Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28503 del 29/11/2017


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Cassazione civile, sez. un., 29/11/2017, (ud. 07/11/2017, dep.29/11/2017),  n. 28503

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Procura Regionale presso la Corte dei Conti per la Regione Calabria convenne in giudizio A.S., nella qualità di legale rappresentante della società Azienda Agricola San Giovanni & C. s.n.c., con sede in (OMISSIS), per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 200.505,65, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, quale danno erariale patito dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) a seguito dell’indebita percezione da parte della detta società – di contributi comunitari per le annualità dal 2001 al 2010. Secondo la Procura Regionale, tali contributi sarebbero stati riscossi in violazione del disposto della L. n. 575 del 1965, art. 10 in quanto i terreni della società convenuta erano stati oggetto di confisca disposta dal Tribunale di Crotone in seno a procedimento per misure di prevenzione antimafia instaurato nei confronti di A.G. e A.M., soci della Azienda Agricola San Giovanni già condannati per i delitti di associazione di tipo mafioso ed estorsione.

Nel resistere alla domanda, A.S. eccepì preliminarmente l’esistenza di altro procedimento dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, avente ad oggetto l’opposizione avverso il provvedimento di ingiunzione emesso dalla AGEA, col quale si intimava all’ A., nella qualità, la restituzione della somma di Euro 145.634,31 per l’indebita percezione dei medesimi contributi comunitari. Il convenuto chiese, pertanto, che l’azione promossa dal Procuratore contabile fosse dichiarata inammissibile o improcedibile per sopravventa carenza di interesse ad agire e per carenza di giurisdizione del giudice contabile.

Con sentenza n. 61 del 2012, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Calabria rigettò l’eccezione di inammissibilità o improcedibilità della domanda, affermò la giurisdizione del giudice contabile, contestata dall’ A.S., e condannò quest’ultimo, nella qualità, al pagamento della somma di Euro 145.634,31 in favore del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

2. – Sul gravame proposto dalla società Azienda Agricola San Giovanni, la Corte di Conti, Sezione giurisdizionale centrale di appello, confermò la sentenza di primo grado.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso A.S., nella qualità, sulla base di un unico motivo.

Ha resistito con controricorso il Procuratore generale presso la Corte dei Conti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, si deduce il difetto di giurisdizione del giudice contabile, essendo il recupero delle somme indebitamente erogate regolato dalla L. 16 aprile 1987, n. 183, e dal D.L. 20 dicembre 1996 convertito dalla L. n. 24 del 1997, cosicchè la relativa richiesta di restituzione sarebbe riservata all’amministrazione che ha erogato il contributo (nella specie, l’AGEA, che in effetti ha emesso ingiunzione di pagamento per il recupero delle somme erogare, oggetto di opposizione dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria).

La censura è inammissibile, per essersi formato il giudicato interno sulla statuizione della sentenza di primo grado che, nel rigettare l’apposita eccezione formulata dal convenuto, ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile.

Questa Corte Suprema ha già statuito che l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte in cui la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito “per saltum”, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (Cass., Sez. U, n. 24883 del 09/10/2008). Allorchè, pertanto, il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (Cass., Sez. U, n. 2067 del 28/01/2011).

Nella specie, il giudice di appello ha già rilevato che la sentenza di primo grado, laddove ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, non è stata fatta oggetto di apposito motivo di appello; e, conseguentemente, ha dichiarato inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione, riproposta nel corso dell’udienza dinanzi alla Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello.

La mancata proposizione di apposito motivo di appello ha determinato la formazione del giudicato interno sulla statuizione del giudice di primo grado affermativa della sussistenza della giurisdizione; dal che l’inammissibilità del ricorso.

2. – Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla va statuito sulle spese, in ragione della qualità di parte solo “in senso formale” del Procuratore generale presso la Corte dei conti (ex plurimis, Cass., Sez. U, n. 11139 del 08/05/2017; Cass., Sez. U, n. 4879 del 27/02/2017; Cass., Sez. U, n. 26995 del 27/12/2016).

3. – Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2017

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