Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28491 del 19/12/2013
Civile Sent. Sez. 6 Num. 28491 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO
equa riparazione
SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata
sul ricorso proposto da:
CERSOSIMO Francesco (CRS FNC 54C06 H590Y), rappresentato e
difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Michele Aldinio, elettivamente domiciliato in
Roma, viale Giulio Cesare n. 223, presso lo studio
dell’Avvocato Vito Castronuovo;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,
pro
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –
881-t
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Data pubblicazione: 19/12/2013
avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro
depositato in data 8 maggio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per
l’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso, il
rigetto del secondo, del quarto e del quinto, assorbito il
sesto.
Ritenuto
che, con ricorso depositato in data 28
novembre 2011 presso la Corte d’appello di Catanzaro,
Cersosimo Francesco chiedeva la condanna del Ministero
della giustizia al pagamento dei danni patrimoniali e non
patrimoniali derivanti dalla irragionevole durata di un
procedimento civile iniziato con citazione notificata 1’11
aprile 1996 presso il Tribunale di Potenza e definito con
sentenza della Corte di cassazione depositata il 24 maggio
2010;
che l’adita Corte d’appello, rigettata l’eccezione di
prescrizione formulata dal Ministero, rilevava che il
giudizio presupposto, di non particolare complessità, si
era protratto per quattordici anni mentre avrebbe potuto
essere definito in sei anni; riteneva tuttavia che degli
otto anni eccedenti la durata ragionevole due fossero
Stefano Petitti;
imputabili a comportamento delle parti (rinvio conseguente
a cancellazione della causa dal ruolo; tempi occorsi per la
impugnazione delle sentenze) e che quindi fossero
indennizzabili solo sei anni, in relazione ai quali
oltre interessi legali dalla domanda, escludendo invece il
richiesto danno patrimoniale, in quanto non provato, e
compensando per metà le spese processuali in considerazione
del comportamento processuale del Ministero;
che Cersosimo Francesco ha proposto ricorso per la
cassazione di questo decreto, affidato a sei motivi,
illustrati da memoria;
che il Ministero della giustizia ha resistito con
controricorso.
Considerato
che il collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, il ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della
legge n. 89 del 2001 e dei parametri CEDU sulla ragionevole
durata del giudizio, rilevando che erroneamente la Corte
d’appello ha determinato la durata complessiva del giudizio
presupposto in quattordici anni, mentre la stessa era stata
dalla notificazione dell’atto di citazione (11 aprile
riconosceva un danno non patrimoniale di 6.000,00 euro,
1996), sino al deposito della domanda di equa riparazione
(28 novembre 2011), di quindici anni e sette mesi;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
del giudizio, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe
dovuto dimezzare i tempi ritenuti ragionevoli, atteso che
tutto il giudizio aveva avuto ad oggetto la questione
preliminare della giurisdizione e non il merito della
causa, sicché ragionevole sarebbe stato dimezzare il
termine di sei anni ritenuto dalla Corte d’appello
ragionevole per i tre gradi;
che con il terzo motivo il ricorrente lamenta ancora
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001 e dei parametri CEDU sulla ragionevole durata
del giudizio, nonché dell’art. 81 disp. att. cod. proc.
civ., rilevando che la Corte d’appello avrebbe errato: 1)
nel detrarre il segmento di quattro mesi conseguente alla
cancellazione della causa dal ruolo, atteso che la stessa
era stata determinata dalla mancata comunicazione
dell’udienza in cui si era verificata la mancata
comparizione delle parti; 2) nel detrarre tutto il tempo
trascorso tra il deposito delle sentenze e la proposizione
della impugnazione, atteso che il deposito della sentenza
di primo grado e di quella d’appello non era stato
89 del 2001 e dei parametri CEDU sulla ragionevole durata
comunicato dalla cancelleria, il che non aveva consentito
di acquisire conoscenza delle sentenze e di assumere le
conseguenti determinazioni quanto alla impugnazione; 3) nel
non aver considerato che nel corso del giudizio presupposto
dalla presentazione di numerose istanze di anticipazione
delle udienze;
che con il quarto motivo il ricorrente deduce
violazione dei parametri CEDU sulla liquidazione
dell’indennizzo per anno, dolendosi del fatto che la Corte
d’appello non abbia considerato che la controversia aveva
una rilevantissima posta in gioco e che quindi il danno
patrimoniale avrebbe dovuto essere liquidato sulla base dei
massimi dei parametri indicati dalla giurisprudenza
europea;
che con il quinto motivo il Cersosimo denuncia
violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2 della legge
n. 89 del 2001, 2056 cod. civ., nonché omessa e
contraddittoria motivazione sulla valutazione del danno
patrimoniale, rilevando che, contrariamente a quanto
affermato nel decreto impugnato, nell’atto introduttivo i
danni patrimoniali erano stati documentati sia nell’an che
nel
quantum,
anche attraverso il riferimento alla
consulenza tecnica d’ufficio svolta nel corso del giudizio
presupposto;
non vi era stato alcun intento dilatorio come dimostrato
che con il sesto motivo il ricorrente si duole della
compensazione parziale delle spese, rilevando la non
idoneità della motivazione addotta a fondamento di tale
statuizione da parte della Corte d’appello;
riscontro tra la indicazione della data della citazione (11
