Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28462 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 28462 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 6187-2008 proposto da:
ROSSI

DOMENICA RSSDNC50S471689F,

UGOLINI

MORENO

GLNMRN52E13G649B, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato AURELI
MICHELE, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FERRARI GIORGIO giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2013

contro

1889

CALZOLARI

ADELE

CLZDLA35L59C106D,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,
presso lo studio dell’avvocato DI MATTIA SALVATORE,

1

Data pubblicazione: 19/12/2013

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente nyyre,n

12 PQIii=9P7

a3/2007

dellta CORTE D’AFFELLO

dí ROLOGNA, depónitnta il 08/01/2001

1888101

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FRASCA;
udìto l’Avvocato MICHELE AURELI;
udito l’Avvocato SALVATORE DI MATTIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

udienza del 11/10/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
§1. Moreno Ugolini e Domenica Rossi hanno proposto ricorso per cassazione contro
Adele Calzolari avverso la sentenza dell’8 gennaio 2007, con la quale la Corte d’Appello
di Bologna, provvedendo sull’appello di essi ricorrenti ha confermato la sentenza del
maggio 2003 con cui il Tribunale di Modena, investito dalla Calzolari nel giugno 2006 (per

quanto ancora interessa) della domanda in via principale, intesa ad ottenere la declaratoria
di nullità ai sensi degli arti. 1418 e 2744 c.c., del contratto di compravendita del 5 giugno
1991, con il quale la Calzolari aveva, dopo la stipula di un preliminare, venduto un
immobile ad essi ricorrenti per il prezzo di lire 96 milioni, aveva dichiarato la nullità di
detto contratto.
§2. La Calzolari aveva prospettato a sostegno della domanda che, avendo l’Ugolini
tra il marzo e l’aprile del 1991 chiesto a suo marito Carmelo Genovese, la restituzione di
una somma di lire 20 milioni che anni prima gli aveva concesso in prestito ed avendo il
Genovese fatto presente di non poter provvedere alla restituzione e di avere necessità di un
ulteriore finanziamento, l’Ugolini aveva accettato di concederlo a condizione della
cessione da parte della Calzolari dell’immobile di sua proprietà e per tale ragione era stato
stipulato il preliminare e poi il rogito, accessoriamene al quale in pari data gli acquirenti,
con scrittura privata, si erano impegnati a concedere l’immobile in locazione alla Calzolari
per il canone mensile di lire 250.000 ed a ritrasferirglielo con la previsione che se il
pactum de retrovhendendo fosse stato stipulato entro il 31 maggio 1996 il prezzo di
riacquisto sarebbe stato di lire 288 milioni e con la previsione di prezzi via via diversi a
seconda del tempo di stipulazione del rogito.
§3. Al ricorso ha resistito con controricorso la Calzolari.
§4. Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. Con un primo motivo di ricorso si deduce “insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione dell’art. 169
secondo comma c.p.c. (sul punto relativo al mancato rideposito da parte dell’attrice del
fascicolo di parte in primo grado nei termini di cui all’art. 169 c.p.c. ed alla erronea

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Est. Cons. ffaele Frasca

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

valutazione di tale circostanza da parte del Giudice di appello come smarrimento del
fascicolo)”.
L’illustrazione del motivo è conclusa, per quanto attiene alla denunciata violazione
dell’articolo 169 secondo comma c.p.c., dal seguente quesito di diritto: «se l’articolo 169

secondo comma c.p.c. consenta o imponga al giudice, in caso di produzione tardiva del
fascicolo di parte ed oltre il termine fissato dalla norma, ed in assenza di prova di
smarrimento, di imputare a smarrimento – mai addotto dalla parte interessata – la mancata

produzione, procedendo alla ricerca dei documenti non depositati con i mezzi a sua
disposizione, e se tale norma sia stata applicata la Corte di Appello della decisione
impugnata.».
Per quanto attiene al vizio motivazionale i ricorrenti, di seguito alla formulazione del
riportato quesito di diritto, assumono quanto segue: «a supporto della spiegata censura

