Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28486 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 28486 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

ANZA’ Salvatore (NZA SVT 63E04 G273Y), ANZA’ Antonio (NZA
NTN 76L18 F158G), ANZA’ Stefania (NZA SFN 80T55 G377W),
nella qualità di eredi di Anzà Antonino Giuseppe,
rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del
ricorso, dall’Avvocato Lara Trifilò, elettivamente
domiciliati in Roma, via L.G. Faravelli n. 22, presso lo
studio dell’Avvocato Gaetano Gianni (Studio MarescaMorrico-Boccia e Associati);

– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

tempore;

pro

Data pubblicazione: 19/12/2013

- intimato avverso il decreto della corte d’app•llo di campohaego
depositato in data 13 novembre 2012.
Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 13

febbraio 2009 presso la Corte d’appello di Reggio Calabria,
Galante Gisella, quale tutrice di Anzà Antonino Giuseppe
chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dei danni non patrimoniali derivanti dalla
irragionevole durata di un procedimento civile, iniziato
con atto di citazione notificato il 10 settembre 1979 e
conclusosi in primo grado con sentenza depositata il 5
febbraio 2008, che dichiarava improseguibile il giudizio;
che l’adita Corte d’appello dichiarava improponibile la
domanda rilevando che il giudizio presupposto era stato
dichiarato improseguibile a causa della mancata
riassunzione dello stesso dopo la interruzione dichiarata
all’udienza del 28 ottobre 1993, per il sopravvenuto
fallimento di uno dei convenuti; e ciò in quanto l’atto di
riassunzione era stato sottoscritto da difensore privo di

udienza del 12 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

procura,

con la conseguenza che tutta l’attività

processuale svoltasi successivamente alla riassunzione
doveva essere considerata nulla, che l’ultimo atto del
processo doveva essere considerato quello che aveva

giudizio doveva considerarsi di fatto estinto per la sua
mancata riassunzione nel termine semestrale di cui all’art.
305 cod. proc. civ.;
che, ad avviso della Corte d’appello, le rilevate
circostanze comportavano che il giudizio presupposto doveva
essere considerato concluso alla data della scadenza del
termine di sei mesi per la riassunzione, sicché la domanda
di equa riparazione doveva ritenersi tardiva;
che Anzà Salvatore, Anzà Antonio e Anzà Stefania hanno
proposto ricorso per la cassazione di questo decreto sulla
base di due motivi;
che il Ministero della giustizia non ha svolto difese;
che all’udienza del 20 febbraio 2013 la Corte disponeva
la

rinnovazione

all’Avvocatura
notificazione

della
generale

stata

notificazione
dello

effettuata

Stato,
presso

del

ricorso

essendo

la

l’Avvocatura

distrettuale;
che i ricorrenti hanno ottemperato all’ordine di
rinnovazione;
che il Ministero non ha svolto difese.

3

dichiarato l’interruzione del giudizio presupposto e che il

Considerato

che il collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti

legge n. 89 del 2001 e dell’art. 3 Cost., censurando il
provvedimento impugnato per avere ritenuto che il giudizio
fosse stato definito con la dichiarazione di interruzione
emessa all’udienza del 28 ottobre 1993, rilevando che
nessuna decisione idonea a definire il giudizio era
intervenuta prima di quella che ne aveva dichiarato la
improseguibilità e che quindi il termine di proposizione
della domanda di equa riparazione veniva a scadere il 5
novembre 2009, con il passaggio in giudicato di quella
sentenza;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio
di motivazione insufficiente in ordine alla qualificazione
della dichiarazione di interruzione del giudizio
presupposto come provvedimento idoneo a definire il
giudizio ai sensi dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001;
che il ricorso, i cui due motivi possono essere
esaminati congiuntamente, è fondato;
che «in tema di equa riparazione per violazione del
termine di ragionevole durata del processo, l’art. 4 della
legge 24 marzo 2001, n. 89 configura la sola definitività

deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della

della decisione come

dies a quo ai

fini della decorrenza

del termine di decadenza per la proponibilità della
domanda, mentre il diritto dell’erede di agire in tale
qualità, dopo la morte del dante causa, si prospetta come

che si possa ricollegare alla morte della parte alcun
effetto giuridico incidente sul termine di proponibilità
della domanda» (Cass. n. 20564 del 2010);
che del resto,

come esattamente rilevato dia

ricorrenti, una controversia si considera pendente anche
quando sussiste un’originaria causa di inammissibilità,
improseguibilità o improcedibilità del giudizio, non
dichiarata con sentenza passata in giudicato (Cass. n.
16050 del 2005);
che appare dunque evidente l’errore in cui è incorsa la
Corte d’appello, avendo riconosciuto alla dichiarazione di
interruzione del processo adottata all’udienza del 28
ottobre 1993 l’idoneità a definire il giudizio, facendo
decorrere il termine semestrale di proposizione della
domanda di equa riparazione dalla scadenza del termine di
riassunzione del processo interrotto;
che al contrario, il giudizio è proseguito sino alla
dichiarazione di improseguibilità per mancanza di un valido
atto di riassunzione ed è quindi dalla data della

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mera possibilità di esercitare quel diritto, senza, quindi,

definitività di tale pronuncia che può ritenersi decorra il
termine di proposizione della domanda di equa riparazione;
che peraltro le circostanze valorizzate dalla Corte
d’appello ai fini della dichiarazione di improponibilità

valutazione della condotta delle parti e quindi ai fini
della determinazione della durata irragionevole del
giudizio presupposto e della liquidazione dell’indennizzo;
che il ricorso va quindi accolto, con cassazione del
decreto impugnato e con rinvio alla Corte d’appello di
Reggio Calabria che, in diversa composizione, procederà
all’esame della domanda proposta dal dante causa dei
ricorrenti e provvederà anche alla regolamentazione delle
spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto
impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI 2

Sezione Civile della Corte suprema di cassazione, il

12 novembre 2013.

della domanda possono avere rilievo ai fini della

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