Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28473 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 04/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11830-2019 proposto da:

N.A., C.R., C.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA n. 373 VILLINO B,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI CIACCI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GILBERTO OTTAVIANI;

– ricorrenti –

contro

V.G., V.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE VATICANO N. 102, presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO

TONELLI CONTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALESSANDRA GIORGIA VITTADINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3033/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento dell’impugnazione proposta da V.C., V.G. e M.P., riformò la sentenza di primo grado, la quale aveva dichiarato l’acquisto per usucapione in favore di N.A., C.M. e C.R. dei 12/24 indivisi (nella misura di 4/24 per ciascuno degli attori) d’un immobile iscritto nel catasto dei terreni di (OMISSIS);

ritenuto che ai fini di una più compiuta conoscenza della vicenda, per quel che qui è d’interesse, è utile precisare che la Corte locale, non condiviso il vaglio probatorio di primo grado, afferma che la decisione appellata non aveva fatto corretta applicazione dei principi elaborati in sede di legittimità in tema di acquisto per usucapione da parte del comproprietario, essendo rimasta senza prova l’estensione del dominio in termini di esclusività da parte degli attori, estensione che neppure risultava essere stata dedotta;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorrono gli appellati, svolgendo un indistinto complesso censuratorio, e che la controparte resiste con controricorso;

ritenuto che i ricorrenti, lamentando “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, deducono:

– la sentenza d’appello aveva mancato di scrutinare gli atti processuali e se ciò avesse fatto non avrebbe potuto affermare che gli attori non avevano allegato l’estensione del loro dominio, in quanto una tale estensione avrebbe dovuto ricavarsi dal certificato storico di residenza, prodotto con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6;

– il dominio in parola emergeva univocamente dalla circostanza che il fabbricato era stato aperto, per l’accesso del ctu, da N.A., dal fatto che l’immobile, attraverso un passaggio interno risultava collegato ad altro contiguo nella disponibilità degli attori, nonchè dal complessivo vaglio delle testimonianze;

– di conseguenza si era avverata la fattispecie di cui all’art. 1102 c.c., dovendosi trarre dalle plurime concordanti emergenze (svolgimento di opere di manutenzione, mutamento della serratura, piena ed esclusiva disponibilità) la inconfutabile prova del dominio esclusivo.

Diritto

CONSIDERATO

che: le critiche sopra sunteggiate risultano manifestamente infondate per una convergente pluralità di autonome ragioni:

a) va premesso che la sentenza impugnata, richiamati i principi di diritto enunciati nel corso degli anni da questa Corte, esclude che con il semplice fatto del possesso gli appellati avessero dimostrato di aver esteso la loro signoria da “uti condominus” a “uti dominus”; la mera astensione dal godimento degli altri comproprietari non era utilmente evocabile dagli attori, così come non lo era il compimento di atti di gestione, tollerati dai contitolari;

b) la Corte anconetana dimostra piena consapevolezza dei principi che reggono la materia, avendo questa Corte più volte spiegato che il comproprietario pro indiviso che pretenda di aver usucapito il bene deve dimostrare, non solo di averne goduto in via d’esclusività (il che non è incompatibile con la propria posizione di titolare quotista, il quale può fruire anche di tutte le utilità del bene, ove gli altri comproprietari non dissentano e non rivendichino, a loro volta concorrente fruizione), ma di averlo fatto escludendo gli altri comproprietari, cioè apertamente contrastando il loro comune diritto, così da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (ex multis, Sez. 2, n. 12260, 20/8/2002, Rv. 556970; Sez. 2, n. 9903, 28/4/2006, Rv. 592523; Sez. 2, n. 19478, 20/9/2007, Rv. 599374; Sez. 2, n. 17462, 27/7/2009, Rv. 609159; Sez. 6 n. 24781, 19/10/2017, Rv. 646754; Sez. 2, n. 10734, 4/5/2018, Rv. 648439);

c) il ricorso invoca un improprio accertamento di merito da parte di questa Corte sulla base, peraltro, di una congetturata situazione di fatto non conoscibile in questa sede (difetto di specificità per mancanza di autosufficienza) e neppure sufficientemente esplicitata;

d) nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, l’insieme delle doglianze investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);

e) i ricorrenti propongono censura della motivazione, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, siccome novellato nel 2012, il quale consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, siccome si trae inequivocamente da quanto sopra riportato, che fa escludere la ipotesi di una giustificazione motivazionale meramente apparente;

f) infine, è utile osservare che la denunzia di violazioni di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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