per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo
per il giudizio, i ricorrenti indicano quale fatto specifico controverso la mancata
produzione in primo grado del fascicolo di parte attore nei termini di cui all’art. 169
secondo comma c.p.c., relativamente al quale la motivazione della Corte di Appello è da
una parte del tutto contraddittoria (riconoscendo in maniera inequivoca la mancanza del
fascicolo di parte attrice al momento della decisione di primo grado, ma ritenendo poi che
i documenti sarebbero stati smarriti) dall ‘altra del tutto insufficiente e illogica, laddove
presuppone uno smarrimento del fascicolo, in contrasto con le risultanze processuali, e
non il mancato rideposito nel fascicolo di parte nei termini ex articolo 169 secondo comma
c.p.c.>>.
§1.1. Il Collegio rileva preliminarmente che il vizio motivazionale relativo alla
quaestio facti che il giudice di merito ha considerato ai fini dell’applicazione di una norma
del procedimento non ha una sua autonomia rispetto al paradigma del n. 4 dell’art. 360
c.p.c., onde, ancorché i ricorrenti, evocando il concetto di fatto controverso come oggetto
di detto vizio sembrino, pur nella mancanza di formale indicazione del n. 5 dell’art. 360,
manifestamente abbiano inteso proporre anche una doglianza ai sensi di quest’ultimo, il
motivo deve intendersi unico e riconducibile al suddetto n. 4.
Tanto premesso, la stessa lettura dell’enunciazione conclusiva dell’illustrazione
evidenzia e se ne ha conferma nella lettura della illustrazione del motivo, che esso è
fondato su un presupposto che non trova riscontro nella motivazione della sentenza
impugnata: esso è che la Corte territoriale, nell’esaminare il problema della produzione in
appello dei documenti, che erano stati prodotti dall’attrice in primo grado nel suo fascicolo
4
Est. Cons. Raffa1e Frasca

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

e che all’atto della rimessione in decisione della causa in primo grado, a causa del mancato
rideposito del fascicolo ai sensi dell’art. 169 c.p.c., non erano risultati esaminabili, non ha
affatto affermato che quella mancanza fosse dipesa da smarrimento del fascicolo stesso.
Nella pagina diciannove, dove la sentenza impugnata si fa carico del problema della
ritualità della produzione dei documenti già prodotti in appello non v’è alcuna traccia di
una simile affermazione, onde l’illustrazione del motivo risulta del tutto carente di
correlazione con la motivazione della sentenza impugnata.

Ne segue che il motivo, la dove sostiene che in ragione dell’inesistenza dello
smarrimento del fascicolo e dell’inosservanza dell’art. 169 c.p.c. a causa di esso e
dell’esistenza invece di una mera omissione della Calzolari – in disparte il rilievo che, se
tale seconda eventualità fosse stata vera, occorrerebbe poi domandarsi se e come essa
avrebbe potuto precludere il rideposito del fascicolo in appello – è inammissibile alla
stregua del seguente principio di diritto: «Il motivo d’impugnazione è rappresentato
dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal
legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione,
la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna
identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione
di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i
motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e,
quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per
essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la
sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non
rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In
riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un
“non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4
cod. proc. civ.>> (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).
§2. Con un secondo motivo si deduce “omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione dell’art. 169
secondo comma c.p.c. (sul punto relativo al mancato rideposito da parte dell’attrice del
fascicolo di parte in primo grado nei termini di cui all’art. 169 c.p.c. ed alla erronea
valutazione del Giudice di Appello di ritenere ammissibile la produzione di tale fascicolo
in grado di appello nonostante il mancato rideposito in primo grado)”.
L’illustrazione del motivo e conclusa, per quanto attiene alla denunciata violazione
dell’articolo 169 secondo comma c.p.c. al seguente quesito di diritto: <> implica una siffatta previsione.

Tuttavia, la perentorietà della previsione rimane interna allo svolgimento del giudizio
di primo grado e rileva in funzione del suo svolgimento successivo con le attività proprie
della fase decisoria, ma essa – fermo che non preclude né la possibilità che la parte del cui

fascicolo si tratti possa evidenziare l’esistenza di una situazione giustificativa della
rimessione in termini e fermo che qualora gli atti presenti nel fascicolo siano oggetto di
argomentazione da parte dell’altro litigante il principio dell’acquisizione processuale dei
documenti prodotti ritualmente e, quindi, la loro utilizzabilità da parte del medesimo
possono giustificare (ma non è questa la sede per approfondire) che rispettivamente si
ammetta il rideposito o lo si ordini prima della decisione o in sede di essa — una volta che
il procedimento trasmigri in appello non può in alcun modo operare, perché quando l’art.
345 allude alle prove nuove e, nel testo applicabile alludeva ai nuovi mezzi di prova, così
comprendendo anche i documenti (come statuirono le Sezioni Unite con la nota sentenza n.
8203 del 2005) è palese che alluda alle prove e, quindi, ai documenti che nel giudizio si
pretenda di introdurre come “nuovi” e, dunque, che non vi siano stati introdotti prima del
grado di appello.
Di modo che, quando la parte che aveva omesso di ridepositare il fascicolo
produce il fascicolo di parte di primo grado in cui i documenti erano stati prodotti
nell’osservanza delle preclusioni probatorie previste in primo grado, come deve fare
ai sensi dell’art. 165 e 166 c.p.c. (giusta il primo comma dell’art. 347 c.p.c.), compie
un’attività che, riguardo alla reintroduzione nel processo dei documenti non può in
alcun modo considerarsi come di introduzione di nuove prove documentali.

