Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28514 del 29/11/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/11/2017, (ud. 21/06/2017, dep.29/11/2017),  n. 28514

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che, con sentenza depositata il 22.2.2011, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Catanzaro aveva ingiunto alla Confesercenti Provinciale di Catanzaro di pagare all’INPS somme per contributi omessi in danno di un lavoratore suo dipendente e l’ha condannata a pagare all’INPS, per il medesimo titolo, la somma di Euro 35.905,39 oltre accessori;

che avverso tale pronuncia la Confersercenti Provinciale di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo per avere la Corte di merito trasformato la domanda di condanna generica, subordinatamente proposta dall’INPS in appello, in una domanda di condanna specifica;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, art. 420 c.p.c., commi 5 e 7, artt. 414 e 134 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., per avere la Corte territoriale supplito d’ufficio alle carenze istruttorie dell’INPS circa la quantificazione dei contributi omessi, senza nemmeno esplicitare i motivi dell’esercizio dei poteri ufficiosi; che, con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 420 c.p.c., comma 1, per avere la Corte di merito ritenuto che la domanda subordinatamente avanzata dall’INPS in appello costituisse mera riduzione della domanda originariamente fatta valere in monitorio, laddove implicava una mutatio libelli, nemmeno autorizzata; che, con il quarto motivo, la ricorrente si duole di violazione degli artt. 434 e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale riformato la pronuncia sulle spese in assenza di esplicito gravame dell’INPS sul punto; che, con riguardo al primo motivo, è sufficiente rilevare che la domanda originariamente spiegata dall’Istituto mercè il ricorso al procedimento monitorio era ovviamente specifica, non potendosi chiedere un decreto ingiuntivo se non per una somma liquida di denaro o una certa quantità di cose fungibili o una cosa mobile determinata (art. 633 c.p.c.), di talchè nessuna ultrapetizione è imputabile alla Corte territoriale, essendosi chiarito che, qualora l’attore abbia formulato una domanda condanna specifica e successivamente l’abbia limitata all’an debeatur, non potrebbe il giudice pronunciare una condanna generica e rimetterne la liquidazione ad un separato giudizio senza che il convenuto abbia prestato il proprio consenso (cfr. Cass. nn. 5997 del 2007 e 4487 del 2000);

che, con riguardo al secondo motivo, è decisivo osservare che la quantificazione, mediante gli opportuni calcoli matematici, di una domanda di cui siano presenti agli atti del processo tutti i presupposti di fatto per la sua liquidazione costituisce attività cui il giudice può provvedere anche d’ufficio, eventualmente avvalendosi di un consulente tecnico (ciò che peraltro l’INPS aveva ritualmente chiesto: cfr. ricorso per cassazione, pag. 9), onde deve escludersi che, ordinando all’INPS di produrre un conteggio relativo alle quantificazione della domanda proposta in subordine, la Corte territoriale sia incorsa in alcuno degli errores in procedendo lamentati da parte ricorrente, che presuppongono viceversa l’abusiva disposizione di mezzi di prova;

che, con riguardo al terzo motivo, deve escludersi che, commisurando l’entità dei contributi dovuti non già al periodo di rapporto di lavoro e al livello d’inquadramento dedotti con il ricorso per decreto ingiuntivo, bensì a quelli successivamente accertati giusta sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 2986/2001, in riferimento ai quali l’INPS aveva proposto la domanda subordinata, la Corte di merito abbia dato ingresso ad una domanda nuova, giacchè la domanda proposta in monitorio da parte dell’Istituto concerneva pur sempre i contributi dovuti per il rapporto di lavoro intercorso tra l’odierna ricorrente e il suo dipendente G.G. e il diverso atteggiarsi di quest’ultimo non può mai mutare il fatto costitutivo della pretesa, potendo solo incidere sul suo ammontare; che, con riguardo al quarto motivo, è sufficiente ricordare che, per consolidato orientamento di questa Corte, la riforma della decisione di primo grado comporta la caducazione ex art. 336 c.p.c. anche del capo con cui la decisione riformata ha statuito in ordine al governo delle spese, dovendo queste ultime essere liquidate secondo l’esito finale e globale della lite e non secondo il risultato delle varie fasi (giurisprudenza consolidata fin da Cass. n. 2176 del 1978; cfr. da ult. Cass. n. 1775 del 2017);

che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2017

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