Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28485 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 28485 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

– ricorrente contro
FRANCESCA Maria Grazia (FRN MGR 64P57 C250V), rappresentata
e difesa, per procura speciale a margine del controricorso,
dall’Avvocato Giovanni Romano, presso lo studio del quale
in Roma, Via Valadier n. 43, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

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Data pubblicazione: 19/12/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato
il 19 ottobre 2011.
Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 12 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Giovanni Romano;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per
l’accoglimento del quarto motivo del ricorso e per il
rigetto degli altri.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 10 giugno 2008

presso la Corte d’appello di Roma, Francesca Maria Grazia
chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un
procedimento civile iniziato dinnanzi al Giudice del lavoro
di Benevento con ricorso depositato il 19 novembre 1993 e
definito dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza
depositata il 24 gennaio 2008;
che l’adita Corte d’appello accertava che il giudizio
presupposto aveva avuto una durata irragionevole essendosi
protratto per quattordici anni mentre avrebbe dovuto
concludersi in cinque, trattandosi di causa non complessa e
liquidava in favore della ricorrente un indennizzo di euro
8.250,00, applicando il criterio di 750,00 euro per i primi

Stefano Petitti;

tre anni di ritardo e di 1.000,00 per ciascuno degli anni
successivi;
che il Ministero della giustizia ha proposto ricorso
per la cassazione di questo decreto, affidato a quattro

che l’intimata ha resistito con controricorso,
illustrato da memoria.
Considerato

che il collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso, il Ministero
ricorrente denuncia vizio di motivazione, dolendosi del
fatto che la Corte d’appello non abbia in alcun modo
esaminato il concreto svolgimento del giudizio presupposto
e non abbia quindi detratto dalla durata complessiva di
questo segmenti temporali addebitabili alle parti o
comunque certamente non addebitabili all’ufficio per
complessivi tre anni circa;
che con il secondo motivo il Ministero deduce
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
rilevando che il giudizio presupposto, essendo in esso
confluite altre iniziative giudiziarie della ricorrente,
non poteva essere ritenuto di complessità normale e
definibile in cinque anni nei due gradi, sicché la durata

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motivi;

ragionevole avrebbe dovuto essere ampliata di un anno per
il primo grado e di sei mesi per il grado di appello;
che con il terzo motivo il Ministero denuncia vizio di
motivazione in ordine alla liquidazione dell’indennizzo,

manifesta infondatezza della pretesa azionata;
con il quarto motivo il Ministero denuncia violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del fatto
che la Corte d’appello abbia, d’ufficio, riconosciuto gli
interessi dalla domanda anziché dal decreto;
che il primo motivo di ricorso è infondato,
che, invero, la Corte d’appello, contrariamente a
quanto sostenuto dall’amministrazione ricorrente, ha preso
in esame il comportamento delle parti in relazione allo
sviluppo dell’iter processuale ed ha ritenuto che le parti
«si sono avvalse delle prerogative difensive riconosciute
dall’ordinamento», sicché il loro comportamento non poteva
«apprezzarsi quale determinante per il protrarsi del
procedimento»;
che trattasi di accertamento di fatto, in relazione al
quale il Ministero sollecita una nuova valutazione, non
consentita in sede di legittimità, senza peraltro allegare
e dimostrare che le difese inizialmente svolte nel giudizio
di merito avessero sottoposto all’attenzione del giudice

avvenuto in misura ordinaria senza tenere conto della

eventuali comportamenti processuali delle parti idonei ad
incidere sulla eccessiva durata del processo presupposto;
che è infondato anche il secondo motivo, atteso che la
determinazione della ragionevole durata del giudizio

fatta avuto riguardo alle domande proposte nel giudizio
presupposto, giungendo alla conclusione che il caso, di
natura non complessa, anche tenendo conto dell’attività
svolta, avrebbe dovuto essere deciso in un periodo congruo
di cinque anni per i due gradi;
che d’altra parte, la pretesa dell’amministrazione
ricorrente di aggiungere un anno alla durata ragionevole
del giudizio di primo grado e di sei mesi a quella del
giudizio di appello appare difficilmente riconducibile alla
denunciata violazione di legge, afferendo piuttosto a
valutazioni di fatto, sindacabili solo per vizi della
motivazione, nella specie insussistenti;
che è infondato anche il terzo motivo, atteso che la
Corte d’appello ha adottato il criterio di liquidazione
ordinario consistente in 750,00 euro per i primi tre anni
di ritardo e di 1.000,00 euro per ciascuno degli anni
successivi di ritardo, senza che possa evincersi dalle
argomentazioni svolte dalla difesa erariale la
consapevolezza, da parte della attrice, della manifesta
infondatezza della propria pretesa;

presupposto è stata dalla Corte d’appello complessivamente

che il quarto motivo è fondato, atteso che nell’atto
introduttivo non era contenuta la domanda relativa agli
interessi, sicché la Corte d’appello non avrebbe potuto
riconoscerli se non con decorrenza dalla data della

2011);
che dunque i primi tre motivi del ricorso devono essere
rigettati, mentre va accolto il quarto motivo, con
conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione
alla decorrenza degli interessi legali;
che tuttavia,

non essendo necessari ulteriori

accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, disponendo la decorrenza degli interessi legali
dalla data della decisione della Corte d’appello anziché
dal quella della domanda;
che l’accoglimento del quarto motivo non fa venir meno
la sostanziale soccombenza dell’amministrazione ricorrente,
la quale deve dunque essere condannata al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, liquidate come da
dispositivo, con distrazione in favore del difensore della
controricorrente, dichiaratosi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La

Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso,

accoglie il quarto; cassa il decreto impugnato in relazione
al motivo accolto e, decidendo nel merito, dispone la

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decisione e non da quella della domanda (Cass. n. 24962 del

condanna al pagamento degli interessi legali sulla somma
liquidata dalla Corte d’appello, a far data dalla decisione
(21 giugno 2010) al soddisfo; condanna il Ministero
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di

ad euro 100,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Dispone la distrazione delle spese in favore del difensore
della ricorrente, Avvocato Giovanni Romano, per dichiarato
anticipo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 12 novembre 2013.

legittimità, che liquida in euro 506,25 per compensi, oltre

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