§4.2. In buona sostanza, la perentorietà del termine del secondo comma dell’art.
169 c.p.c., quando il rideposito sia dipeso da mero errore della parte, è una
perentorietà che, stante il riferimento dell’art. 345 solo alle prove nuove e, quindi, ai
documenti nuovi, va riferita, secondo il principio per cui una previsione di un onere
di osservanza di una forma va intesa con riferimento allo scopo che essa ha, come
correlata solo alla decisione del giudice di primo grado (salva, naturalmente
l’incidenza delle situazioni di rimessione in termini e di necessità della
documentazione per la prospettazione dell’altra parte, per come s’è detto).

8
Est. Cons. aafle1e Frasca

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

Va considerato, d’altro canto, che nel caso di specie il Tribunale in primo grado —
come emerge dalla sentenza di appello – aveva ritenuto di accogliere la domanda della
Calzolari nonostante il mancato rideposito del fascicolo della medesima e lo aveva fatto
reputando incontestata, in buona sostanza facendo applicazione del principio di
acquisizione processuale, la conclusione della compravendita del 5 giugno 1991 e della
scrittura privata del 31 maggio 1996 e, quindi, utilizzando i risultati dell’istruzione
testimoniale. Poiché l’appello era stato proposto dai qui ricorrenti ed essi, pur sostenendo

nel primo motivo che la domanda non avrebbe potuto essere accolta in mancanza dei detti
documenti avevano poi criticato la valutazione del primo giudice in ordine alle risultanze
testimoniali, postulandone l’insufficienza proprio per il mancato esame dei documenti, si
deve considerare che, essendo detta valutazione basata anche sulla valorizzazione della non
contestazione dei documenti stessi, di cui si è detto, sarebbe stato onere degli stessi
appellanti produrre copia dei documenti, se in loro possesso, oppure sollecitare il giudice
d’appello a ordinare all’appellata di ridepositarli ove non lo avesse fatto. Ciò, in quanto i
documenti fondavano il loro appello e, quando l’impugnazione è fondata su documenti
prodotti dalla controparte è onere dell’impugnante, che aveva facoltà di estrarne copia,
produrne copia per il caso che la controparte resti contumace. Nella specie, dunque, la
produzione effettuata dalla Calzolari era anche nell’interesse degli stessi appellanti (in
proposito, si rileva che, recentemente, Cass. n. del 2013 ha così statuito: <>, senza dire a
dirà, solo una frase.
§6.2.2. Il motivo è ulteriormente inammissibile, perché si correla alla motivazione
della sentenza impugnata pretendendo di evocarla in modo del tutto generico e senza una
precisa individuazione delle argomentazioni con cui essa si dipana dalla pagina 20 alla
pagina 24, nonché omettendo di seguirne e, quindi, discuterne il filo logico, sicché il lettore
del motivo non è messo in grado di percepire la motivazione della sentenza stessa nella sua
effettiva consistenza, onde, quando procede poi alla lettura della motivazione stessa
constata che il motivo è inidoneo, per la sua genericità e parziarietà, ad integrare una
critica ad essa: basti qui notare che dell’interrogatorio formale si riporta solo una frase (“Il
Genovese richiese un anticipo di 50 milioni, assicurando che il rogito sarebbe seguito da lì
a poco”), corrispondente a quanto la Corte territoriale esamina con riferimento ad esso alla
pagina 22, righi dal sesto al tredicesimo, ma si omette qualsiasi considerazione non solo
delle argomentazioni in iure svolte in funzione della sussunzione sotto l’art. 2744 c.c. di
seguito e fino a due terzi della pagina successiva e, soprattutto si omette qualsiasi rilievo
sul contenuto dell’interrogatori esaminato dalla Corte territoriale di seguito nelle ultime
undici righe della pagina 23 e nelle prime nove della pagina successiva.
Si ricorda, in proposito che è principio consolidato che «nel ricorso per cassazione
il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma,
n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc.
civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando
altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il
fondamento della denunziata violazione.>> (Cass. n. 3010 del 2012, ex multis), onde è
palese che, se una motivazione in iure si articola con una serie di argomenti, il ricorrente in
cassazione se ne deve necessariamente fare carico nel suo complesso, perché altrimenti è

