti conseguenti alle vicende occorse nel giudizio di separazione tra i coniugi M. – A..

E’ vero, peraltro, che nel pronunciarsi in questi termini, il giudice territoriale sembra aver tenuto conto di una giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, sebbene a fronte della più generale previsione ora recata dall’art. 315-bis c.c. non sia spendibile l’argomento che l’incombente dell’ascolto non riveste carattere di adempimento obbligatorio – e ciò anche nel procedimento di disconoscimento della paternità -, tuttavia esso potrebbe pur sempre essere omesso, oltre che nel caso in cui il minore infradodicenne sia privo della capacità di discernimento, anche laddove, esso si riveli superfluo, contrario al suo interesse o addirittura dannoso per esso, in applicazione dell’art. 336 bis c.c. (Cass. n. 18538 del 02/08/2013; Cass. n. 7479 del 31/03/2014; Cass. n. 19327 del 29/09/2015).

L’assunto, per come la Corte di appello – confermando sul punto la statuizione di primo grado – ha ritenuto di farlo proprio, non può essere condiviso.

2.7. Come già questa Corte ha avuto modo di affermare, in via di principio va infatti previamente rimarcata la centralità che il diritto all’ascolto assume nell’attuale assetto della materia, della quale esso costituisce regola fondamentale e tendenzialmente inderogabile (Cass. n. 18649 del 27/07/2017), anche se le dichiarazioni del minore poi non vincolano il giudice nell’adozione dei provvedimenti nel suo superiore interesse.

Nè è poi trascurabile nell’economia del procedimento la circostanza che l’audizione del minore non è incombente fine a se stesso volto a dare mero adempimento ad un obbligo più generalmente sancito dalla legge, ma mira, nel segno di un’accresciuta considerazione della dignità del minore quale persona in grado di esprimere una volontà autonoma, a mettere il giudice in condizioni di poter valutare de visu et de auditu, se lo stesso sia stato adeguatamente informato sulle vicende processuali in atto e quanto questi abbia da dire e/o manifesti in merito ai rapporti personali e familiari sottostanti, quando non vi osti più generalmente l’età.

2.8. Ciò ricordato, va rimarcato che la necessità dell’ascolto acquista un valore ancor più pregnante in tema di azioni di status, quale quella di disconoscimento della paternità, ove il minore è parte processuale che – anche ove sia promotore del giudizio, come nel caso in esame – non agisce personalmente, ma a mezzo del curatore speciale, anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2017.

Il Giudice delle leggi – nel respingere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. – ha infatti sottolineato con ampi riferimenti all’azione di disconoscimento, che “non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore” e che “va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altro. Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore.” la cui tutela rappresenta principio immanente in tutto il sistema normativo sia nazionale che internazionale. In tal modo ha preso atto e confermato il diritto vivente già espresso da questa Corte, secondo cui “il quadro normativo (art. 30 Cost., art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e art. 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica – anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale.” (Cass. n. 26767 del 22/12/2016), ove è rimarcato in motivazione – il rilievo da attribuirsi, al fine di attuare il predetto bilanciamento, all’ascolto del minore al fine di accertare quale sia, in concreto, il suo interesse, valorizzando primariamente i risultati della sua audizione, una volta accertatane da parte del giudice la capacità di discernimento (così, anche in tema di riconoscimento tardivo del minore, Cass. n. 7762 del 27/03/2017).

2.9. Ne discende che, in tema di azioni di status, l’ascolto del minore è certamente necessario, anche se espressivo di una volontà non vincolante per il giudicante, nell’ambito del percorso decisionale che il giudice del merito è tenuto a sviluppare per attuare il doveroso bilanciamento tra favor veritatis e favor minoris, onde la sua omissione per i rilevanti effetti che possono derivarne non solo sul piano procedimentale, ma anche sul piano sostanziale, non può trovare giustificazione nè nel “dubbio” circa la capacità di discernimento del minore, nè su ragioni di mera opportunità, come avvenuto nel caso in esame.

2.10. In particolare, per temperare l’obbligatorietà

dell’adempimento, nei limiti di ordine discrezionale già individuati da questa Corte (v. supra sub 2.6.), non è invocabile il mero dubbio circa la capacità di discernimento, assertivamente collegato ad un ritardo nello sviluppo del linguaggio, poichè questo non è sufficiente ad escludere l’ascolto ex art. 315 bis c.c., giustificabile solo per l’assenza di capacità di discernimento.

2.11. Ugualmente non possono assumere rilievo ragioni di opportunità motivate da “la sofferenza psicologica del minore ed il disagio a parlare del proprio ambiente familiare e della figura materna uniti all’esaustività delle acquisite relazioni dei Servizi sociali e di NPI e alla protratta opera manipolatoria posta in essere da M.A. ” (fol. 7 della sent. imp.): ciò, da un lato, appare come un utilizzo non corretto, proprio perchè ritenuto esaustivo, di elementi istruttori afferenti al diverso giudizio di separazione, tanto più che dagli stessi emerge – sia pure nelle sintetica esposizione – una situazione familiare gravemente compromessa dalla conflittualità genitoriale anche nelle relazioni madre/figlio, che avrebbe richiesto un maggior approfondimento proprio da parte del giudice dell’azione di status, attese le ricadute trancianti che questa è destinata potenzialmente ad avere sui rapporti affettivi e personali sottostanti al rapporto di filiazione; dall’altro non esonera, nè rende automaticamente superfluo l’ascolto del minore.

Va anche considerato, su questo ultimo profilo, che la statuizione risulta sostanzialmente tautologica e generica perchè pone a fondamento del diniego l’indubitabile disagio psicologico che può conseguire ad un giudizio di separazione tra coniugi e/o, ancor più, ad un’azione di disconoscimento della paternità, senza tuttavia considerare che la scelta di non ascoltare il minore per ciò solo non esclude, nè riduce il disagio e la sofferenza psicologica del bambino, mentre – al contrario – un ascolto effettuato con modalità appropriate e conformi al suo profilo psicologico avrebbe potuto attenuare o ridimensionare il disagio e, comunque, aiutare a comprenderne meglio le ragioni anche in riferimento alle dinamiche interpersonali in atto con – e tra – i genitori, rilevanti per l’accertamento in concreto del suo interesse.

Invero l’argomento avrebbe richiesto un maggior impegno motivazionale (Cass. n. 19327 del 29/09/2015; Cass. n. 10784 del 17/04/20), occorrendo che in funzione dell’omissione dell’ascolto fossero state quantomeno fissate le ricadute emotive misurabili in termini di compromissione dello stato di benessere psico-fisico del minore ed anche sotto questo profilo l’errore procedimentale imputato alla decisione impugnata è evidente. Ed invero, questa Corte, ha già ammonito – in modo tanto più condivisibile quanto più sommaria risulti la giustificazione in contrario offerta dal decidente che “la predisposizione di un contesto che tenda a mettere a proprio agio il minore ed a favorirne la spontaneità e la chiarezza delle dichiarazioni costituisce un compito del Tribunale e non un elemento di criticità nella valutazione del contenuto delle stesse” (Cass. n. 18846, del 26/09/2016; Cass. n. 18649 del 27/07/2017): ne discende, dunque, che sarebbe stato onere del decidente, stante l’obbligatorietà dell’adempimento, previa effettiva verifica della capacità di discernimento, allestire le condizioni attraverso le quali procedere all’audizione del minore.

3. In conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Torino in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

– Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino in diversa composizione anche per le spese;

– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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