Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28460 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 07/11/2018), n.28460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19328-2016 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIBULLO 10, presso

lo studio dell’avvocato GRAZIA TEDESCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO CALANDRINO giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 218/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/06/2016 R.G.N. 534/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato VINCENZO RAGO;

udito l’Avvocato MARCO CALANDRINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 218 del 2016, in riforma della decisione del Tribunale di Aosta, che aveva rigettato la domanda di D.D. tesa alla condanna del Ministero della Salute a corrispondergli l’indennizzo che gli veniva erogato, con decorrenza dal 1.1.2008, in quanto affetto da sindrome da talidomide con l’applicazione della rivalutazione anche alla voce I.I.S. della predetta misura assistenziale, ha condannato il Ministero appellato ad adeguare il quantum dell’indennizzo a tale ultimo più favorevole criterio di calcolo.

2. La Corte territoriale, dopo aver ricordato il testo della L. n. 210 del 1992, art. 1, commi 1 e 2, della L. n. 210 del 1992, art. 2, commi 1 e 2, della L. n. 229 del 2005, art. 1, commi 1 e 4, della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 363, del D.M. n. 163 del 2009, art. 1, commi da 1 a 4 ha motivato la decisione rilevando che, prendendo a base di calcolo della prestazione le modalità indicate dalla L. n. 210 del 1992, art. 2 nella duplice componente: a) dell’assegno determinato nella misura indicata dalla tabella B allegata alla L. n. 177 del 1976 e rivalutato annualmente; b) della somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale di cui alla L. 27 maggio, n. 324, occorreva tenere conto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, anche costituzionale, che aveva accompagnato il tormentato percorso applicativo relativo alla rivalutabilità dell’indennità integrativa da corrispondere ai destinatari della L. n. 210 del 1992. In particolare, occorreva adottare un’interpretazione conforme ai principi costituzionali che imponevano di rapportare in modo effettivo l’entità dell’indennizzo al pregiudizio alla salute subito.

3. Avverso tale decisione interpone ricorso in Cassazione il Ministero della Salute con unica articolata censura. D.D. resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il Ministero della Salute afferma, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 229 del 2005, art. 1, della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363, del D.M. 163 del 2009 e della L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2, sostenendo che il rinvio della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363 alla misura dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1 sarebbe da intendere come rinvio “fisso”, insensibile alle vicende che hanno riguardato la seconda disposizione, sottolineando altresì l’illogicità del fatto che gli effetti della declaratoria di incostituzionalità della L. n. 210 del 1992, art. 2 fondati sulla comparazione proprio con l’indennizzo di cui alla L. n. 244 del 2007, finissero per riverberarsi a ritroso, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale, anche su quest’ultimo indennizzo, incrementandone l’ammontare.

2. Il motivo è infondato e va disatteso.

2.1 Come è noto, l’ordinamento prevede un indennizzo per i danni da emostrafusioni (L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 2), composto da due quote (assegno, di cui alla L. n. 210 cit., art. 2, comma 1 e indennità integrativa speciale, di cui all’art. 2, comma 2), un diverso indennizzo (L. n. 210 cit., art. 1, comma 1) per i danni da vaccinazione obbligatoria, composto delle medesime quote (assegno e indennità integrativa speciale) e da un ulteriore componente (L. n. 229 del 2005, art. 1)pari fino a sei volte l’indennizzo mensile di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2; infine è previsto un indennizzo per i danni da uso del talidomide che la L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363, regola facendo rinvio all’indennizzo di cui alla L. n. 229 del 2005, art. 1 già menzionato.

3. In esito a contrasti giurisprudenziali, il D.L. n. 78 del 2010, art. 11, comma 13 conv. con modif. in L. n. 122 del 2010, stabilì che la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2, comma 1 e successive modificazioni, riguardante sia i danneggiati da vaccinazioni sia i danneggiati da trasfusioni, si interpretasse “nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d’inflazione”.

Ne è derivata questione di legittimità di tale norma, accolta dalla Corte Costituzionale sulla base della comparazione della disciplina propria degli emotrasfusi con l’indennizzo per l’uso del talidomide (trattandosi in entrambi i casi di trattamenti non obbligatori), sicchè anche l’indennità integrativa speciale prevista quale componente dell’indennizzo per gli emotrasfusi era, secondo la Corte, da ritenere soggetta alla medesima rivalutazione prevista per i danneggiati da talidomide (Corte Costituzionale 9 novembre 2011, n. 293), con pronuncia destinata ad estendersi, sulla base di quanto meglio si dirà anche infra, ai danneggiati da vaccinazioni obbligatorie.

3.1 Tuttavia vi è da considerare che l’indennizzo previsto per gli emotrasfusi e i danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, come si è detto, costituisce base di calcolo per l’ulteriore indennizzo (proprio dei soli vaccinati) di cui alla L. n. 229 del 2005, art. 1 e che la misura dell’indennizzo per i danneggiati da talidomide è della medesima misura di quello di cui allo stesso art. 1.

3.2 Va quindi da sè che l’incremento di una delle componenti della base di calcolo (l’indennità integrativa speciale) naturalmente modifichi l’ammontare dell’indennizzo per i danneggiati da talidomide e quindi siano dovute le relative differenze; nè ciò determina, come adombrato dalle difese del Ministero, una duplicazione di rivalutazioni, in quanto una cosa è la rivalutazione dell’indennizzo già prevista dalla L. n. 229 del 2005, art. 1, comma 4, destinata a porre al riparo l’importo dalla perdita di valore del denaro nel corso del tempo, altra cosa è la rivalutazione della base di calcolo, destinata soltanto ad incrementare la misura iniziale dell’indennizzo stesso.

