Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28471 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 07/11/2018), n.28471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25556/2017 proposto da:

NEATEC SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ENRICO VIGGIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5985/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, andando di diverso avviso di rispetto al giudice della fase a cognizione sommaria, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da Neatec s.p.a. ed applicato le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come riformulato dalla L. n. 92 del 2012.

2. Il licenziamento in rassegna, intimato con lettera del 14/9/2015, faceva seguito a lettera di contestazione disciplinare del 26/8/2015, con la quale si addebitava al dipendente lo svolgimento di attività lavorativa continuativa presso gli uffici del CAF della Unsic in (OMISSIS), durante la fruizione di congedo per malattia, permessi sindacali e L. n. 104 del 1992, riscontrata da indagini effettuate da agenzia investigativa.

3. La Corte territoriale premetteva che l’indagine doveva essere circoscritta ai soli fatti indicati nella lettera di recesso preceduti da formale contestazione e che pertanto non poteva rilevare la circostanza, riportata solo nella lettera di contestazione dell’addebito, che il dipendente fosse stato visto “deambulare regolarmente e condurre senza alcuna difficoltà il motociclo e l’auto in suo uso, senza palesare alcun segno di sofferenza o limitazione dei movimenti”, che non era stata ripresa della raccomandata di licenziamento; riteneva quindi che la condotta del B. presso gli uffici del CAF non avesse interferito con il recupero della sua integrità fisica, nè avesse recato grave pregiudizio alla società, avendo il dipendente ripreso regolarmente servizio al termine dei congedi.

4. Per la cassazione della sentenza Neatec S.p.A. ha proposto ricorso, cui ha resistito con controricorso B.F..

5. Le parti hanno depositato anche memorie ex at. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. come primo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che la sua indagine dovesse essere circoscritta ai soli fatti indicati nella lettera di recesso, sicchè non rilevava la circostanza, contestata nella lettera del 26 agosto 2015, della regolare deambulazione e dell’uso senza alcuna difficoltà del motociclo. Riferisce che tale circostanza, che denotava uno stato fisico all’apparenza del tutto compatibile con lo svolgimento di prestazioni di lavoro, era descritta nella lettera di contestazione, mentre nella lettera di licenziamento si richiamava quanto dettagliatamente contestato con lettera del 26 agosto 2015, sicchè il fatto doveva essere oggetto di esame.

2. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, per avere la Corte erroneamente applicato la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, laddove era stata accertata come vera una parte del fatto contestato.

3. Il primo motivo di ricorso è fondato, in applicazione del principio, già affermato da questa Corte (v. Cass. n. 1026 del 21/01/2015) secondo il quale “nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore l’essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell’addebito, mentre la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a far riferimento sintetico a quanto già contestato, non essendo tenuto il datore di lavoro, neppure nel caso in cui il contratto collettivo preveda espressamente l’indicazione dei motivi, ad una motivazione “penetrante”, analoga a quella dei provvedimenti giurisdizionali, nè in particolare è tenuto a menzionare nel provvedimento disciplinare le giustificazioni fornite dal lavoratore dopo la contestazione della mancanza e le ragioni che lo hanno indotto a disattenderle”.

4. A diversa soluzione non può giungersi in considerazione della modifica alla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, apportata dalla L. n. 92 del 2012, art. 37, comma 1, a mente della quale “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”, in quanto per il licenziamento disciplinare l’obbligo di porre il lavoratore a conoscenza dell’ addebito quale motivo fondante il recesso era già contenuto nella L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, ed anzi l’anticipazione dell’esplicitazione dei motivi posti a fondamento del licenziamento nella lettera di contestazione è stata dettata proprio in funzione di tutela del diritto del lavoratore di portare elementi a propria discolpa. Sicchè è ancor oggi sufficiente che nella lettera di licenziamento siano richiamati gli addebiti formulati nella contestazione disciplinare, senza necessità di descriverli nuovamente, per rendere puntualmente esplicitate le motivazioni del recesso e per manifestare come gli stessi non possano ritenersi abbandonati o superati.

5. Ciò è quanto è avvenuto nel caso in esame, in cui la stessa Corte, pur dando atto che nella lettera di contestazione era ritualmente descritta la regolare deambulazione e l’uso dei mezzi senza difficoltà quale elemento fattuale qualificante la condotta di abusiva fruizione dei permessi, non l’ha poi sottoposta a riscontro fattuale e non l’ha considerata al fine della valutazione complessiva, malgrado nella lettera di licenziamento fosse contenuta la formula “richiamando quanto già dettagliatamente a lei contestato con lettera del 26 agosto 2015”.

6. Tale valutazione sarebbe stata rilevante, considerato che per giurisprudenza costante di questa Corte lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente durante lo stato di malattia configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, sia nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, sia nel caso in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte (da ultimo, Cass. n. 10416 del 27/04/2017).

7. A tutte le considerazioni esposte segue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo che attiene alle consguenze della ritenuta illegittimità.

8. La sentenza gravata deve quindi essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà procedere a nuova valutazione attenendosi al principio sopra individuato.

9. Al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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