Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28459 del 19/12/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 28459 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 15106-2007 proposto da:
SDA

EXPRESS

COURIER

S.P.A.,

in

persona

del

Procuratore speciale, Dott. MAURIZIO VELLISCO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA N. RICCIOTTI
11, presso lo studio dell’avvocato SINIBALDI MICHELE,
che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

1480

contro

TIPOLITOGRAFIA PETRUZZI CORRADO & C S.N.C.,
persona del legale rappresentante sig.

in

CORRADO

PETRUZZI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XXIV

1

Data pubblicazione: 19/12/2013

MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato GAMBULI
MICHELE, che la rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1744/2006 della CORTE

6311/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/06/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato MICHELE SINIBALDI;
udito l’Avvocato MICHELE GAMBULI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2006 R.G.N.

I FATTI

La Tipolitografia Petruzzi convenne dinanzi al tribunale di Roma
la s.r.l. SDA Express, chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni subiti in conseguenza dello smarrimento di alcune
pellicole fotografiche consegnate alla società convenuta

recapitate ad essa attrice.
Espose quest’ultima che l’accordo con il vettore, a carattere
gratuito, era stato raggiunto nell’ambito di un’attività di
promozione commerciale di quest’ultimo, e che, a seguito del
mancato recapito del materiale fotografico, essa era stata
costretta a rivolgersi a terzi per ottenere la riproduzione
anastatica delle precedenti edizioni del volume cui erano
destinate le foto, affrontando un costo pari a L. 23.340.200
Il giudice di primo grado accolse solo in parte la domanda,
condannando la Sda al pagamento di E. 775, e rigettando la
domanda riconvenzionale di quest’ultima, che aveva dal suo canto
richiesto il pagamento della somma di circa l milione di lire.
La corte di appello di Roma, investita del gravame principale
proposto dalla SDA e da quello incidentale della Petruzzi,
rigettò il primo ed accolse il secondo, condannando la società
di trasporti al pagamento della somma di E. 18.500.
Per la cassazione della sentenza della Corte capitolina la Sda
ha proposto ricorso illustrato da 3 motivi.
Resiste la tipolitografia Peruzzi con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

3

dall’Istituto Nazionale per la Comunicazione affinché fossero

Il ricorso V. non può essere accolto.
Con il primo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

dell’art. 116 c.p.c., 1223, 1441, 2043 e 1346 c.c.; omessa e
insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia.

(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
Dica la S.C. se possa assurgere a dignità di documento probante,
in assenza di prove ulteriori a conforto, una scrittura privata
proveniente da soggetto che sebbene non parte del giudizio sia
interessato alla lite e sia potenzialmente parte, ovvero
proveniente dal terzo in favore del quale è stato stipulato il
contratto.
Il quesito (e con esso il motivo che lo precede) risulta
inammissibile.
Affetto da patente e irredimibile astrattezza, difatti, esso si
allontana radicalmente dai canoni ermeneutici più volte
evidenziati,

in subiecta materia,

da questo giudice di

legittimità, che ha già avuto più volte modo di affermare come
il quesito di diritto debba essere formulato, ai sensi dell’art.
366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una
sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con
conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se
sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto
inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza

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La censura è corredata dal seguente quesito di diritto

impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-32009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 192-2009, n. 4044) nella generica richiesta (quale quelle di
specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia
stata o meno violata – o disapplicata o erroneamente applicata,

investire la

ratio decidendi

della sentenza impugnata,

proponendone una alternativa di segno opposto: le stesse sezioni
unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. SS.
uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per
violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per
cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia
accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si
risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che
già presupponga la risposta (ovvero la cui risposta non consenta
di risolvere il caso sub iudice).
Tale appare, nella specie, il quesito illustrato poc’anzi.
La sua corretta formulazione esige, viceversa (Cass. 19892/09),
che il ricorrente

dapprima indichi in esso la fattispecie

concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine
formuli,

in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente)

assertiva,

il

l’affermazione;

principio
onde,

giuridico
ribadito

va

di

cui
(Cass.

