Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2847 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/02/2017, (ud. 30/11/2016, dep.02/02/2017),  n. 2847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1498/2016 proposto da:

D.G.M., rappresentato e difeso dall’avvocato ISABELLA

CASALES MANGANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositato il

12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il 16 luglio 2014 presso la Corte d’appello di Catania la ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio di equa riparazione, promosso nel novembre 2009 davanti alla Corte d’Appello di Palermo e poi riassunto davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta. Con decreto del 12 novembre 2014 il consigliere delegato della Corte d’Appello di Catania rigettava la domanda, ritenendo che la prove offerte non consentissero di valutare la complessità del caso. All’esito dell’opposizione proposta da D.G.M., la Corte d’Appello di Catania, con decreto del 12 maggio 2015, rigettava l’opposizione, considerando che il giudizio presupposto era durato soltanto 2 anni e 5 mesi. A dire dalla Corte di Catania, il processo presupposto era iniziato il 4 novembre 2009 davanti alla Corte d’Appello di Palermo, proseguito, dopo la dichiarazione di incompetenza di quella (8 luglio 2010), davanti alla Corte di Appello di Caltanissetta (riassunzione del 15 settembre 2010), da questa definito il 27 luglio 2012, e quindi concluso con la sentenza della Corte di Cassazione (data ricorso 20 marzo 2013) del 22 gennaio 2014. Secondo la Corte di Caltanissetta doveva pure considerarsi la pendenza per un anno e venti giorni della questione di costituzionalità (20 aprile 2011 – 10 maggio 2012) sollevata in altro giudizio. In ogni caso, la durata eccedente i due anni era pari soltanto a cinque mesi, e perciò ragionevole.

Per la cassazione di questo decreto la ricorrente ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, mentre il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso deducono la violazione dell’art. 6 CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui il provvedimento impugnato ha calcolato la durata del procedimento presupposto, pari in realtà a tre anni e a sei mesi, ed ha poi ritenuto giustificata la protrazione della durata del giudizio presupposto in attesa della decisione da parte della Corte Costituzionale di questione di legittimità sollevata in diversa causa ma avente oggetto rilevante per quello.

Invero, il processo presupposto era iniziato il 4 novembre 2009 davanti alla Corte d’Appello di Palermo; questa si era dichiarata incompetente con ordinanza dell’8 luglio 2010; la riassunzione davanti alla Corte di Appello di Caltanissetta era avvenuta il 15 settembre 2010 e il primo grado si era concluso il 27 luglio 2012; il ricorso per cassazione era stato notificato il 6 marzo 2013 e la sentenza della Suprema Corte veniva depositata il 22 gennaio 2014, per un tempo pari a complessivi tre anni e sei mesi, ovvero ad un anno e sei mesi eccedenti la ragionevole durata. Nè aveva ragione la detrazione del tempo occorso per la decisione della questione di costituzionalità, rimessa in diverso procedimento alla Corte Costituzionale il 20 aprile 2011 e decisa il 10 maggio 2012.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono fondati, per quanto si seguito argomentato.

Come affermato già da questa Corte, in tema di criteri di accertamento della violazione del termine ragionevole del processo, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2, non può essere imputato al comportamento della parte che richieda l’equa riparazione il periodo occorso per pervenire alla declaratoria d’incompetenza del giudice dalla medesima parte inizialmente adito, in quanto l’erronea proposizione di una domanda davanti a giudice incompetente non esonera dal dovere di verificare se, con riguardo a tale lasso temporale, fossero, o meno, ravvisabili elementi riconducibili a disfunzioni o ad inefficienze dell’apparato giudiziario (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 1541 del 27/01/2015).

Peraltro, ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo presupposto, la pendenza di una questione di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa sollevata da altro giudice, non comporta l’automatica esclusione del tempo occorrente per la risoluzione dell’incidente di costituzionalità, nè giustifica altrimenti un’automatica affermazione di complessità della fattispecie, soprattutto ove, come nel caso in esame, non sia dimostrata alcuna immediata e concreta incidenza del giudizio di legittimità costituzionale sul comportamento delle parti e del giudice di quel processo (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3096 del 11/02/2014).

Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno dunque accolti (rimanendo assorbito l’esame del terzo relativo alla condanna della ricorrente all’ammenda) e il decreto impugnato va cassato.

Dovendosi determinare la durata complessiva ragionevole di un processo ex lege n. 89 del 2011, nel termine di un anno per grado di giudizio (Corte Costituzionale 19 febbraio 2016, n. 36; Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 16857 del 09/08/2016), può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto. Va quindi considerato il periodo di irragionevole durata del giudizio pari a un anno e sei mesi, ed individuato, in applicazione dello standard CEDU, nella somma di Euro 500,00 per l’anno di ritardo il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale riportato nel processo presupposto, sicchè alla ricorrente deve riconoscersi l’indennizzo di Euro 500,00, oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda. La ricorrente ha altresì diritto alla rifusione delle spese del giudizio di merito e del giudizio legittimità, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dell’avvocato Isabella Casales Mangano, che ha dichiarato di averle anticipate.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente D.G.M. della somma, di Euro 500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre spese generali e accessori di legge, e, quanto al giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, oltre spese generali e accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese del giudizio, come liquidate, in favore dell’avvocato Isabella Casales Mangano, che ha dichiarato di averle anticipate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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