Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28509 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 06/11/2019), n.28509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4449/2016 proposto da:

LABOR SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI PETTINARI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 204/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/08/2015, R. G. N. 482/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo

del ricorso;

udito l’Avvocato ALBERTO LUCCHETTI per delega verbale avvocato

ALESSANDRO LUCCHETTI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.M. conveniva in giudizio la Marctour s.r.l., poi Labor Service s.r.l., sostenendo di avere di fatto svolto, sin dal 2007, attività di lavoro subordinato in luogo di quanto previsto dai contratti di collaborazione a progetto formalmente convenuti tra le parti.

Il Tribunale di Ancona dichiarava che dall’ottobre 2009 sussisteva tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la società al pagamento di una indennità pari ad otto mensilità della retribuzione globale di fatto L. n. 183 del 2010, ex art. 32. All’esito del gravame la Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata l’11.8.15, esclusa ogni decadenza dall’impugnativa dei contratti formalmente stipulati tra le parti, dichiarava sussistente, sulla base delle emergenze istruttorie ed in parziale riforma della pronuncia gravata, un rapporto di lavoro subordinato part time dal 17.10.07 al 30.9.08 con inquadramento al 3^ livello impiegati di cui al c.c.n.l. terziario, condannando la società al pagamento di tutte le differenze retributive (detratti i compensi corrisposti a titolo di collaborazione), ritenendo inapplicabile al caso de quo l’art. 32 citato e la conseguente condanna al pagamento dell’indennità ivi prevista. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Labor Service s.r.l, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.

La P. è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, dolendosi che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto inapplicabile al caso di specie il regime sanzionatorio indennitario di cui alla norma citata.

2.- Con secondo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., posto che la P. non aveva in alcun modo contestato in appello l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, al caso in esame.

3.- Il primo motivo è fondato.

Non v’è infatti dubbio che la richiesta di conversione del contratto di lavoro a progetto (pur precedente l’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010), di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e segg., rientri nell’ipotesi di conversione di cui della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che trova applicazione, anche retroattiva (art. 32, comma 7: il regime di cui al 5comma si applica a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010: nella specie il giudizio è iniziato nel 2012, dopo l’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010), con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo, Cass. n. 20500/18, Cass. n. 16435/18, Cass. n. 10317/17, Cass. n. 9590/17.

Parimenti non v’è dubbio che l’ipotesi di dichiarazione giudiziale della illegittimità di un contratto di collaborazione a progetto e conseguente declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sia riconducibile all’ipotesi di conversione (sia pure in senso atecnico, utilizzata dal legislatore) di un contratto di lavoro a termine, quale, per sua intrinseca natura (il progetto non può ontologicamente che essere a tempo determinato), il contratto di lavoro a progetto, così come è già stato ritenuto da questa Corte per l’ipotesi di lavoro autonomo a termine, per il contratto di formazione e lavoro, etc. (v. giurisprudenza sopra citata).

L’art. 32, comma 5, stabilisce che “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento, stabilendo una indennità onnicomprensiva..”.

La norma è esplicitamente retroattiva.

Ne consegue l’applicabilità della misura indennitaria anche ai co.co.pro. stipulati ed impugnati anche anteriormente, la cui lite penda, o sia addirittura iniziata dopo, l’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010.

3b.- Intendendo il Collegio ribadire il principio, più analiticamente osserva che la norma in esame prevede che, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanni il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. n. 604 del 1966, art. 8.

La lettura comparativa con il comma 4 dello stesso articolo rivela immediatamente come il quinto richiami esclusivamente l’istituto del “contratto a tempo determinato”, senza alcuna sua regolamentazione specifica; al contrario del quarto, che indica invece analiticamente, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento. Sicchè, il comma 5, contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale di “casi” di “conversione del contratto a tempo determinato” senza alcuna specificazione normativa di riferimento, nè aggiunta di ulteriori elementi selettivi.

3c.- Sulla base di tale piana constatazione interpretativa, questa Corte già da tempo ha adottato una lettura estensiva della formula “casi di conversione del contratto a tempo determinato”, comprensiva anche dei contratti di lavoro temporaneo, non preclusa da una “indicazione”, contenuta nella sentenza 9 novembre 2011, n. 303 della Corte costituzionale, in quanto “non vincolante e limitata ad un inciso, peraltro riguardante il contratto di somministrazione, in una sentenza focalizzata su altro problema” (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404).