aprile 1996) e quella del deposito della domanda di equa
riparazione (28 novembre 2011) emerge chiaramente che la
durata complessiva del giudizio presupposto, utile ai fini
della valutazione di cui alla legge n. 89 del 2001, era di
quindici anni e sette mesi, come sostenuto dal ricorrente;
che il secondo motivo è infondato, atteso che dalla
stessa esposizione contenuta nel ricorso e dallo specifico
riferimento ad una consulenza tecnica d’ufficio espletata
nel corso del giudizio presupposto si desume che la causa è
stata trattata nel merito e che le pronunce di merito non
hanno avuto ad oggetto esclusivamente una questione di
giurisdizione, sicché del tutto correttamente la Corte
d’appello ha indicato in sei anni per i tre gradi di
giudizio la durata ragionevole del processo presupposto;
che il terzo motivo è fondato con riferimento alla
detrazione del segmento di quattro mesi, posto che la Corte
d’appello non ha tenuto conto del fatto, dedotto dal
ricorrente, che l’udienza in cui si è verificata la mancata
comparizione delle parti era stata rinviata d’ufficio e che
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che il primo motivo è fondato, atteso che dal semplice
di detto rinvio non era stata data comunicazione alle
parti;
che il motivo è fondato anche con riferimento al
secondo profilo, atteso che non risulta verificata la
introduttivo che gli avvisi di deposito della sentenza di
primo grado e di quella di appello non erano stati
comunicati;
che il quarto motivo è infondato, atteso che la Corte
d’appello ha riconosciuto la rilevanza della posta in gioco
ed ha liquidato l’indennizzo per il danno non patrimoniale
senza apportare la riduzione per i primi tre anni di
ritardo, secondo l’orientamento espresso da questa Corte in
coerenza con le indicazioni desumibili dalla giurisprudenza
europea; per il resto, non risultando violato alcun
parametro minimo desumibile dalla giurisprudenza europea,
la censura si appalesa inammissibile, in quanto impinge su
una valutazione equitativa rimessa al giudice di merito;
che il quinto motivo è infondato, atteso che «il danno
patrimoniale indennizzabile come conseguenza della
violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, è
soltanto quello che costituisce “conseguenza immediata e
diretta” del fatto causativo (art. 1223 cod. civ.,
richiamato dall’art. 2, comma 3, legge cit. attraverso il
circostanza che il ricorrente aveva allegato nell’atto
rinvio all’art. 2056 stesso codice), in quanto sia
collegabile al superamento del termine ragionevole e trovi
appunto causa nel non ragionevole ritardo della definizione
del processo presupposto» (Cass. n. 16837 del 2010; Cass.
che,
nella specie,
è lo stesso ricorrente a
quantificare il danno non patrimoniale assumendo a
riferimento un segmento del danno del quale si è chiesto il
risarcimento nel giudizio presupposto e a moltiplicarlo per
il numero di anni di irragionevole durata, con ciò
dimostrando che il danno lamentato coincide con quello di
cui si è discusso, e si dovrà ancora discutere nel giudizio
presupposto dinnanzi al giudice di cui è stata affermata la
giurisdizione;
che il sesto motivo è assorbito dall’accoglimento del
primo e del terzo motivo;
che dunque, accolti il primo e il terzo motivo di
ricorso, rigettati il secondo, il quarto e il quinto, e
assorbito il sesto, il decreto impugnato deve essere
cassato in relazione ai motivi accolti;
che,
tuttavia,
non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito;
che invero, avendo avuto il giudizio presupposto, sino
alla data di deposito della domanda di equa riparazione,
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n. 23756 del 2007);
una durata complessiva di quindici anni e sette mesi, e
dovendosi da tale durata detrarre quella ragionevole di sei
anni per i tre gradi di giudizio, la durata irragionevole
da indennizzare, in quanto fonte di pregiudizio morale, è
che l’indennizzo può avvenire sulla base del criterio,
già adottato dalla Corte d’appello, di 1.000,00 euro per
anno di ritardo, in considerazione della rilevanza della
posta in gioco del giudizio presupposto;
che dunque il Ministero della giustizia deve essere
condannato al pagamento, in favore del ricorrente, della
somma di euro 9.600,00, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al saldo;
che, quanto alle spese del giudizio di merito, il
Collegio ritiene che le stesse, come liquidate in
dispositivo, debbano essere compensate per metà, in
considerazione del parziale accoglimento della domanda, con
riguardo al danno non patrimoniale, e del rigetto di quella
relativa al danno patrimoniale;
che quanto al giudizio di legittimità, le spese, in
considerazione del limitato accoglimento del ricorso,
possono del pari essere compensate per metà.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di
ricorso, rigetta il secondo il quarto e il quinto,
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di nove anni e sette mesi;
assorbito il sesto; cassa il decreto impugnato in relazione
alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il
Ministero della giustizia al pagamento, in favore di
Cersosimo Francesco, della somma di euro 9.600,00, oltre
metà le spese dell’intero giudizio che liquida per
l’intero, quanto al grado di merito, in euro 1.140,00, di
cui euro 50,00 per esborsi, euro 600,00 per diritti ed euro
490,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli
accessori di legge e, quanto al giudizio di legittimità, in
euro 506,25 per compensi, oltre ad euro 100,00 per esborsi
e agli accessori di legge, condannando il Ministero al
pagamento della restante metà.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di cassazione,
il 12 novembre 2013.
agli interessi legali dalla domanda al saldo; compensa per