Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28497 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 06/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17904-2019 proposto da:

M.R., quale difensore di se stessa, domiciliata in ROMA presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il

29/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

M.R. ha proposto ricorso articolato in un motivo avverso il decreto della Corte di appello di Bologna del 29 aprile 2019, che, respingendo l’opposizione proposta avverso il decreto pronunciato dal giudice designato, ha negato il diritto all’equo indennizzo per la eccessiva durata del processo iniziato presso il Tribunale di Bologna nel 2002 da M.R., nei confronti della SEV S.a.s. e, conclusosi dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna il 13 giugno 2018 con sentenza declaratoria dell’estinzione del processo.

L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito ai soli fini della discussione orale.

La Corte di Bologna, con il decreto impugnato, ha ritenuto che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 1, comma 2 sexies, lett. c, il pregiudizio da irragionevole durata dovesse presumersi inesistente, stante l’avvenuta estinzione del processo, ciò manifestando il disinteresse delle parti all’andamento della causa. Ad avviso della Corte di appello, la norma richiamata trova applicazione per tutte le domande di equa riparazione proposte dopo la data di entrata in vigore della stessa, dovendo quindi essere rigettata l’opposizione della ricorrente, la quale invece sosteneva che la norma di diritto transitorio di cui alla L. n. 208 del 2015, art. 6, dovesse essere interpretata nel senso che anche la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, potesse trovare applicazione solo ai giudizi presupposti la cui durata avesse ecceduto quella ragionevole di cui all’art. 2, comma 2 bis, in epoca successiva al 31/10/2016.

Infatti, secondo la Corte distrettuale la norma di diritto transitorio limita l’ambito di applicazione della novella ai giudizi presupposti già pendenti solo per quanto concerne la necessità dell’esperimento dei rimedi preventivi, laddove la fattispecie in tema di presunzione di insussistenza del pregiudizio per l’ipotesi di estinzione è destinata ad essere applicabile anche nella fattispecie.

Poichè la ricorrente non aveva allegato alcuno specifico elemento, diverso dal semplice decorso del tempo, atto a dimostrare l’esistenza in concreto del danno, la detta previsione non poteva considerarsi vinta.

Con il motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., rilevando che la precedente giurisprudenza di questa Corte ha sempre riconosciuto il diritto all’equo indennizzo, anche nel caso di transazione stragiudiziale della controversia.

Deve pertanto ritenersi che la norma di diritto transitorio di cui al citato art. 6, debba essere interpretata nel senso che le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, non si applichino ai giudizi la cui durata fosse già divenuta irragionevole alla data di entrata in vigore della riforma.

Non ignora il Collegio che, nella disciplina antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, era stato effettivamente più volte affermato che la dichiarazione di estinzione del giudizio per rinuncia o inattività delle parti non esclude automaticamente la sussistenza del danno non patrimoniale in quanto, diversamente, verrebbe attribuita rilevanza ad una circostanza sopravvenuta, quale l’estinzione, sorta successivamente al superamento del limite di durata ragionevole del processo. Piuttosto, l’esistenza di un danno non patrimoniale per violazione del termine ragionevole di durata del processo – la cui prova si intende di regola insita nello stesso accertamento della violazione – poteva essere esclusa in presenza di circostanze particolari che facessero positivamente ritenere che tale danno non fosse stato subito dal ricorrente, come avviene, ad esempio, nelle ipotesi in cui il giudizio presupposto – conclusosi con l’estinzione per inattività delle parti o per rinuncia – si sia protratto dopo la definizione stragiudiziale della lite, con conseguente carenza di interesse delle parti alla celere definizione di quello (cfr. indicativamente Cass. Sez. 6 – 2, 19/09/2016, n. 18333; Cass. Sez. 6 – 1, 23/06/2011, n. 13742; Cass. Sez. 1, 13/04/2006, n. 8716; Cass. Sez. 1, 11/03/2005, n. 5398). L’estinzione del processo presupposto rappresenterebbe, così, indizio su cui fondare l’inconfigurabilità di un pregiudizio morale delle parti correlato all’incertezza ed alla connessa sofferenza per l’attesa della definizione della lite, ove la stessa sia espressiva dell’inerzia assoluta dei contendenti, mantenuta sin dall’iniziale pendenza della domanda, di tal che il protrarsi del procedimento non sia percepito dagli stessi come idoneo a produrre conseguenze sfavorevoli.

Tuttavia si rivela decisiva, nel ragionamento adottato nel decreto impugnato, l’incidenza dell’applicabilità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 – sexies, lett. c, nel testo introdotto dalla L. n. 208 del 2015, il quale dispone che si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di: “(…) estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c.”.

Al riguardo, peraltro, questa Corte ha messo in evidenza come la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, non contempli, per le modifiche introdotte dall’art. 1, comma 777, lett. d, ovvero appunto per l’art. 2 – sexies, alcun regime transitorio, come invece stabilito dalla lett. m), intervenendo sulla L. n. 89 del 2001, art. 6 (cfr. in tal senso Cass., Sez. 6 -2, 26/01/2017, n. 2026).

La norma in esame è dunque entrata in vigore il 1 gennaio 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 999).