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Est. Cons. R

e Frasca

quale “materiale” ci si intenda riferire, oltre che all’interrogatorio, di cui riproduce, come si

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

come se il motivo non indicasse veramente quali affermazioni in diritto la sentenza abbia
fatto per incorrere nel denunciato vizio di violazione di legge.
Inoltre, nuovamente viene in rilievo il principio di diritto di cui alla citata Cass. n.
359 del 2005, perché il farsi carico con indicazione generica della motivazione della
sentenza impugnata e, soprattutto, soltanto con riguardo ad una pare di essa, rendono il
motivo affetto da inidoneità al raggiungimento del suo scopo e, dunque, nullo.
§7. Con il sesto motivo si deduce “violazione dell’art. 2744 c.c. (sul punto relativo
alla conclusione tra le parti di un contratto, in pretesa a scopo illecito di garanzia,
immediatamente traslativo della proprietà, e non meramente obbligatorio, ed all’erronea
decisione della Corte di Appello di ritenere ciò nonostante integrato il divieto dell’art. 2744
c.c.)”.
L’illustrazione del motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: <>
§7.1. Anche questo motivo, evocando il contenuto delle scritture, senza adempiere
nei sensi indicati a proposito del precedente, all’onere di indicazione specifica impinge
nella inammissibilità ex art. 366 n. 6 c.p.c.
§7.2. Non solo: esso si palesa del tutto generico, là dove evoca due distinti indirizzi
della giurisprudenza di questa Corte senza nemmeno indicare le decisioni che
apparterrebbero all’uno e all’altro, con la conseguenza che impinge in inammissibilità sulla
base del seguente principio di diritto: «Il requisito di specificità e completezza del motivo
di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali
e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo
preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del
suo scopo (art. 156, secondo comma, cod. proc. civ.). Tali principi, applicati ad un atto di
esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in
relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si

15
Est. Cons.

ae3e Frasca

§6.2.3. Il motivo è, pertanto, dichiarato inammissibile.

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esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione
ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo
all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano
che il motivo di ricorso per cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua
specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè
articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad
§7.3. Comunque il motivo, se lo si considera nell’astratta questione che propone,
sottesa anche al quesito di diritto, sarebbe palesemente infondato, atteso che la
giurisprudenza della Corte è da lungo tempo attestata sul principio di diritto secondo cui
«In materia di nullità per violazione del divieto del patto commissorio, non è possibile in
astratto identificare una categoria di negozi soggetti a tale nullità, occorrendo invece
riconoscere che qualsiasi negozio può integrare tale violazione nell’ipotesi in cui venga
impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di far
ottenere al creditore la proprietà del bene dell’altra parte nel caso in cui questa non
adempia la propria obbligazione.>> (da ultimo Cass. n. 4262 del 2013; adde, ex mutis:
Cass. n. 9466 del 2004, secondo cui «Atteso che il divieto del patto commissorio, posto
dall’art. 2744 cod. civ., va interpretato non secondo un criterio formalistico e strettamente
letterale, ma secondo un criterio ermeneutico e funzionale, finalizzato ad una più efficace
tutela del debitore e ad assicurare la “par condicio creditorum”, in tal modo contrastando
l’attuazione di strumenti di garanzia diversi da quelli legali, il patto commissorio – con la
conseguente sanzione di nullità – è ravvisabile anche rispetto a più negozi tra loro collegati,
qualora scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il meccanismo
negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del creditore sia
effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia,
a prescindere dalla natura meramente obbligatoria, o traslativa, o reale del contratto,
ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi, nonché
dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti
che abbiano stipulato i negozi collegati, complessi o misti, sempre che tra le diverse
pattuizioni sia ravvisabile un rapporto di interdipendenza e le stesse risultino
funzionalmente preordinate allo scopo finale di garanzia. >>).
§7.4. Con specifico riferimento all’interrogativo sul se la vendita immediatamente
traslativa con patto di retrovendita possa integrare la figura dell’art. 2744 c.c. è sufficiente,
poi, richiamare: Cass. n. 10916 del 2013, da ultimo; adde: Cass. n. 2725 del 2007; n.