si

chiede

19892/2007)

l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione
sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

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in astratto, – una norma di legge. Il quesito deve, di converso,

Quanto al denunciato vizio di motivazione, va rammentato come il
tema della sintesi necessaria per il relativo esame sia stato
ancora affrontato dalle sezioni unite di questa Corte, che hanno
analiticamente specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta
portata del sintagma “chiara indicazione del fatto controverso”

contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare
la decisione: si è così affermato che la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto
(cd. “quesito di fatto) – che ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità.
Tale momento di sintesi, nella specie, risulta del tutto omesso.
Con il secondo motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 1223 e 1996 c.c.. Illegittima
quantificazione del danno. Omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia.
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica la S.C. se la prova di un danno asseritamente subito può
essere quantificata sulla base di una fattura che non riproduca
i beni dei quali si assume essere avvenuta la sostituzione e se
sia viziato da manifesta illogicità l’iter logico del giudice
che ometta di rilevare la diversità tra i beni sostituendi me

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in relazione al quale la motivazione si assume omessa o

quelli descritti in fattura assumendo che il documento non
risulta contestato.
La duplice censura è inammissibile, oltre che per i medesimi
motivi dianzi esposti in tema di requisiti espositivo-narrativi
del quesito di diritto (da cui quello in esame all’evidenza si

motivazionale (che manca del tutto anche in questo caso), perché
si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto
inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze
come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente,
difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della
sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c.,
si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle
risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite
dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza
censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle
risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse
– ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un
apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di
merito il quale, nel porre a fondamento del proprio
convincimento e della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione
circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola

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discosta) ed in tema di sintesi espositiva del denunciato vizio

risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione
difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per
cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun
modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere
di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di

della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta
l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando
le prove (e la relativa significazione), controllandone la
logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra
esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in
discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente
previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente,
nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente
motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente
(perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e
funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte
una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai
cristallizzate

quoad effectum)

sì come emerse nel corso dei

precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad
una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un
nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale
ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai
cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali,
l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quell

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converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e

ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse
dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate
al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri

desiderata -,

quasi che nuove istanze di fungibilità

nella ricostruzione dei

fatti di causa fossero ancora

Con il terzo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

degli artt. 1678, 1696, 1223, 1225 c.c.;omessa e insufficiente
motivazione su un punto decisivo per il giudizio.
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica la S.C. che relativamente al contratto di trasporto il
vettore, in difetto di una espressa previsione del costo di
sostituzione del bene trasportato, non possa essere ritenuto
responsabile, ad eccezione del caso di suo dolo, del danno
derivato dall’inadempimento nella consegna del plico se non
limitatamente ad un valore equo il cui apprezzamento è rimesso
nella sua determinazione al giudice di merito in via equitativa.
Il motivo è infondato.
Pur volendo prescindere dalla evidente contraddizione in cui la
stessa parte oggi ricorrente sembra incorrere (come
correttamente rileva la resistente all’ultimo foglio, peraltro
privo di numerazione, dell’odierno controricorso), avendo
censurato la sentenza di primo grado dinanzi al giudice di
appello proprio sotto il profilo della pretesa erroneità della
soluzione adottata in prime cure in punto di adottata
valutazione puramente equitativa del danno, va osservato

9

che/?
la

legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

decisione del giudice territoriale appare del tutto corretta ed
esente da vizi

logico-giuridici

volta che il prezzo di

cose smarrite

rappresentava la concreta

riproduzione delle

attuazione del criterio di cui agli artt. 1693-1696 cc., mentre

inammissibile

si risolvono,

richiesta di un

ancora una volta, in una
sindacato di merito della

decisione oggi impugnata, come già evidenziato in sede di esame
del secondo motivo.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La

disciplina delle spese segue – giusta il principio della

soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si
liquidano in complessivi E. 2200, di cui E. 200 per spese.
Così deciso in Roma, li 21.6.2013

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