3.3 Suggestiva, ma infondata, è altresì l’osservazione del Ministero in ordine al fatto che l’incremento dell’indennizzo ai danneggiati da talidomide, sarebbe in tal modo conseguenza della pronuncia della Corte Costituzionale con cui la disciplina di quello stesso indennizzo era stata assunta quale tertium comparationis al fine di affermare l’illegittimità della mancata previsione della rivalutazione dell’indennità integrativa speciale per i danneggiati da trasfusioni infette.

Ciò è vero, ma non risulta ostativo alle conclusioni da assumere.

La L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363 prevede che ai danneggiati da talidomide sia riconosciuto “l’indennizzo di cui alla L. 29 ottobre 2005, n. 229, art. 1” e non un mero importo pari a quanto (nel 2005) previsto per tale indennizzo.

Al contempo alla L. n. 229 del 2005, art. 1 prevede che l’indennizzo da esso previsto sia pari a multipli della “somma percepita dal danneggiato ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2”, ove per “somma percepita” non può che intendersi quella che vi era diritto a percepire, sicchè l’interpretazione invalsa, a livello costituzionale e di legittimità, della L. n. 210 del 1992, art. 2 inevitabilmente incrementa ab origine l’indennizzo ivi previsto e, consequenzialmente, la base di calcolo di quello di cui alla L. n. 229 del 2005, art. 1 e di quello di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 363.

Non vi sono dunque margini per ritenere, come vorrebbe la difesa erariale, che il rinvio della L. n. 244 del 2007, art. 2,comma 363, alla L. n. 229 del 2005, art. 1 sia un rinvio fisso all’importo stabilito da quest’ultima disposizione e d’altra parte le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale sono notoriamente (tra le molte, da ultimo, Cass. 20 novembre 2012, n. 20381; Cass. 18 luglio 2006, n. 16450) tali da comportare la rimozione o la rimodulazione (come in un caso come quello di specie in cui la pronuncia della Corte Costituzionale appartiene alla pur rara tipologia delle sentenze “interpretative di accoglimento”, avendo essa – attraverso la caducazione di una norma di interpretazione autentica – la capacità di consolidare, attraverso la motivazione, la diversa interpretazione costituzionalmente legittima) con effetti ex tunc della norma, a meno che esse stesse, come non accade nel caso di specie, autolimitino al futuro la propria efficacia (v. Corte Costituzionale 11 febbraio 2015, n. 10, in relazione all’esigenza di evitare che la pronuncia di illegittimità comportasse una grave violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.).

Sicchè, in mancanza delle limitazioni predette, non possono porsi limiti alla portata espansiva che, dalla dichiarata illegittimità della norma sulla rivalutazione dell’indennità integrativa speciale, derivano rispetto ad altri benefici riconnessi legislativamente a tale effetto.

3.4 Infine, per analoghe ragioni, è da escludere che possa avere rilievo decisivo il fatto che la pronuncia della Corte Costituzionale avesse riguardato l’estensione della disciplina a favore dei danneggiati da trasfusioni, per l’assenza di obbligatorietà del trattamento che li accomunava ai danneggiati da talidomide, e non, in senso stretto, ai danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, rispetto ai quali anzi essa esclude una rigorosa necessità di pari trattamento.

Infatti D.L. n. 78 del 2010, art. 11, comma 13 dichiarato (senza limitazioni) incostituzionale riguardava tout court la L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 2 sicchè anche l’unica interpretazione costituzionalmente legittima dell’art. 2, comma 2, cit. che ne è residuata non può che riguardare tutti i soggetti contemplati dalla medesima norma.

Anche perchè il legislatore, con riferimento all’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, ha inteso destinare a vaccinati ed emotrasfusi il medesimo trattamento che non può quindi venire differenziato in via interpretativa.

4. D’altra parte, conclusivamente, la logica sottesa alla tecnica legislativa è chiaramente quella di fondare su basi omogenee i ristori previsti per i soggetti affetti dalle diverse sindromi riconnesse a trattamenti sanitari dannosi e la stessa più volte citata pronuncia della Corte Costituzionale può essere intesa come finalizzata a distinguere tra gli effetti di norme che disciplinano l’indennizzo previsto per ciascuna categoria protetta rispetto alla determinazione del quantum di ciascuna prestazione assistenziale (che, rispondendo a legittime scelte discrezionali del legislatore possono essere diversificati) da quegli aspetti che invece attengono alla struttura di base dell’indennizzo e che non possono essere regolati in modo da generare conflitto con le ragioni unificanti sopra evidenziate.

E’ pertanto solo attraverso la iniziale determinazione dell’importo dell’indennizzo di cui qui si discute nella misura rivalutata anche per quanto attiene alla componente della indennità integrativa speciale che tale fine di omogeneità può essere garantito e quindi il ricorso va rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza, con la richiesta distrazione ìn favore dell’avv. Marco Calandrino.

5. Stante la non debenza da parte delle amministrazioni pubbliche, come la parte ricorrente, del versamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (v., ex multis, Cass., SU, 9938/2014; Cass. nn. 5955 e 23514 del 2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge, con distrazione in favore dell’avvocato Marco Calandrino.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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