Secondo consolidati principi giurisprudenziali (a far tempo quanto meno da Cass. Sez. U, 12/12/1967, n. 2926) il principio dell’irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio implica, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi completamente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore.

La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. c), ha inciso, in particolare, sulla disciplina del riparto dell’onere della prova, con riferimento al presupposto per la sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, nel senso di contemplare una presunzione iuris tantum di disinteresse della parte a coltivare il giudizio in caso di estinzione verificatasi ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c.. E’ stata così posta, in favore dell’Amministrazione, in vista della statuizione giudiziale, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro legislativo previgente, che non può trovare applicazione unicamente nei processi di equa riparazione già iniziati al momento dell’entrata in vigore della nuova regolamentazione.

Le presunzioni iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, introdotte dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, sono, invero, idonee ad influire sul diritto della parte a dimostrare l’effettività del patema d’animo da riparare. L’applicazione di tali disposizioni a domande di equa riparazione proposte prima del 1 gennaio 2016, e cioè prima dell’entrata in vigore della L. n. 208 del 2015, avrebbe ripercussioni in ordine al regime delle prove richieste nel procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, destando sospetti di irrazionalità e di illegittimità costituzionale sotto il profilo del principio di difesa ex art. 24 Cost.. Si osserva in dottrina come ogni disposizione legislativa sopravvenuta, che introduca nuovi oneri probatori, oppure ripartisca diversamente tali oneri tra le parti del rapporto sostanziale, non può operare nell’ambito dei processi in corso, in quanto chiama l’uno o l’altro dei contendenti ad addurre prove che questi in origine non era tenuto a fornire, ponendosi altrimenti a repentaglio la garanzia costituzionale del diritto di difesa, la quale implica anche la garanzia di poter fornire la prova e di “difendersi provando”. L’illegittimità dell’applicazione retroattiva dalla norma che introduca una presunzione discende, in definitiva, dalla considerazione dall’effetto sorpresa determinato dalla necessità di fornire prove che, al momento del promovimento della lite, non costituivano oggetto dell’onere della parte.

Contenendo la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 – sexies, lett. c), introdotto dalla L. n. 208 del 2015, una presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, esso pone, dunque, una nuova disciplina della formazione e della valutazione della prova nel processo. In assenza di norme che diversamente dispongano, e perciò proprio in forza dell’art. 11 preleggi, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. c), senza che rilevi la natura sostanziale o processuale della disposizione, dando luogo a ius superveniens operante sugli effetti della domanda e implicante un mutamento dei presupposti legali cui è condizionata la disciplina di ogni singolo caso concreto, non può che trovare applicazione avendo riguardo al momento della proposizione della domanda di equa riparazione (e, quindi, anche nella fattispecie in esame, essendo stata la domanda presentata dopo il 1 gennaio 2016) (conf. Cass. n. 25542/2019).

Deve escludersi la fondatezza della questione di costituzionalità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. c), come prospettata dalla ricorrente, in rapporto agli artt. 3 e 24. Trattasi di norma che, incidendo unicamente sulla disciplina del riparto dell’onere della prova, con riferimento al presupposto per la sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, non impedisce nè condiziona la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo presupposto, non costituisce un rimedio preventivo privo di concreta efficacia acceleratoria e non lede l’interesse delle parti a veder definite in un tempo ragionevole le rispettive istanze di giustizia (cfr. Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 88; Corte Europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia; Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri c. Italia).

Peraltro, proprio perchè la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 – sexies, introdotto dalla L. n. 208 del 2015, contempla un elenco di presunzioni iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, le ipotesi considerate costituiscono prova “completa”, alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, salvo pur sempre il limite della motivazione del proprio convincimento, nonchè quello dell’esame degli eventuali elementi indiziari contrari al fatto ignoto dell’inesistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, che si pretende legislativamente di desumere tramite l’allestita presunzione. L’accertamento dell’esistenza, sufficienza e rilevanza della prova contraria, che consenta il superamento delle presunzioni di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, di cui all’art. 2, comma 2-sexies, implica una tipica indagine di fatto, istituzionalmente attribuita dalla legge al giudice di merito, ma pur sempre sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nel caso in esame, affermata l’applicabilità ratione temporis della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. c) (e ciò sia perchè la domanda di equa riparazione risulta proposta in data successiva al 1 gennaio 2016, sia perchè lo stesso provvedimento di estinzione nel giudizio presupposto risulta adottato in data successiva a quella di entrata in vigore della novella) deve evidenziarsi come l’impugnato decreto abbia rimarcato che la ricorrente si era limitata ad addurre che già il solo decorso del tempo giustificherebbe la domanda indennitaria, aggiungendo come in realtà non fosse stato allegato o provato alcuno specifico elemento atto a dimostrare l’esistenza in concreto di un danno.

A fronte di tale affermazione, in ricorso ci si limita a sostenere che il danno de quo sarebbe in re ipsa, in evidente contrasto con il dettato normativo che invece ha posto una presunzione di insussistenza del danno che deve però essere vinta da parte dell’interessato.

Ne deriva che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della norma in esame e che quindi il ricorso debba essere rigettato.

Nulla per le spese non avendo il Ministero depositato controricorso.

Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273/2019) come si desume da D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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