Ed infatti, nello scrutinio di legittimità costituzionale della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, alla stregua di previsione irragionevolmente riduttiva del risarcimento del danno integrale già conseguibile dal lavoratore, illegittimamente estromesso alla scadenza del termine, sotto il regime previgente e (per quanto qui interessa) “con effetti discriminatori nei confronti di una serie di lavoratori… in situazioni comparabili”, la Consulta ha escluso (al p.to 3.3.3. del Considerato in diritto) una “indebita omologazione, da parte del modello indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni diverse” per le “ulteriori disparità di trattamento segnalate dal Tribunale di Trani”, attesa “l’obiettiva eterogeneità delle situazioni”, preclusiva dell’assimilabilità del “contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine)… ad altre figure illecite”: quali la somministrazione irregolare di manodopera (specificamente rilevante nei due arresti di legittimità citati), la cessione illegittima del rapporto di lavoro e quella dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata (qui appunto rilevante).

L’inesistenza di un vincolo interpretativo nel passo della sentenza della Corte costituzionale appena illustrato, già ritenuta da questa Corte nei precedenti richiamati, deve essere qui ribadita. E non soltanto per l’ovvia considerazione del limitato effetto (processuale) della pronuncia di rigetto sulla questione rimessa, in assenza di alcuna decisione sulla legge; ma anche per l’inidoneità dell’argomentazione a costituire dato ermeneutico impegnativo, in riferimento alla (in)applicabilità dell’art. 32, comma 5 L. cit. alle diverse fattispecie illecite richiamate in via esemplificativa, in funzione di mera esclusione della prospettata disparità di trattamento per obiettiva eterogeneità delle situazioni. Sia pure non esplicitato dalle due sentenze citate, questo è stato l'”altro problema” sul quale la “sentenza” si è “focalizzata”, senza una più puntuale definizione del perimetro della norma, in quanto eccedente la questione di costituzionalità prospettata.

3d.- Tanto chiarito, occorre allora assumere come dato acquisito, per indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato in diritto vivente, la necessità (e, al tempo stesso, la sufficienza) di verificare, per l’inclusione nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, della fattispecie in esame, la sussistenza delle due sole condizioni: a) di natura a tempo determinato del contratto di lavoro; b) di presenza di un fenomeno di conversione.

Tale approdo interpretativo (oltre che nelle citate Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404, in numerose successive, tra le quali: Cass. 1 agosto 2014, n. 17540; Cass. 20 ottobre 2017, n. 24887; Cass. 3 aprile 2018, n. 8148; Cass. 12 giugno 2019, n. 15753, in materia di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 1, lett. a) e di somministrazione a termine) è stato ribadito con l’inequivoca affermazione della rilevanza, a fini di applicazione dell’indennità in questione, del duplice presupposto della natura a tempo determinato del contratto di lavoro dedotto in giudizio e della sua “conversione”, estensibile all’accertamento di ogni ragione che comporti la stabilizzazione del rapporto, anche se derivante da una deviazione dalla causa o funzione ad esso propria, come nell’ipotesi di nullità del termine finale apposto al contratto di formazione e lavoro per mancato adempimento dell’obbligo formativo (Cass. 21 giugno 2018, n. 16435), o addirittura di illegittimità di un contratto di lavoro autonomo a termine, convertito in contratto a tempo indeterminato, poichè la predetta indennità consegue a qualsiasi ipotesi di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sostituzione di altra fattispecie contrattuale a tempo determinato (Cass. 3 agosto 2018, n. 20500).

4. Occorre allora verificare l’applicabilità degli enunciati principi di diritto al contratto di lavoro a progetto, che è, come noto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, alla stregua di una particolare forma di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del primo e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa, senza che si configuri una soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione: con la conseguenza che il progetto concordato non può consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni a carico del lavoratore coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (Cass. 6 settembre 2016, n. 17636).

Si deve poi ritenere che la nozione di “specifico progetto” consista, tenuto conto delle precisazioni introdotte dalla L. n. 92 del 2012, art. 61 cit., in un’attività produttiva chiaramente descritta e identificata, funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale (e dunque ad un termine) cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore e con la precisazione della non necessaria inerenza del progetto specifico ad un’attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto all’ordinaria e complessiva attività di impresa (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24379; Cass. 26 aprile 2018, n. 10135).

Sicchè, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)) si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si proceda ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma all’automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione (Cass. 21 giugno 2016, n. 12820; Cass. 17 agosto 2016, n. 17127; Cass. 5 novembre 2018, n. 28156).

Nè un tale regime sanzionatorio contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, per il quale è stato escluso che il legislatore o le parti possano imporre presunzioni o qualificazioni contrattuali di autonomia che sottraggano alle indefettibili garanzie del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza (Corte Cost. 25 marzo 1993, n. 121; Corte Cost. 23 marzo 1994, n. 115), in quanto posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, nemmeno essendo sottratti al giudice i poteri di qualificazione del rapporto, ma introdotta una sanzione consistente nell’applicazione al rapporto delle garanzie del lavoro dipendente; neppure esso contrasta con l’art. 41 Cost., comma 1, traendo origine da una condotta datoriale di violazione di prescrizioni di legge ed essendo coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore (Cass. 4 aprile 2019, n. 9471).

