Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2850 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. III, 09/02/2010, (ud. 19/01/2009, dep. 09/02/2010), n.2850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A. e F.R., elettivamente domiciliati in

Roma, Piazza Cola di Rienzo n. 92, presso lo studio dell’avv. Tardone

Lorenzo, rappresentati e difesi dall’avv. LA SPINA Giuseppe giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barberini

n. 47, presso lo studio dell’avv. D’Ippolito Maria Beatrice,

rappresentato e difeso dall’avv. Bacino Guido, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia n. 246/05 decisa

in data 11 novembre 2004 e depositata in data 5 luglio 2005;

Udita la relazione del Consigliere dott. URBAN Giancarlo;

udito l’avv. Lorenzo Nardone per delega avv. G. La Spina;

udito l’avv. Guido Bacino;

udito il P.M. in persona del Cons. De Nunzio Wladimiro, che ha

concluso per l’accoglimento del secondo motivo e per

l’inammissibilita’ del primo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A. e F.R., su querela di B. M., venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Perugia con l’imputazione di lesioni personali, minacce e diffamazione in danno del B.M.; con sentenza 12 gennaio 2000 F. R. veniva condannata per avere cagionato a B.M. lesioni personali guarite in dodici giorni colpendolo alla testa e strappandogli i capelli; per avere minacciato il predetto affermando:

“ci penso ad ammazzarlo”; B.A. veniva condannato per avere cagionato a B.M. lesioni personali guarite in dodici giorni investendolo e colpendolo alle gambe con la propria vettura e picchiandolo, afferrandolo e sollevandolo da terra, spintonandolo e facendolo cadere; per avere minacciato il predetto dicendogli: “ti ammazzo, ti butto nel fiume”; per averlo diffamato insultandolo in presenza di piu’ persone. Gli stessi erano anche condannati al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore della persona offesa costituitasi parte civile con una provvisionale di L. 4.000.000, nonche’ al rimborso delle spese di costituzione e difesa della parte civile.

Il Tribunale aveva fondato la sua decisione sulla deposizione del B.M. che avrebbe trovato conferma nelle deposizioni dei testi M. e Mi., mentre la deposizione favorevole agli imputati della teste L.M.R., vicina di casa dei B. A., veniva ritenuta non attendibile.

La Corte d’Appello di Perugia con sentenza 5 luglio 2000, in riforma della sentenza del Tribunale, assolveva gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti con la formula “perche’ i fatti non sussistono”; la Corte d’Appello motivava la sua decisione rilevando che non c’erano prove sicure della versione fornita da B. M., perche’ questa era confermata dalla deposizione dei testi M. e Mi., ma era contraddetta, oltre che dagli imputati, dalla deposizione dalla teste L., che non poteva essere giudicata inattendibile perche’ non era mai entrata in contraddizione con se’ stessa; l’esperimento giudiziale aveva solo provato la possibilita’ della versione del B.M., non la sua verita’. Era percio’ piu’ corretto adottare una pronuncia di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 2.

Su ricorso del Procuratore Generale e della parte civile, la Corte di Cassazione con sentenza pubblicata il 29 agosto 2001 affermava la manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza della Corte di merito; la annullava senza rinvio quanto agli effetti penali dichiarando l’intervenuta prescrizione e rinviando invece quanto agli effetti civili al giudice civile competente in appello, al quale rimetteva anche la pronuncia sulle spese.

Il B.M. riassumeva il giudizio davanti alla Corte d’Appello di Perugia chiedendo che, accertata la commissione da parte dei convenuti dei reati loro ascritti, gli stessi fossero condannati al risarcimento di tutti i danni da lui subiti, con rimborso di tutte le spese processuali sostenute; i convenuti chiedevano il rigetto della domanda.

Con sentenza del 5 luglio 2005 la Corte d’Appello condannava B. A. e F.R. al risarcimento del danno subito da B.M., da liquidarsi in separata sede, con assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 2065,83, a carico di ciascuno degli imputati nelle misura del 50% per ciascuno;

condannava gli stessi alle spese.

Propongono ricorso per Cassazione B.A. e F. R. con unico articolato motivo.

Resiste con controricorso B.M..

I ricorrenti B.A. e F.R. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo si denuncia la violazione degli artt. 622, 627, 192 c.p.p., dell’art. 546 c.p.p., lett. e, dell’art. 530 c.p.p., comma 2, degli artt. 539, 540 c.p.p., dell’art. 394 c.p.p., comma 3, degli artt. 383, 384 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132 c.p.c., n. 4, degli artt. 582 e 612 c.p., dell’art. 594 c.p., u.c., dell’art. 599 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 avendo la Corte d’Appello erroneamente ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza degli imputati in ordine ai reati loro ascritti, sulla base delle dichiarazioni rese dai testi nel corso del dibattimento avanti al giudice penale. La censura si risolve in una diversa valutazione degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio di merito, ma non vengono poste in luce carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicita’ nel l’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi. Si deve rilevare che il ricorso per Cassazione non puo’ essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si puo’ proporre un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento. Diversamente il motivo di ricorso per Cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e quindi di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di legittimita’ (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

In concreto, i ricorrenti, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si limitano – in buona sostanza – a sollecitare una diversa lettura delle risultanze di causa, preclusa in questa sede di legittimita’.

Per quanto riguarda la condanna al pagamento di una provvisionale di Euro 2.065,83, si deve rilevare che la sentenza impugnata da’ atto che essa fu liquidata dal Tribunale e che tale capo della sentenza non fu oggetto di appello: di conseguenza essa e’ stata confermata dalla Corte territoriale nello stesso ammontare (previa conversione delle L. in Euro).

Il ricorso merita quindi il rigetto; segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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