16
Est. Cons. 4aaeie Frasca

evidenziarlo.>> (Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

16953 del 2008; 17705 del 2006; si veda, poi, Cass. sez. un. n. 1611 del 1989, che,
componendo un contrasto, affermò che « La vendita con patto di riscatto o di
retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, la quale risponda all’intento delle parti
di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso
di inadempienza del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo
della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il
tale norma imperativa, e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la
sanzione dell’art. 1344 cod. civ. »), non senza che si debba rilevare che nella specie alla
stipulazione delle retrovendita si è accompagnata la locazione dell’immobile alla Calzolari,
elemento che rafforza ulteriormente, come ha ritenuto la Corte territoriale,
l’apprezzamento della vicenda alla stregua dell’art. 2744 c.c. In particolare correttamente
la Corte felsinea, dopo avere osservato che l’Ugolini aveva riconosciuto, nel corso
dell’interrogatorio formale, «che il debitore Genovese Carmelo gli aveva manifestato
l’intenzione di vendere l’appartamento di proprietà della moglie, a causa delle difficoltà
economiche in cui versava» ed averne inferito che «allo scopo di garanzia del contratto
di compravendita la Calzolari non era quindi estranea, in considerazione del fatto che alla
determinazione di alienare l’immobile pervenne proprio a causa della necessità per il
marito di ottenere il finanziamento, non risultando, da altri diversi elementi, peraltro
neanche allegati, che avesse motivi diversi ed ulteriori per addivenire ala vendita», ha poi
soggiunto che «ciò va detto tanto più ove si consideri che l’appellata non ne perse, a
seguito della vendita, la disponibilità, continuando ad avere necessità di abitarvi, come è
dimostrato dall’avvenuta contestuale conclusione del contratto di locazione».
Nella specie, appare correttamente considerato dai giudici di merito come
elemento per la sussunzione in iure della vicenda sotto l’art. 2744 c.c. la circostanza
che alla vendita ed al patto di retrovendita fosse anche seguita la locazione
dell’immobile per un’esigenza abitativa della venditrice, trattandosi di elemento che,
palesando la permanenza del bisogno abitativo della venditrice e, dunque, che essa
aveva necessità di utilizzare abitandolo il bene, come lo abitava, e, dunque, di non
privarsi del suo godimento diretto, rafforza il carattere commissorio del collegamento
negoziale.

§8. Con un settimo motivo si fa valere “violazione dell’art. 2744 c.c. (sul punto
relativo al trasferimento immobiliare (in pretesa a scopo illecito di garanzia) posto in
essere a favore del creditore Sig. Moreno Ugolini non dalla parte debitrice Sig. Carmelo

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Est. Cons. Ra e e Frasca

patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 cod. civ., configura mezzo per eludere

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

Genovese, bensì da un terzo, Sig.ra Adele Calzolari, ed all’erronea decisione della Corte di
Appello di ritenere ciò nonostante integrato il divieto dell’art. 2744 c.c.)”.
L’illustrazione del motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: <>.
Il motivo, in disparte l’astrattezza del quesito e la sua scarsa aderenza alla vicenda,
posto che omette di riferire e considerare che nella specie il terzo era la moglie del
debitore, ed in disparte che risulta assolutamente generico nell’evocare <> (da ultimo Cass. n. 5426 del 2010; adde:
Cass. n. 2541 del 2000 e n. 8624 del 1998; n. 3800 del 1993; del tutto isolatamente in
senso contrario si era espressa Cass. n. 1787 del 1993, in contrasto con il pacifico
orientamento contrario esistente antecedentemente, ma Cass. n. 8624 del 1998 ne confutò
ampiamente gli argomenti e successivamente, come rivela anche la giurisprudenza che si
occupa del lease-back in riferimento all’art. 2744 c.c., è rimasto consolidato l’orientamento
che ritiene che il collegamento negoziale coinvolgente un terzo possa ricondursi alla
norma: si vedano anche Cass. n. 7740 del 1999; n. 18655 del 2004, n. 3645 del 2007).
Principio nella fattispecie vieppiù giustificato dalla circostanza che il terzo estraneo al
rapporto obbligatorio era la moglie del debitore e da quella che Essa rimase nel
godimento dell’immobile, a titolo abitativo e, quindi, di soddisfazione dell’interesse
sotteso al c.d. diritto costituzionale all’abitazione, iure locationis.

§9. Il ricorso dev’essere, dunque, conclusivamente rigettato.
§10. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo ai sensi del d.m. n. 140 del 2012.

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Est. Cons.

aele Frasca

all’ipotesi in cui negozio in pretesa stipulata garanzia del debito sia stato posto in essere a

R.g.n. 6187-08 (ud. 11.10.2013)

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione alla resistente delle
spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro diecimiladuecento, di cui duecento per
esborsi, oltre accessori come per legge.

residente

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, 1’11

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