Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28505 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO TRIESTE 185, presso lo studio dell’Avvocato VERSACE

RAFFAELE, rappresentata e difesa dall’Avvocato DI PALMA VINCENZO,

giusta procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’Avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta

procura speciale ad litem a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

09/01/2009, depositata il 13/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

è presente il P.G. in persona del Dott. MARCELLO MATERA.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 9.1/13.10-2009 la Corte di appello di Roma confermava la decisione del giudice di prime cure che rigettava la domanda proposta da P.A. nei confronti delle Poste Italiane per far accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in conseguenza della nullità della clausola di durata apposta al contratto stipulato per il periodo dal 4.7.2000 al 30.9.2000, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 “per necessità di espletamento del servizio di recapito in concomitanza di assenze per ferie”.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.A. con tre motivi. Resistono con controricorso le Poste Italiane.

Con il primo ed il secondo motivo del ricorso, svolti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 del CCNL del 26.11.1994, degli accordi 25/9/1997, 16/1/1998 e 27/4/1998, dell’art. 2074 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e segg., rilevando che la corte territoriale aveva erroneamente trascurato di considerare che l’effetto derogatorio attribuito dalla L. n. 56 del 1987 alla contrattazione collettiva non poteva legittimamente manifestarsi oltre i limiti di tempo previsti dalle parti sociali con gli accordi integrativi di quello stipulato il 25.9.1997 e che, comunque, anche a ritenere che l’introduzione di un limite temporale fosse limitato ai contratti a termine stipulati ai sensi dell’accordo del 25/9/1997, e non anche a quelli previsti dall’art. 8 del CCNL del 1994, non poteva trovare applicazione il principio di ultrattività del contratto.

I motivi sono inammissibili, atteso che prospettano censure nuove, proposte per la prima volta solo in questa sede di legittimità.

Di tali difese, infatti, nessuna traccia si rinviene nella sentenza impugnata, nè le stesse sono state riportate in seno al ricorso, in conformità alla regola della sua necessaria autosufficienza, ed, anzi, emerge dallo stesso che, nella fase di merito, la ricorrente aveva solo denunciato che “l’assunzione a termine in realtà non era stata effettuata per le ipotesi di cui all’art. 8 del CCNL del 1994, cioè per casi di assenza o di maggior lavoro, bensì per ovviare alla carenza cronica di personale addetto al recapito…peraltro senza specificare, nella specie, il nominativo del lavoratore sostituito e la precisa causa della sostituzione”.

Con il terzo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente, richiamando le difese già svolte, ribadisce che, pur nel sistema della L. n. 56 del 1987, restava chiara la natura eccezionale della clausola di durata, che imponeva al datore di lavoro di provare la connessione causale fra l’apposizione del termine e la concreta esigenza sostitutiva posta a base della stessa.

Il motivo è manifestamente infondato alla luce dei precedenti consolidati di questa Suprema Corte.

Decidendo (cfr. ad es., Cass. 2 marzo 2007 n. 4933) su fattispecie analoghe a quella in esame, si è reiteratamente affermato l’insussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto il nome del lavoratore sostituito, per determinare la tesi opposta la violazione di norme di diritto, oltre che una erronea interpretazione della normativa collettiva.

Si è rilevato, infatti, che, ad escludere l’autonomia del contratto a termine regolato dalla contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale, si determinerebbe un palese contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588), secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Giova soggiungere che altre decisioni di questa Corte (cfr. ad es.

Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato le decisioni di merito che, nel ritenere l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale, hanno interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso di riconoscere, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Così come (cfr. Cass. 28-3-2008 n. 8122) si è confermato che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale … l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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