Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28458 del 15/10/2021

Cassazione civile sez. I, 15/10/2021, (ud. 28/09/2021, dep. 15/10/2021), n.28458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24217/2020 proposto da:

H.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Anna Moretti, per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato per legge presso gli uffici dell’Avvocatura Generale

dello Stato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– intimato –

Avverso il decreto del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in

materia di immigrazione, protezione internazionale e libera

circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, n. 5113/2020

depositato il 06/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.M., di cittadinanza bengalese – che nel racconto reso in fase amministrativa, davanti la competente Commissione territoriale, aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese per sfuggire, quale membro attivo del partito (OMISSIS), alla persecuzione dei sostenitori del partito dell'(OMISSIS) che lo avevano aggredito nel corso di una manifestazione organizzata per denunciare il loro cattivo governo ed in particolare di un tale S., che viveva nel suo stesso quartiere, che lo aveva denunciato e che avrebbe voluto farlo arrestare per la sua affiliazione al partito – ricorre con sei motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato.

2. Il Tribunale di Milano ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni rese dal richiedente ed insussistenti i presupposti di legge per il riconoscimento della protezione internazionale e del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato, costituendosi tardivamente al dichiarato fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione della causa ex art. 371 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2018, in combinato disposto con l’art. 46, par. 3 Direttiva n. 32 del 2013, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non avere il tribunale provveduto all’audizione del richiedente nonostante l’introduzione nel ricorso di elementi di fatto non dedotti davanti la competente commissione territoriale e avere omesso l’esame dei motivi.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, con riguardo alla normativa riportata sub n. 1, per avere il tribunale, richiamato il protocollo del 4 maggio 2020, disposto lo svolgimento dell’udienza con modalità “da remoto”, con scambio e deposito telematico di note scritte, e per avere omesso di esporre le ragioni per cui respingeva la richiesta di fissazione dell’udienza “in presenza”.

La modalità scritta di trattazione dell’udienza aveva impedito al ricorrente di avere un contatto diretto con il giudice naturale e di chiedere i chiarimenti. Come chiarito da Cass. n. 17717 del 2018 il giudice deve disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione in mancanza di video registrazione.

3. Dei motivi può darsi congiunta trattazione perché connessi.

I motivi sono inammissibili.

3.1. Il primo perché privo di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 4.

Fermo il principio già affermato da questa Corte, per il quale nei giudizi in materia di protezione internazionale “l’audizione del richiedente va disposta dal giudice del merito quando, tra l’altro, nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti o il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (vd., nei riportati termini, più puntualmente, quanto al rapporto tra videoregistrazione dell’intervista del richiedente protezione in sede amministrativa e necessità della sua audizione nella successiva fase giudiziale: Cass. 07/10/2020, n. 21584 e, conformi, Cass. 13/10/2020, n. 22049; Cass. 17/11/2020, n. 26124), il ricorrente non ha allegato in quale atto e per quali puntuali contenuti ha dedotto nuove circostanze dinanzi al tribunale, per poi far correttamente valere, in sede di legittimità, l’omessa valutazione del motivo ex art. 112 c.p.c..

Il ricorrente, infatti, dapprima denuncia in ricorso la “mancanza di argomenti” dei giudici di merito sulle “note scritte della difesa del 15/06/2020” (p. 7) – precisando, genericamente, che, con queste, era stata richiesta, quantomeno, “l’udienza di comparizione in presenza per consentire al ricorrente di fornire chiarimenti, senza, tra l’altro, rinunciare alla domanda di una nuova audizione svolta con il ricorso principale” – per poi far valere, in ricorso (p. 9), di avere aggiunto in primo grado “nuovi elementi di fatto alla sua storia” che elenca (sulle modalità secondo le quali si era avvicinato al partito (OMISSIS); sulla manifestazione a cui egli aveva partecipato; sulla posizione di tale S. e sull’intervento della polizia per sedare gli scontri che erano insorti durante la manifestazione di partito tra opposte fazioni; sulle sofferenze patite in Libia, paese di transito) senza però riportare i contenuti della domanda in origine proposta nel giudizio di merito perché se ne possa apprezzare puntualità di contenuto nel giudizio di cassazione.

Il tribunale infatti ha espressamente escluso l’introduzione di nuovi temi di indagine e l’allegazione di fatti nuovi da parte del ricorrente (p. 3 decreto).

3.2. Il motivo è comunque generico non facendosi carico di segnalare la decisività dei fatti omessi ad integrazione del dedotto pericolo nel rimpatrio, non rispondendo alla regula iuris definita dalla giurisprudenza di questa Corte quella per la quale l’audizione del richiedente protezione in sede giurisdizionale deve essere sempre disposta dal giudice.

3.3. Per gli svolti argomenti il secondo motivo resta assorbito là dove il ricorrente deduce l’illegittimità della scelta di fissare udienza “da remoto” e la necessità dello svolgimento dell’udienza in presenza”, nella finalità di rendere chiarimenti su dedotte “nuove” circostanze.

4. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 5 e art. 14, lett. a) e b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nella parte in cui il tribunale aveva escluso il serio pericolo di un danno grave alla vita e/o all’incolumità fisica del ricorrente nella vicenda narrata, così omettendo ogni indagine sull’allegata circostanza che il ricorrente era stato denunciato da un tale S., vicino di casa, che avrebbe voluto farlo arrestare per la sua appartenenza al partito di (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile perché non si raccorda con l’impugnata motivazione nella parte in cui il tribunale espone l’assoluta genericità del racconto reso nella sua incapacità di ricondurre, in modo concludente, a ragioni politiche il contrasto del ricorrente con il vicino S. (p. 5 decreto) e quindi l’infondatezza del pericolo di persecuzione per tale via fatto valere.

5. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il tribunale ha omesso, nel ritenere la non credibilità del ricorrente e l’insussistenza di ogni forma di protezione, di approfondire la materia degli scontri tra i partiti rivali, l'(OMISSIS) ed il (OMISSIS).

5.1. Il motivo è inammissibile perché il giudizio sulla credibilità è giudizio di fatto, come tale riservato al giudice del merito, e censurabile in cassazione nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (ex multis: Cass. n. 13578 del 02/07/2020; Cass. n. 11925 del 19/06/2020).

Fermo quanto già rilevato nello scrutinio dei precedenti motivi, nessuno degli indicati estremi è oggetto di puntuale critica.

5.2. La censura presenta poi un ulteriore profilo di inammissibilità ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, perché è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, quando le dichiarazioni dello straniero sono apprezzate inattendibili, non è necessario un approfondimento istruttorio ufficioso ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (vd. Cass. 29/05/2020, n. 10286 e, ancora, ex multis, Cass. 28/07/2020, n. 16122).

Il giudizio di inattendibilità del racconto espresso dal tribunale esclude la necessità di ogni ulteriore indagine come ritenuto nell’impugnato decreto (p. 6 primo periodo), in corretta applicazione della indicata giurisprudenza di legittimità.

6. Con il quinto motivo si fa valere la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il tribunale esposto le ragioni di fatto e di diritto in forza delle quali aveva respinto la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Il tribunale, incorrendo nel vizio di motivazione apparente, si è limitato a citare fonti internazionali i cui contenuti attesterebbero in realtà l’esistenza di una violenza generalizzata; in tal modo non lasciando comprendere il percorso logico dell’adottata decisione di rigetto.

Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la definizione dei presupposti applicativi della norma invocata nella interpretazione consolidata che ne è stata data dalla giurisprudenza di legittimità e per la quale, in adesione a quella della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12, caso Diakite’), la violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale, deve essere intesa nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria.

Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (ex pluribus: Cass. n. 18306 del 08/07/2019; Cass. 17/07/2020, n. 15317; Cass. 02/03/2021, n. 5675).

Gli stralci riportati in ricorso dei contenuti delle fonti internazionali scrutinate, inosservato l’indicato principio, sortiscono peraltro l’effetto di proporre una inammissibile alternativa lettura delle prime.

7. Con il sesto motivo il ricorrente fa valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Il tribunale ha omesso di scrutinare ai fini della sussistenza di situazioni di vulnerabilità in capo al richiedente l’esperienza da questi vissuta in Libia, Paese di transito, e l’estrema povertà e la crisi ecologica che affliggono il Paese d’origine. E’ mancata la valutazione comparativa tra la situazione goduta in Italia e quella in cui il richiedente si troverebbe esposto una volta rimpatriato ed è stata negata l’integrazione in Italia nonostante le produzioni curate.

7.1. Il motivo è inammissibile, là dove deduce l’omessa pronuncia e valutazione della situazione sofferta in Libia dal richiedente protezione, per le stesse ragioni indicate supra sub n. 3 sui “fatti nuovi dedotti”, tra i quali rientra anche quello della permanenza in Libia, sulla cui allegazione davanti al tribunale non vi è puntuale indicazione in ricorso.

7.2. Nel resto il tribunale ha valutato il difetto di integrazione in Italia del richiedente con un giudizio che non si espone a censura in questa sede e rispetto al quale il motivo integra una mera reiterazione di difese.

Le ulteriori deduzioni sull’estrema povertà del Paese di origine e sulle crisi climatiche sono poi inammissibili per difetto di autosufficienza non risultando dedotte davanti al giudice di merito, sicché ogni loro valutazione (anche in forza di Cass. SU n. 24413 del 2021, per i principi ivi affermati sul cd. giudizio di comparazione attenuata) resta assorbita.

8. In via conclusiva il ricorso è inammissibile.

9. La natura delle censure proposte dal ricorrente, che giustifica la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in applicazione del criterio della “ragione più liquida”, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione relativa all’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177) e su quella, successiva, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970).

Nulla sulle spese essendo l’amministrazione rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021

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