Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28469 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 28469 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

Rep.

SENTENZA

.43

Ud. 14/11/2013

sul ricorso 8454-2008 proposto da:
PU

MAGGIORELLI

CARLO

MARIA

MGGCLL25B26G337A,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO
FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato COLUCCI
ANGELO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FRANCHI GIOVANNI giuta procura speciale
‘2013

notarile del Dott. Notaio MARIA PAOLA SALSI in Parma

11

2115

del 27/11/2009 rep. n. 37664;
– ricorrente contro

BAZINI PIERO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

1

Data pubblicazione: 19/12/2013

TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato MARCACCI
BALESTRAZZI

MASSIMO,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato BARIGAZZI DANIELA giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 247/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato NICOLA DI PIERRO per delega;
udito l’Avvocato MAURIZIO NOBILI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

di BOLOGNA, depositata il 21/03/2007 R.G.N. 835/06;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Carlo Maria Maggiorelli, proprietario di un appartamento
da lui locato a Piero Bazini e dal medesimo utilizzato come
studio legale, otteneva dal Pretore di Parma, con sentenza poi
confermata dal Tribunale della medesima città, il rilascio

Maggiorelli.
Alcuni anni dopo il Bazini, sul rilievo che l’unità
immobiliare non era stata destinata in conformità al titolo per
il quale ne era stata ottenuta la disponibilità, ricorreva al
Tribunale di Parma, ai sensi dell’art. 31 della legge 27 luglio
1978, n. 392, chiedendo il risarcimento del relativo danno.
Il Tribunale accoglieva la domanda, con pronuncia
confermata dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza del
21 marzo 2007.
Osservava la Corte territoriale che le prove raccolte
dimostravano, alla luce delle norme in tema di prova per
presunzioni, che al momento della proposizione del ricorso del
Bazini il figlio del locatore Maggiorelli non abitava ancora
nell’immobile, il che si poteva desumere dal certificato
anagrafico, dalla intestazione delle utenze e dalla mancanza di
ogni prova contraria. E, d’altra parte, non aveva alcun rilievo
il fatto che – come asseriva il Maggiorelli – i lavori si
fossero protratti fino a circa due o tre anni prima
dell’introduzione del giudizio, perché ciò, al contrario,
costituiva dimostrazione del fatto che l’esecuzione dei lavori
3

dell’immobile siccome destinato ad abitazione del figlio del

non

poteva

considerarsi

“giusta”

causa

della

mancata

utilizzazione.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna
propone ricorso Carlo Maria Maggiorelli, con atto affidato ad
un unico motivo.

Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 31, primo comma, della legge n.
392 del 1978.
Rileva il ricorrente che l’immobile in questione non era
idoneo,

nell’immediato,

all’uso

di

abitazione,

essendo

necessari importanti lavori di ristrutturazione. L’intero
edificio, inoltre, è soggetto al vincolo di cui alla legge 1 0
giugno 1939, n. 1089, sicché nessuna modificazione poteva avere
luogo senza l’autorizzazione della competente Autorità. Ne
consegue che non sarebbe invocabile l’art. 31 della legge n.
392 del 1978, perché entro il termine di sei mesi fissato da
detta norma era stato presentato il relativo progetto alla
Sovrintendenza dei beni ambientali della Regione; e, una volta
terminati i lavori, l’appartamento è stato immediatamente
occupato dal figlio del Maggiorelli. Pertanto, fermo restando
che la sanzione di cui all’art. 31 si fonda su di una
presunzione

iuris tantum

e non regola un’ipotesi di
4

Resiste Piero Bazini con controricorso.