Se allora le condizioni di applicabilità dell’indennità omnicomprensiva prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, sono costituite dalla natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione, occorre affermare, in coerente continuità con l’indirizzo interpretativo di questa Corte, la loro ricorrenza anche nel caso in esame.

5.1. Posto che la temporaneità deve naturalmente essere intesa non soltanto nel senso di predeterminazione cronologica espressamente individuata dall’apposizione di un termine finale, ma di intrinseca limitazione nel tempo di un’attività, destinata a cessare con il raggiungimento di un obiettivo chiaramente predefinito, il contratto di lavoro a progetto integra questa prima condizione.

Esso è, infatti, ontologicamente a tempo determinato, siccome da ricondurre costitutivamente ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale.

5.2. La perdita della caratteristica coessenziale del “progetto” introduce la seconda condizione necessaria: la presenza di un fenomeno di conversione.

E’ noto che l’espressione “conversione”, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, sia utilizzata in dottrina e giurisprudenza per descrivere il meccanismo in base al quale la nullità della clausola di apposizione del termine non produce la nullità dell’intero contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c., comma 2, comportante la conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, e cioè in un contratto privo della clausola accidentale nulla. L’operatività di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema, in altri è stabilito espressamente dalla legge (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404).

Ed è ciò che accade anche per il contratto in esame, per esplicita previsione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, secondo il quale un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, che sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, si converte automaticamente in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La conclusione raggiunta in via di coerente interpretazione sistematica neppure è smentita dalla L. n. 183 del 2010, art. 50, che anzi (e peraltro) esplicitamente menziona la conversione. Esso prevede: “Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 1202 e segg., nonchè abbia, dopo la data di entrata in vigore della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso ovvero offerto l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

E’ indubbio che la norma introduca un regime speciale finalizzato a limitare, in sede di prima applicazione della L. n. 183 del 2010, ed alle condizioni indicate, le conseguenze sanzionatorie in caso di accertamento della natura subordinata del rapporto delle collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto, già oggetto di un’offerta di stabilizzazione ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 e segg. (cosiddetta “legge finanziaria 2007”); non potendo così trarsene una regola generale nel senso di escludere, in difetto delle condizioni di stabilizzazione eccezionalmente indicate, il contratto in esame dalla soggezione al nuovo generale regime indennitario.

Il contenuto normativo dell’art. 50, in parola, che risponde a finalità proprie e attende ancora un più compiuto chiarimento interpretativo, si colloca pur sempre nell’alveo di una fondamentale istanza legislativa di determinazione del risarcimento del danno in via forfettizzata, congruente con la ratio di attribuzione al sistema del lavoro temporaneo di un maggior grado di certezza e stabilità.

Per quanto qui interessa, esso stabilisce in particolare una riduzione, per così dire premiale (dell’emersione delle collaborazioni coordinate e continuative, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, in seguito alle procedure di stabilizzazione suindicate), in misura di metà del massimo dell’indennità; non diversamente dalla previsione dell’art. 32 cit., comma 6, di dimidiazione della misura dell’indennità del comma 5 (“In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”), in funzione promozionale di soluzioni sindacali del contenzioso rilevante sedimentatosi, in materia, in alcuni settori produttivi.

Sicchè, non ci sono ragioni per dubitare che l’art. 50 L. cit., osti all’applicabilità dell’indennità omnicomprensiva istituita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo.

6. Le superiori argomentazioni comportano l’accoglimento del primo motivo esaminato, con affermazione, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, del seguente principio di diritto:

“Il regime indennitario istituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, si applica anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, in quanto fattispecie nella quale ricorrono le condizioni della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione”.

7.- Non rileva poi, per i fini che qui interessano, la dedotta circostanza che la P. avrebbe lamentato in sede di appello solo l’esiguità della misura risarcitoria, senza alcuna specifica doglianza in ordine all’applicabilità nella specie della L. n. 183 del 2010, ridetto art. 32.

Ritiene infatti il Collegio che nella censura inerente la misura del risarcimento possa e debba ritenersi contenuta anche quella inerente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, norma cogente avente come detto efficacia retroattiva.

Il ricorso deve essere pertanto accolto con riferimento al primo motivo; la sentenza impugnata cassarsi in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per la determinazione dell’indennità ex art. 32 cit., oltre che per la regolazione delle spese di causa, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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