Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28486 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SARA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato TERENZIO

ENRICO MARIA, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GALLONE VALTER, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

5/11/2009 depositata il 30/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, cons. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Con ricorso notificato il 28.10.2010 la Sara Assicurazioni S.p.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 30.1.2010 dalla Corte d’Appello di Salerno che, pronunciando in unico grado, aveva accolto per quanto di ragione la domanda proposta da C.P. e l’aveva condannata a pagare in favore di costui la somma di Euro 42,40, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni conseguenti alla determinazione del premio della polizza assicurativa in forza di un’intesa illegittima tra alcune compagnie assicuratici. Il C.P. resiste con controricorso.

2 – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2697, 2727, 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. dell’art. 12 disp. gen. c.c. in riferimento alla corretta applicazione dell’art. 2043 c.c., oltre insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura si incentra sull’asserito superamento dell’allegazione del provvedimento dell’A.G.C.M. che attesta uno scambio d’informazioni anticoncorrenziali tra le compagnie, in virtù dell’allegazione da parte di essa società assicuratrice di documenti attestanti la lievitazione dei costi per il risarcimento dei danni, l’incremento della riserva dei sinistri a seguito della nuova disciplina di calcolo, l’aumento della sinistrosità, l’aumento delle truffe ai danni delle compagnie e altri fattori che hanno causato l’incremento dei premi assicurativi, laddove la Corte territoriale ha individuato come unico elemento a fondamento del danno il provvedimento dell’A.G.C.M. senza valutare le anzidette allegazioni della ricorrente.

3. Il motivo è inammissibile. La questione è stata già esaminata da questa Corte in caso analogo con ordinanza n. 22954/2009 (nei confronti di altra sentenza della stessa corte di appello pronunziata contro la Sara Assicurazioni,) da cui non vi sono elementi per discostarsi.

E’ agevole rilevare che le argomentazioni della ricorrente non riguardano tanto le norme indicate, quanto piuttosto la corrispondenza della decisione all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 2035 del 2007, cui, del resto, fa ampi riferimenti anche la sentenza impugnata. Questa Corte ha stabilito che l’azione risarcitoria, proposta dall’assicurato – ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2 (norme per la tutela della concorrenza e del mercato) – nei confronti dell’assicuratore che sia stato sottoposto a sanzione dall’Autorità garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale tende alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto (dalla normativa comunitaria, dalla Costituzione e dalla legislazione nazionale) a godere dei benefici della libera competizione commerciale (interesse che può essere direttamente leso da comportamenti anticompetitivi posti in essere a monte dalle imprese), nonchè alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che l’assicurato stesso avrebbe pagato in condizioni di libero mercato. In siffatta azione l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta (quale condotta finale del preteso danneggiante) e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale (quale condotta preparatoria) e il giudice potrà desumere l’esistenza del nesso causale tra quest’ultima e il danno lamentato anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni, senza però omettere di valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo. Accertata, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile, il giudice potrà procedere in via equitativa alla relativa liquidazione, determinando l’importo risarcitorio in una percentuale del premio pagato, al netto delle imposte e degli oneri vari.

3.2. La Corte d’Appello ha ritenuto sussistente “l’intesa concorrenziale… ontologicamente orientata e soggettivamente finalizzata proprio all’attenuazione delle oscillazioni del prezzo del prodotto offerto, normalmente indotte da un regime di libera concorrenza verso il ribasso…..” e, quindi, provato il danno sotto forma di concreto incremento del premio assicurativo, conseguentemente dimostrato anche il nesso causale tra l’intesa illecita e la determinazione dell’entità del premio assicurativo.

Dalla parte espositiva della sentenza impugnata risulta che la difesa della Sara si era basata, tranne che per la carenza di prova del nesso causale, su questioni diverse (prescrizione, arbitrarietà della quantificazione del danno) da quella ora indicata. La premessa in fatto contenuta nel ricorso non aggiunge ulteriori elementi di valutazione. Dalla parte motiva della sentenza risulta che la Compagnia non ha formulato specifiche istanze istruttorie nè addotto elementi per dimostrare che l’entità del premio non fosse, nemmeno in minima parte, ascrivibile alla causalmente accertata intesa anticoncorrenziale. La Corte d’Appello aggiunge che persino un’istanza di consulenza tecnica avrebbe avuto bisogno della specifica indicazione, da parte della convenuta, di quali momenti o fasi del complesso meccanismo di terminazione del premio andassero verificati e, soprattutto, in relazione a quali degli atti ritualmente acquisiti al processo o da acquisire nel rispetto delle norme che regolano l’istruttoria del processo civile ordinario, quale si atteggia quello in esame, che pertanto mancavano elementi idonei a superare la presunzione cui in precedenza aveva fatto riferimento.

La contraria affermazione della ricorrente, secondo cui nella fattispecie, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, era stata prodotta documentazione, e segnatamente la relazione dell’isvap del 1999, l’indagine conoscitiva del parlamento ed il parere dell’Isvap del 14.7.2000, integra una censura di travisamento del fatto, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. 10/03/2006, n. 5251;

Cass. 20/06/2008, n. 16809; Cass. 30.1.2003, n. 1512; Cass. 27.1.2003, n. 1202). Inoltre l’inammissibilità discende anche dal mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.

Qualora, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del ct., ecc), è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170).

Nella fattispecie, salvo una breve trascrizione della solo premessa del parere dell’ISVAP del 14.7.2000 (pag. 15 del ricorso), tali trascrizioni dei documenti invocati, mancano.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 277 c.p.c., dell’art. 12 disp. gen. in riferimento alla corretta interpretazione e applicazione dell’art. 2043 c.c.; oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Assume la ricorrente il superamento della presunzione della responsabilità della Compagnia assicuratrice per effetto dell’allegazione dell’esito del contenzioso in sede amministrativa proposto da una interessata che annulla per parte delle società assicuratrici due capi del provvedimento stesso, diversificando la posizione delle compagnie e accertando che l’Autorità non ha esteso la sua indagine agli effetti concreti della pratica contestata.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha affermato (pag. 6 della sentenza) che la delibera dell’Autorità garante era stata confermata prima dal TAR e poi dal Consiglio di Stato (con sentenza n. 2199 del 2002).

Tanto premesso, va osservato che alla censura de qua si estendono le considerazioni sviluppate a proposito della precedente con riferimento al mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. Infatti la sentenza del Consiglio di Stato non risulta trascritta nel ricorso, se non per circa tre righe.

5.2. Inoltre, ed in ogni caso, va osservato che il giudice ha ritenuto il mancato superamento della presunzione dell’esistenza del nesso causale tra l’intesa anticoncorrenziale e il danno lamentato, anche dopo aver valutato la sentenza del Consiglio di Stato come confermativa del provvedimento dell’Autorità garante, con una valutazione di merito, non censurabile in questa sede se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre le censure sul punto della ricorrente si risolvono in una diversa lettura del documento”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve, perciò, essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di cassazione sostenute dalla parte resistente, liquidate in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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