Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28504 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 06/11/2019), n.28504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13688/2015 proposto da:

M.P., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato TOMMASO CIERI;

– ricorrente –

contro

SYNERGO S.R.L. (già CASA DI CURA PRIVATA P. S.R.L.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio

dell’avvocato SEVERINO GRASSI, rappresentata e difesa dall’avvocato

OSVALDO GALIZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 186/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 09/02/2015 R.G.N. 80/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Campobasso, decidendo in sede di rinvio a seguito di riassunzione della controversia da parte di Synergo s.r.l., già Casa di Cura Privata P. s.r.l., per effetto della cassazione della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di L’Aquila nei confronti della Synergo stessa e di M.P., ha dichiarato il diritto della M. alle retribuzioni ed al TFR per il periodo 7 ottobre 2002 1 gennaio 2003 condannando la società convenuta al pagamento per i titoli indicati della somma di Euro 6.771,16 di cui Euro 6.333,51 per retribuzioni ed Euro 437,65 per TFR oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione dei singoli crediti al saldo.

1.1. La Corte territoriale ha escluso che la M. avesse diritto ad essere reintegrata osservando che la lavoratrice, che aveva impugnato il licenziamento intimatole ed aveva chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro, aveva successivamente rinunciato a tale reintegrazione accettando la riassunzione.

1.2. In particolare il giudice del rinvio ha interpretato il verbale di conciliazione intercorso tra le parti il 19 marzo 2001 anche alla luce del comportamento successivamente tenuto dalla lavoratrice ed ha ritenuto che avendo la M. accettato la riassunzione presso la Nuova Impresa Sociale Coop Onlus, in esito ad un accordo sindacale, aveva manifestato la volontà di non volersi avvalere della clausola di garanzia prevista nel verbale di conciliazione del 19 marzo 2001, che aveva invece successivamente azionato, in base alla quale, in caso di licenziamento non imputabile alla lavoratrice, questa sarebbe stata ricollocata dalla società presso la propria struttura.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso M.P. che articola due motivi. Resiste con controricorso la Synergo s.r.l.. entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e, per l’effetto, la violazione dell’art. 1366 c.c..

3.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe trascurato di esaminare la corrispondenza intercorsa con la società convenuta e con la Nuova Impresa Sociale coop. Onlus s.c.a.r.l.. In particolare non avrebbe esaminato la missiva datata 3 gennaio 2003, ritualmente prodotta in giudizio, indirizzata dalla M. alla N.I.S. coop. s.c.a.r.l. e riscontrata dalla cooperativa in pari data, dalle quali si evinceva che mai la ricorrente aveva inteso rinunciare ai benefici concordati con il verbale sindacale del 19 marzo 2001. Così facendo la Corte sarebbe incorsa nella denunciata violazione della disposizione in tema di interpretazione che impone di valutare l’intero contesto in cui le clausole si inseriscono e di porle tra loro in correlazione tenendo conto dei canoni della buona fede e correttezza.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta l’omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione della sentenza con violazione dell’art. 132 c.p.c. e, comunque, la contraddittorietà della sentenza impugnata.

4.1. Sostiene la ricorrente che con la sua motivazione la Corte di appello avrebbe solo apparentemente dato conto delle ragioni che l’hanno determinata a modificare le statuizioni delle precedenti sentenze di merito ed avrebbe contraddittoriamente richiamato il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, snaturandone però la sostanza ed interpretando l’accordo, finalizzato alla conservazione del posto di lavoro, in maniera tale da conseguire l’opposta conclusione.

5. Le censure, che in ragione della loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili.

5.1. Occorre premettere che al ricorso trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, con il quale è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

5.2. Ne consegue che la ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, avrebbe dovuto indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e soprattutto precisarne la “decisività” vale a dire chiarire i termini nei quali se la Corte lo avesse preso in esame la controversia avrebbe avuto un esito diverso. Non qualunque omesso esame di elementi istruttori integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo atto che la Corte non avrebbe attribuito il dovuto rilievo alla risulti che il fatto storico rilevante in causa, da intendersi quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053 e Cass. 29/10/2018 n. 27415, 03/10/2018n. 24035).

5.3. A ciò si aggiunga che per effetto della richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da interpretare alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053 cit.). In definitiva i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ma tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile). In tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. 25/09/2018 n. 22598).

5.4. Nel caso in esame non si denuncia tanto l’omesso esame di un fatto storico quanto piuttosto del mancato rilievo attribuito dalla Corte del rinvio a parte della documentazione prodotta dalla quale si sarebbe evinto che la lavoratrice non aveva affatto rinunciato ai benefici concordati con il verbale sindacale del 19 marzo 2001.

5.5. E’ la stessa ricorrente che chiede a questa Corte di procedere ad una diversa ricostruzione dei fatti che sono emersi nel corso dell’istruttoria e, quindi, nella sostanza la censura si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del rinvio tesa ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Alla Corte territoriale era stato demandato di interpretare il verbale di conciliazione del 19.3.2001, ed in particolare il suo art. 4, tenendo conto anche del comportamento successivamente tenuto dalle parti ed, in particolare, dalla M.. Il giudice del rinvio in adesione alle prescrizioni ricevute ed esercitando il suo potere di ricostruzione delle risultanze processuali, ha tenuto conto sia della corrispondenza intercorsa tra l’odierna ricorrente e la società che della complessiva condotta della lavoratrice valorizzando la scelta sopravvenuta della lavoratrice, dopo una iniziale richiesta di reintegrazione, di rinunciare all’impugnazione del licenziamento e di accettare la riassunzione da parte della cooperativa NIS.

5.6. Si tratta di ricostruzione delle emergenze istruttorie che non trascura alcun fatto decisivo ma si limita a darne una lettura compatibile con tali risultanze e perciò in questa sede non più censurabile.

6. In conclusione, e per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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