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responsabilità oggettiva, la Corte di merito avrebbe errato
nell’applicare tale norma, poiché nel caso in esame il locatore
ha rispettato il dettato legislativo, avendo richiesto nel
termine di sei mesi il rilascio delle autorizzazioni necessarie
per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione

2. Il motivo non è fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d’appello ha
precisato che nel caso di specie il Maggiorelli aveva ottenuto
la restituzione dell’immobile in base alla previsione di cui
all’art. 29, primo comma, lettera

a),

della legge n. 392 del

1978, siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non
in previsione dell’ipotesi di ristrutturazione di cui alla
lettera d) del medesimo art. 29. Tale particolare assume uno
speciale rilievo in considerazione delle censure contenute
nell’odierno ricorso e formalizzate nei due quesiti formulati
alle pagine 9 e 10 dello stesso.
Ora, è esatto – secondo quanto il ricorrente afferma – che
la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito
che le sanzioni previste dall’art. 31 della legge n. 392 del
1978 non sono connesse ad un criterio di responsabilità
oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, bensì
sulla base di una presunzione

luris tantum,

come tale

suscettibile di prova contraria (sentenze 16 gennaio 1997, n.
391, 18 maggio 2000, n. 6462, 14 dicembre 2004, n. 23296, e 19
maggio 2011, n. 11014). Tali sanzioni, secondo la citata
5

dell’immobile.

giurisprudenza, configurano una forma di responsabilità per
inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli
artt. 1176 e 1218 cod. civ.; con la conseguenza che esse non
sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile
medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o

comportamento doloso o colposo del locatore stesso.
È altrettanto pacifico, però, che l’onere del superamento
di tale presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare
l’esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di
tutela, che abbia impedito o ritardato l’utilizzo della

res

locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal
titolo giudiziale, cui è stata data esecuzione (così la
sentenza n. 6462 del 2000 cit.).
3. Nella specie, nulla di ciò è stato dimostrato dal
Maggiorelli. Egli tenta, nel ricorso, di sostenere la tesi sulla quale formula il primo dei due quesiti di diritto secondo cui la previsione dell’art. 31 non dovrebbe trovare
applicazione ove il locatore dimostri di avere, entro il
termine di sei mesi ivi indicato, richiesto alle competenti
autorità le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei
lavori finalizzati a rendere l’immobile adatto alle esigenze
abitative del proprio figlio.
Ora, a prescindere dal carattere evidentemente fantasioso
di tale ricostruzione del sistema, la pretesa del ricorrente è

6

situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al

smentita, in punto di fatto, dalle argomentazioni corrette e
convincenti della sentenza impugnata.
La Corte bolognese, infatti, ha accertato che «al momento
di proposizione del ricorso il figlio del locatore non
risultava ancora abitare nell’immobile, come univocamente

utenze, oltreché dalla mancanza di qualsiasi emergenza
probatoria» di segno contrario; ed ha giustamente ritenuto del
tutto irrilevante la circostanza, addotta dal Maggiorelli, per
cui i lavori di restauro dell’immobile si erano protratti «fino
a due o tre anni prima». Poiché, infatti, lo stesso ricorrente
chiarisce (p. 6 del ricorso) che il rilascio dell’immobile da
parte del Bazini era avvenuto in data 12 febbraio 1994, mentre
l’odierno giudizio è stato introdotto il 31 maggio 2000, ossia
oltre sei anni dopo, è evidente che, ove pure i lavori si
fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non
avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine
semestrale di cui all’art. 31 della legge n. 392 del 1978.
Ne consegue che l’accertamento in fatto compiuto dalla
Corte territoriale esclude in modo pacifico – senza sostanziali
contestazioni sul punto – che il Maggiorelli abbia fornito una
qualche prova tale da giustificare la mancata applicazione
dell’art. 31 della legge n. 392 del 1978.
4. Il ricorso, quindi, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
7

desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle

conformità
ministeriale

ai

soli

20

parametri

luglio

2012,

introdotti
n.

140,

dal

decreto

sopravvenuto

a

disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

rigetta

il ricorso e

condanna

il ricorrente al

complessivi euro 5.200, di cui euro 200 per spese, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 14 novembre 2013.

pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in

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