Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28464 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7854-2010 proposto da:

C.A. (OMISSIS), T.F.

(OMISSIS) CO.MA. (OMISSIS)

c.G. (OMISSIS) B.O.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIULIA DI

COLLOREDO 46/48, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA GABRIELE,

che li rappresenta e difende giusta procura alle liti in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

sul ricorso 7888-2010 proposto da:

D.T. (OMISSIS) L.A. (OMISSIS)

G.G.A. (OMISSIS) S.R.

(OMISSIS), O.E. (OMISSIS)

elettivamente domiciliati in ROMA, Via GIULIA DI COLLOREDO 46/48,

presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che li rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

sul ricorso 7894-2010 proposto da:

co.ca. (OMISSIS), DE.VI.

(OMISSIS) M.M.O. (OMISSIS),

V.L. (OMISSIS) TO.MA. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 46/48,

presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che li rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto N. 134/09 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositato il 17/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Amato Felice (delega avvocato De Paola, difensore

dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;

è presente il P.G. in persona del Dott. PASQUALE FIMIANI che ha

concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che c.g., Co.Ma., C. A., B.O., T.F., D.T., G.G.A., L.A., S.R., O.E., co.ca., De.Vi., V. L., To.Ma. e M.M.O., con distinti ricorsi del 15 marzo 2010, hanno impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Firenze depositato in data 13 agosto 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso degli odierni ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha condannato il resistente a pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 3.600,00 a titolo di equa riparazione;

che il Ministro dell’economia e delle finanze, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per 1’irragionevole durata del processo presupposto nella misura di Euro 24.000,00 – proposta con ricorso del 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) i predetti ricorrenti, asseritamente titolari del diritto all’inquadramento nel 6^ livello retributivo, avevano proposto – con ricorso del 10 gennaio 1994 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa;

che la Corte d’Appello di Firenze, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in dodici anni ed ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 3.600,00 per ciascuno dei ricorrenti, calcolata in base ad un importo annuo di circa Euro 300,00, in quanto la controversia presupposta era stata promossa collettivamente e non era stata presentata l’istanza di prelievo dopo la sua introduzione, con conseguente minore incidenza del patema d’animo individuale.

Considerato che, preliminarmente, i ricorsi nn. 7854, 7888 e 7894 del 2010 devono essere riuniti, in quanto proposti contro lo stesso decreto, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.;

che con i due motivi di censura, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, tenuto anche conto che, comunque, era stata presentata l’istanza di prelievo contestualmente al deposito del ricorso introduttivo del giudizio presupposto;

che i ricorsi meritano accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che le censure sono fondate;

che, infatti, questa Corte ha già più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in Legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1, (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54 convertito in Legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr.

la sentenza n. 6619 del 2010);

che, infine, i Giudici a quibus si sono discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va determinato in Euro 7.500,00 per i quindici anni di irragionevole ritardo (Euro 500,00 annui), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo, in favore di ciascuno dei ricorrenti;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, previa compensazione per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, per l’intero, in complessivi Euro 3.250,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 2.000,00 (Euro 600,00+Euro 1.400,00 per gli altri quattordici ricorrenti) per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio – compensate per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li accoglie nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento a ciascun ricorrente della somma di Euro 7.500,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 3.250,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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