Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28500 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 06/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19757-2019 proposto da:

O.A., P.P., domiciliati in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi

dall’avvocato MARIA FERRANTE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 401 del 14/12/2018, ha rigettato l’opposizione proposta, tra gli altri, da P.P. e O.A. avverso il decreto del Consigliere designato con il quale era stato condannato il Ministero della Giustizia a pagare in favore del ricorrente la somma di Euro 1.600,00 pro capite a titolo d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo incardinato ai sensi della L. n. 89 del 2001, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 477,00, oltre spese forfetarie ed accessori, distratte in favore del difensore antistatario.

La Corte d’Appello disattendeva la richiesta dell’opponente di fare applicazione dell’art. 1284 c.c., comma 4, quanto al calcolo degli interessi, non potendosi peraltro invocare l’applicabilità degli interessi moratori.

Quanto all’altro motivo di opposizione relativo alla liquidazione delle spese di lite, la Corte distrettuale osservava che le spese erano state correttamente liquidate in base alle previsioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, e secondo gli scaglioni previsti per i procedimenti monitori, applicati in via analogica, previa riduzione alla metà in ragione della semplicità della controversia, ed aumentati del 20% per la pluralità di parti. Pertanto, la liquidazione della somma di Euro 477,00 era congrua. Al rigetto dell’opposizione faceva conseguire la compensazione delle spese dell’opposizione.

Avverso tale decreto P.P. e O.A. propongono ricorso sulla base di cinque motivi, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

In prossimità dell’udienza parte ricorrente ha depositato memorie.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale sull’assunto della carenza nello stesso della sommaria esposizione dei fatti di causa, che invece, si rinviene ed in maniera conforme al dettato dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto, in relazione alla liquidazione delle spese, la Corte d’Appello si è soffermata unicamente sul secondo motivo di opposizione, senza pronunciarsi sugli altri motivi.

Il motivo è infondato.

In disparte l’evidente violazione del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che si impone anche nel caso in cui sia dedotto un error in procedendo (cfr. Cass. S.U. n. 8077/2012), per avere il ricorrente riportato a pag. 5 solo la rubrica dei motivi di opposizione, senza però nemmeno illustrarne per sintesi il contenuto (impedendo quindi in tal modo di verificare se vi sia stata la denunziata omissione di pronuncia), va rilevato che, anche a stare al tenore della rubrica, le critiche dell’opponente miravano a contestare sia il criterio di determinazione delle spese (non potendosi far ricorso alla regola dettata per i procedimenti monitori) sia il mancato rispetto dei minimi tariffari di cui al D.M. n. 55 del 2014, il decreto gravato ha in realtà fornito risposta alle sollecitazioni dell’opponente, senza che quindi possa ravvisarsi la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Le motivazioni della Corte distrettuale, che ha appunto ritenuto di condividere la scelta del consigliere designato di quantificare le spese sulla scorta dei parametri dettati per i procedimenti monitori, condividendo anche la riduzione alla metà degli importi, per la semplicità della controversia, escludono altresì che possa reputarsi fondato il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente ovvero tautologica, non ricorrendo nella fattispecie alcuna ipotesi di anomalia motivazionale, come delineata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8054/2014, dovendosi invece ritenere che la decisione gravata sia rispettosa del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione.

Risulta poi del tutto scollegata dalla stessa individuazione del fatto decisivo di cui sarebbe stata omessa la disamina, la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il terzo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione delle norme in tema di liquidazione dei compensi, per avere i giudici di merito fatto riferimento ai parametri dettati per i procedimenti monitori, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha invece ritenuto che il procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, abbia natura contenziosa, sebbene veicolato nelle forme camerali.

Il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, per essersi proceduto alla liquidazione del compenso in misura inferiore ai minimi tariffari, come da tabelle riportate nel corpo del motivo. In via subordinata, e come quinto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, posto che, anche a voler reputare applicabile la disciplina dettata per i procedimenti monitori, risulterebbero violati i minimi tariffari.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati nei termini che seguono.

Si ha riguardo alla liquidazione del compenso per la fase monitoria L. n. 89 del 2001, ex art. 3, del procedimento per l’equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di durata ragionevole del processo. A tale fase del giudizio, che culmina nel decreto del presidente della Corte d’appello o di un magistrato della Corte a tal fine designato (a differenza dell’opposizione di cui alla medesima L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, la quale realizza una fase a contraddittorio pieno, da considerare quale procedimento avente natura contenziosa, cui trova perciò applicazione il D.M. n. 55 del 2014, allegata Tabella 12, da regolare in base agli esiti, in via unitaria o autonoma, in base alle alternative delineate da Cass. n. 26851/2016) si applica lo stesso D.M. n. 55 del 2014, Tabella 8, per i procedimenti monitori (Cass. n. 16512/2020).

Tale Tabella in relazione alle domande di valore da Euro O ad Euro 5.200,00 (quale quella oggetto di causa) stabilisce il compenso unico di Euro 450,00, riducibile pertanto, D.M. n. 55 del 2014, ex art. 19 (nella formulazione applicabile ratione temporis), “in ogni caso in misura non superiore al 50 per cento”, e dunque fino ad Euro 225,00.

A tal fine deve ribadirsi quanto affermato da Cass. n. 16392/2016, e cioè che nei giudizi di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il giudice, purchè non scenda al di sotto degli importi minimi, può ridurre il compenso del difensore sino alla metà (nel caso di cui al citato precedente, D.M. n. 140 del 2012, ex art. 9) anche senza necessità di specifica motivazione, e senza che perciò operi il limite di cui all’art. 2233 c.c., comma 2, e risultando facoltativa anche l’applicazione dell’aumento per la difesa plurima.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273/2019) come si desume da D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

 

 

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