Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28478 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato SARACENI

STEFANIA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE MONTIS MARIA

GLORIA;

– ricorrente –

contro

A.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

P.ZZA DON MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SARRITZU MARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 288/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 14/09/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 6 giugno 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

“Il Tribunale di Cagliari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 maggio 2007, ha accolto la domanda riconvenzionale del convenuto A.L. e ha disposto, ai sensi dell’art. 2932, l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto di compravendita relativo alla quota pari ad 1/2 del lastrico solare dell’immobile sito in (OMISSIS), mentre ha rigettato la domanda di nullità di tale contratto proposta dall’attore A.A..

La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza in data 14 settembre 2009, ha rigettato il gravame di A.A..

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello quest’ultimo ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 ottobre 2010, sulla base di due motivi. L’intimato ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo (violazione dell’art. 111 Cost., nonchè degli artt. 202, 244 e 253 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorrente si duole che la Corte territoriale – al fine di ritenere dimostrato l’inadempimento di A.A. all’obbligo di stipulare il definitivo – abbia riconosciuto valore di piena prova alla dichiarazione scritta del 10 dicembre 1992 da parte del notaio dott.ssa G.. Utilizzando come unica fonte di prova un documento precostituito rispetto al processo, la Corte di merito avrebbe violato il principio del contraddittorio tra le parti. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello non si è limitata a valorizzare la dichiarazione scritta resa, al di fuori del processo, dal notaio G., che avrebbe dovuto rogare l’atto pubblico (dichiarazione nella quale si da atto che A.A. era stato più volte sollecitato dallo studio notarile a presentarsi all’appuntamento per la stipulazione), ma ha anche sottolineato che il contenuto di questo scritto è stato sostanzialmente confermato sotto giuramento dalla dott.ssa G., sentita come testimone. Nell’occasione, infatti, ella ha dichiarato di non ricordare con precisione i fatti oggetto della dichiarazione scritta, ma ha riconosciuto come propria la dichiarazione e la sottoscrizione apposta ad essa.

Da tanto consegue che la Corte del merito, nel riconoscere la valenza di prova della dichiarazione scritta seguita dalla deposizione testimoniale, ha correttamente fatto leva sul valore indiziario della scrittura proveniente dal terzo, integrandolo con la testimonianza dello stesso sottoscrittore (cfr. Cass., Sez. 1, 12 settembre 2008, n. 23554).

Il secondo motivo (nullità della sentenza per vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) è del pari infondato.

La Corte d’appello ha dato ampia argomentazione, priva di vizi logici e giuridici, circa la ricostruzione del merito della vicenda. Il motivo di ricorso – nel sostenere l’insufficienza della testimonianza del notaio, per avere questi dichiarato di non ricordare gli decadimenti – non tiene conto del fatto che la Corte d’appello ha congruamente precisato che in realtà il teste, sebbene non ricordasse con precisione tutti i particolari della vicenda, aveva riconosciuto tanto la dichiarazione scritta (e quindi il contenuto di essa) quanto la propria sottoscrizione. Il motivo di ricorso tende ad una revisione del giudizio di fatto.

In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 cod. proc. civ., per esservi rigettato”.

Lette le memorie depositate in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio da entrambe le parti.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte della relazione di cui sopra;

che le osservazioni critiche contenute nella memoria illustrativa di parte ricorrente non colgono nel segno;

che esse confermano che i motivi di ricorso si risolvono, nella sostanza, in una censura della interpretazione data, dai giudici di merito, alle risultanze di causa, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze, contrastando l’intervenuto apprezzamento in ordine al raggiungimento della prova del sollecito per la stipula dell’atto pubblico;

che non ha rilievo la circostanza che nella dichiarazione scritta della dott.ssa G. – sostanzialmente confermata sotto giuramento dalla stessa, sentita come testimone – si era precisato che detto sollecito era avvenuto tramite personale dello studio e non direttamente attraverso la dichiarante, giacchè – come precisato con valutazione, anche sotto questo profilo, congruamente e logicamente motivata dalla Corte d’appello – si era trattato, appunto, di un incombente materialmente eseguito da altri ma del quale, nella sua qualità di professionista responsabile dello studio, la G. aveva avuto conoscenza o addirittura aveva lei stessa predisposte – che pertanto, il ricorso deve essere rigettato; che le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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