Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28520 del 20/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28520 Anno 2013
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: FERRO MASSIMO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12,
-ricorrente Contro
FORNELLI Francesco, leg. rappr. e difeso dagli avv.ti Carlo Gminiello e Luigi
Quercia del foro di Bari ed elettivam. dom. in Roma, viale del Vignola n.5, presso lo
studio dell’avv. Livia Ranuzzi, come da procura in calce all’atto
-controricorrente-

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ns. m. ferro

Data pubblicazione: 20/12/2013

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Bari 23.10.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 1 ottobre 2013
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
uditi l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe per la ricorrente;

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Bari, 23.10.2008, che, in conferma della sentenza C.T.P. di Bari n.
449/15/2006, ebbe a ribadire la non legittimità dell’avviso di accertamento, a carico
del socio Francesco Fornelli, riveniente da quello emesso per il 1998 e per un
maggior reddito d’impresa, a carico della società Revolution Game s.r.1., da lui
partecipata al 50% e sul presupposto della ristretta composizione di quel sodalizio.
Ritenne la C.T.R. che la presunzione di un reddito di partecipazione, con
passaggio ad utili direttamente nei confronti dei soci, non poteva nel caso istituirsi
come titolo per il contestato recupero a tassazione di reddito (per IRPEF,
addizionale regionale e sanzioni), in quanto vi era stata — nel corso dell’esercizio
accertato, il 1998 e circa a metà anno, il 28 luglio — cessione a terzi della quota stessa,
anteriormente all’approvazione del bilancio, conseguendone l’impossibilità di una
distribuzione di utili. Né potevano dirsi dissolti i dubbi, ripresi avanti alla C.T.R. e
non confutati dall’appellante Ufficio nonostante il richiesto riconoscimento di
legittimità dell’avviso di accertamento nella minor entità di 309 mila curo circa
rispetto agli iniziali 573 (e poi 559) mila curo circa, apprezzandosi ostativa a
sovvertire la decisione della C.T.P. la circostanza che detta cessione era avvenuta
anche e proprio con riguardo al diritto a partecOare agli utili con effetto dall’eserckio in corso.
In ogni caso, pur potendosi ipotizzare un’attribuzione degli utili materialmente
contestuale alla loro formazione, appariva ancora eccessiva la loro misura, riferita
nella richiesta dell’Ufficio all’accertamento sull’intero anno 1998. Né poteva
accogliersi, per la C.T.R., la citata rideterminazione al ribasso, priva di prova e
scaturita da calcoli sconosciuti al giudicante. Doveva poi respingersi l’appello anche
in ordine all’ulteriore carenza di motivazione dell’atto, impugnato per difetto di
allegazione ad esso del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.f. a carico
della società e del quale nemmeno era stato riportato — quanto al socio — il contenuto
essenziale.
Il ricorso è affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il contribuente.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto il vizio di insufficiente ed illogica
motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art.360 n. 5
cod.proc.civ. e concernente la dedotta mancanza di motivazione • ell’atto di
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i’ . m.ferro

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Immacolata Zeno,
che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.

1. Il primo motivo è fondato. L’avviso di accertamento impugnato, emesso a carico del
socio, contiene un riferimento in termini essenziali a quello già spiccato verso la
società, sia per la modalità di notifica (con la relativa allegazione), sia per il richiamo
nei suoi tratti determinanti del contenuto del processo verbale di constatazione,
facendosi esplicita menzione di ricavi non contabilizzati e non dichiarati, con maggiori
utili accertati in evasione d’imposta per l’anno 1998 e già configurandosi il titolo della
responsabilità del socio, partecipe di una società a responsabilità a base sociale
ristretta. Il citato riscontro, quale permesso dal tenore della censura, induce ad un
apprezzamento di insufficienza ed illogicità della motivazione della sentenza qui
avversata.
9. Anche il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per la loro connessione,
sono fondati. La C.T.R., nel prestare ossequio al principio per cui gli utili occulti
societari si presumono distribuiti in capo ai soci, senza necessità di ricerca di una
formale delibera ed anzi ipotizzando che tale retrocessione sia contestuale alla
costituzione interna dei primi, del tutto illogicamente si limita a respingere il criterio di
imputazione contestato dall’Ufficio al socio, omettendo di rilevare che la sua
progressivamente corretta quantificazione mirava ad esporre il criterio del ragguaglio
temporale alla durata della sua partecipazione in società, pari a circa mezzo anno
nell’esercizio 1998, considerato invece errato dal giudicante. Appare così del tutto ed
anche contraddittorio da un lato riconoscere, in conformità all’accertamento, la
mancata contabilizzazione — in capo alla società – degli incassi e movimenti bancari
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accertamento a carico del socio, avendo la corte travisato l’atto impositivo ed a tal
fine non considerato che il p.v.c. emesso sulla s.r.l. era stato invece riportato nella
motivazione dell’accertamento societario allegato a quello del socio. A suffragio del
motivo, Agenzia delle Entrate ha riprodotto entrambi gli avvisi di accertamento,
nella loro integralità.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto ancora l’insufficiente ed illogica
motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 n.
5 cod.proc.civ., avendo la corte erroneamente negato la sussistenza del criterio di
imputazione, a carico del socio, dell’ammontare del maggior reddito societario
accertato, apparendo invece evidente che la riduzione in appello proposta
dall’Ufficio, con decremento della quota attribuita, derivava da un ricalcolo riferito al
periodo di partecipazione di Fornelli alla s.r.1., limitato grosso modo alla metà del
1998, essendo inoltre frutto di mero errore di trascrizione la diversa somma
inizialmente richiesta nell’atto di accertamento, comunque il tutto evincibile ex actis
dalla C.T.R. in ragione di un apprezzamento di impugnazione-merito della
controversia.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge con riguardo agli
artt. 112 cod.proc.civ. e 1 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art.360 n. 3
cod.proc.civ., avendo la C.T.R. trascurato di considerare che, investita con
l’impugnazione dell’atto anche della cognizione del rapporto tributario, avrebbe
dovuto rideterminare il reddito imponibile a carico del socio, non limitandosi ad
annullare l’atto nella sua interezza.

Il processo tributario assume infatti le caratteristiche generali del mezzo di gravame,
ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga, quindi, il giudice
tributario a decidere nel merito le questioni proposte (Cass. 13132/2010), stante la
riconosciuta almeno parziale fondatezza della pretesa tributaria (Cass. 13868/2010) e
dunque previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti, da un
lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e,
dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente
(Cass. 21759/2011; 13034/2012).
Sussistono pertanto le ragioni, con l’accoglimento del ricorso, per la cassazione della
decisione impugnata, con rinvio alla C.T.R. Puglia, in diversa composizione, anche per
la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia a C.T.R. Puglia,
in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1 ottobre 2013.

per tutto l’anno, con determinazione di utili occulti e respingere, dall’altro, il risultato
del ribaltamento di essi a carico del socio, così travolgendo per sua apprezzata
imprecisione o non persuasività il citato criterio della dimidiazione secca riferita alla
cessione di quote a metà anno, ma al contempo anche la regola, appena affermata,
della regolazione distributiva appunto consentanea alla formazione degli utili occulti,
che avrebbe invero richiesto una pronuncia di merito sostitutiva dell’accertamento
dell’Ufficio, per altra parte fondato.

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