Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28468 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 07/11/2018), n.28468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19096/2017 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– ricorrente –

contro

TERNA – RETE ELETTRICA NAZIONALE SPA, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIUSEPPE

GENTILE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

IOLANDA GENTILE, FRANCESCA COVONE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 189/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. l’I.N.P.S. (anche quale mandatario della S.C.C.I. S.p.A.) ha proposto ricorso con unico motivo avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che ha respinto l’impugnazione avanzata dall’Istituto contro la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato non dovuti i contributi e sanzioni richiesti a titolo di indennità di maternità con la cartella di pagamento opposta dalla TERNA – RETE ELETTRICA NAZIONALE SOCIETA’ PER AZIONI (società sorta a seguito del D.Lgs. n. 79 del 1999, di liberalizzazione del settore elettrico). La Corte capitolina ha ritenuto, con riferimento all’obbligo della società opponente, appartenente al gruppo E.N.E.L. S.p.A., che la L. n. 138 del 1943, art. 6, che esonera l’I.N.P.S. dal pagamento dell’indennità di malattia quando il datore di lavoro è tenuto, in base a contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione durante la malattia del dipendente, fosse applicabile anche all’indennità di maternità, con la conseguente insussistenza dell’obbligo di versamento della relativa contribuzione all’I.N.P.S.;

2. TERNA – RETE ELETTRICA NAZIONALE SOCIETA’ PER AZIONI ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, illustrato anche con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 20 (conv. con L. n. 133 del 2008), D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 22, comma 2 e art. 79 e L. n. 138 del 1943, art. 6, D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1, comma 1 e della L. n. 104 del 2006, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, che nell’interpretare autenticamente l’art. 6 cit. ha previsto che “i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo”, si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, con la conseguenza che, avendo il successivo comma 2, lett. a), dell’art. 20 cit. previsto l’obbligo per “le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto” di versare “la contribuzione per maternità” soltanto “a decorrere dal 10 gennaio 2009”, nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS richiedere per il periodo precedente.

2. Il motivo è fondato: questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le società che, come l’odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell’ENEL, sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20 (conv. con L. n. 133 del 2008), con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017, e successive conformi, tra cui da ultimo Cass. n. 8861 del 2018, resa proprio con riferimento alla medesima società oggi controricorrente);

3. a supporto di tale conclusione si è sottolineato che l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dal D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1, che deve ritenersi disposizione ormai priva di efficacia diretta, in quanto legata necessariamente all’esistenza dell’ente pubblico economico denominato Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, già venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per effetto del D.L. n. 333 del 1992 e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico realizzata dalla Legge Delega n. 128 del 1999 e dal successivo D.Lgs. n. 79 del 1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE;

3.1. si è, quindi, richiamato il principio che informa la materia degli obblighi contributivi delle società partecipate da enti pubblici che questa Corte di Cassazione ha più volte recentemente affermato e che si compendia nell’affermazione secondo cui nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dalla origine di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (in tal senso Cass. n. 8591/2017 a proposito dei contributi per cassa integrazione guadagni; Cass. n. 4274/2016; Cass. 27213/2013);

3.2. si è, infine, ribadito – sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte Cost. n. 47 del 2008 – che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà e che il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale, con la conseguenza che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nella L. n. 1204 del 1971, art. 15,in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sè di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia.

3.3. Nei medesimi arresti si è poi aggiunto che dalle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte Cost. n. 47 del 2008, è dato ricavare un principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di logiche di stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese;

3.4. per altro verso, l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione dell’indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell’efficacia precettiva del disposto del D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1: trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato dall’odierna controricorrente al fine di garantirsi l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità.

3.5. E’ stato poi ritenuto manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale argomentato da parte controricorrente sul presupposto di una disparità di trattamento tra le società derivate dalla trasformazione dall’ente pubblico e quelle generatesi dello scorporo delle prime: tale dubbio, infatti, trae origine dal presupposto che il D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1, continuasse a trovare applicazione anche alle società derivanti dalla c.d. prima privatizzazione, laddove si è visto che la sua efficacia precettiva deve ritenersi venuta meno a seguito della trasformazione dell’ENEL in società per azioni.

3.6. In applicazione di tali rilievi, si è escluso che possa trarsi dal cit. D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 2, alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell’ENEL al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal 1.1.2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al sistema in ragione dei rilievi di ordine sistematico dianzi enunciati, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un’apposita disposizione di legge a carattere meramente ricognitivo (cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007);

3.7. neppure possono desumersi argomenti contrari dalla L. n. 218 del 1990, art. 3, comma 2, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi “gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza”, giacchè tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell’ENEL in virtù del D.L. n. 198 del 1993 (conv. con L. n. 292 del 1993), si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro.

4. La controricorrente non prospetta argomenti nuovi che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento dei principi affermati, da intendersi qui, nella loro più ampia esposizione, richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio offrendo, altresì, adeguata risposta a tutte le questioni specificamente sollevate in sede di memoria.

5. In coerenza con la soluzione già adottata negli arresti n. 4270 del 2018 e n. 8857 del 2018, già sopra richiamati, deve inoltre dichiararsi inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato con cui la società deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 277 c.p.c., comma 1, art. 276 c.p.c., comma 2 e conseguente nullità della sentenza, dolendosi del mancato esame dell’eccezione di giudicato in relazione a giudizi aventi lo stesso oggetto intercorsi tra le medesime parti e inerenti a contributi per maternità riferiti a periodi diversi da quello oggetto del presente giudizio. Si tratta di questione implicitamente ritenuta assorbita dal giudice del merito nella pronuncia di accoglimento, riproponibile nel giudizio di rinvio e rispetto alla quale non è ravvisabile soccombenza (sul punto Cass. Sez. n. 3796 del 15/02/2008 e molte altre successive conformi: “Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la ratio decidendi da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio”);

5.1. nè rileva che tale questione attinente il giudicato sia logicamente preliminare al merito della causa affrontato dalla Corte d’appello, come sottolineato da Terna nella memoria, considerato che la sentenza di merito risulta fondata sulla c.d. ragione più liquida, governata dal criterio dell’evidenza (cfr. Cass., Sez. Un., 18/11/2015, n. 23542; Cass., 20/3/2015, n. 5724; Cass., 17/3/2015, n. 5264; Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242; Cass., 16/5/2006, n. 11356). In relazione all’ eccezione di giudicato in argomento non quindi in realtà nella specie ravvisabile alcun rigetto implicito, essendo essa rimasta viceversa meramente assorbita (cfr. Cass., 27/12/2013, n. 28663 e Cass. Sez. Un. 25/5/2018 n. 13195), diversamente da quanto sarebbe avvenuto se la decisione fosse stata adottata in base all’ordine di trattazione delle questioni ex art. 276 c.p.c., comportante il rigetto implicito di ogni altra questione pregiudiziale o preliminare rispetto a quella accolta (cfr. Cass., 19/4/2018, n. 8571; Cass., Sez. Un., 12/5/2017, n. 11799).

6. Il ricorso principale, pertanto, va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto enunciati, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

7. All’inammissibilità del ricorso incidentale fa seguito ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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