Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28456 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 07/11/2018), n.28456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3914/2013 proposto da:

C.R.I.A.S. – CASSA REGIONALE PER IL CREDITO ALLE IMPRESE ARTIGIANE

SICILIANE, c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 2,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONINO RAVI’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SANTO LI VOLSI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1123/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/11/2012 R.G.N. 222/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONINO RAVI’;

udito l’Avvocato ROSARIO PIZZINO per delega Avvocato SANTO LI VOLSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 13 novembre 2012, la Corte d’appello di Catania rigettava l’appello proposto da C.R.I.A.S. (Cassa Regionale per il Credito alle Imprese Artigiane Siciliane) avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, in favore del dipendente I.F., della c.d. indennità C.R.I.A.S. (istituita con accordo collettivo aziendale quale emolumento retributivo pensionabile non riassorbibile, in sostituzione del compenso forfettario per lavoro straordinario), nei limiti della prescrizione dal 1 settembre 1992 al 30 novembre 2001: in accoglimento dell’appello incidentale del lavoratore, essa tuttavia la riformava parzialmente, condannando la Cassa datrice all’intero importo richiesto al detto titolo, pari a Euro 40.907,37 oltre accessori.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ribadiva la spettanza dell’indennità speciale in questione, siccome istituita con accordo collettivo aziendale del 3 luglio 1974 e pertanto (per il suo fondamento contrattuale di natura sindacale, per effetto di negoziazione tra le parti sociali, a seguito di abolizione del compenso forfettario per lavoro straordinario in precedenza goduto dal personale) non sopprimibile per determinazione unilaterale, quale la deliberazione del commissario straordinario 24 settembre 1982 n. 729 (neppure avente un tale oggetto, per la sua presa d’atto dell’intervenuto assorbimento dell’indennità C.R.I.A.S. negli incrementi stipendiali concessi dalla contrattazione Assicredito): pure comprovata dall’inserzione di una rinuncia ad essa (impugnata dal lavoratore) nel contratto individuale di assunzione a tempo indeterminato.

Confermata poi la natura interruttiva della prescrizione del documento prodotto dal lavoratore recante la stampigliatura “prot. 6431 del 28 maggio 1999”, essa escludeva l’esistenza di un contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, che, nonostante il predetto avesse richiesto una somma specificamente determinata in base a criteri di quantificazione incontestati, aveva espresso una condanna generica (sia pure con chiara indicazione dei termini “dal 1 settembre 1992 al 31 novembre 2011”, non contestata): sicchè, essa andava riformata con la condanna alla somma suindicata.

Con atto notificato il 28 gennaio 2013, C.R.I.A.S. proponeva ricorso per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva il lavoratore con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367,1372,1373,1375,1419,1424 c.c., in relazione agli artt. 2071,2073,2074,2075 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per erronea interpretazione dell’accordo collettivo aziendale del 3 luglio 1974 come istitutivo di un emolumento di natura retributiva estensibile a tutti i dipendenti, anche assunti in epoca successiva, anzichè di natura transattiva a fronte delle proteste del personale per l’assorbimento di un determinato numero di ore di straordinario nel compenso risultante dalla sua forfettizzazione e quindi strumento contingente per la regolazione della particolare situazione all’epoca creatasi; in ogni caso, contratto collettivo post-corporativo, rientrante nell’area dell’autonomia privata, privo di un termine predeterminato di efficacia, pertanto liberamente recedibile anche unilateralmente: come appunto avvenuto con la Delib. Commissariale n. 729 del 1982, integrante recesso dal precedente accordo in quanto complessiva modifica del trattamento economico dei dipendenti, inefficace nei soli confronti del personale già titolare del diritto alla percezione dell’indennità, ma assolutamente legittima ed efficace per i lavoratori assunti, come I.F., in epoca successiva, privi di alcuna aspettativa (nè tanto meno diritto) giuridicamente tutelabile; neppure avendo valore di rinuncia la clausola sottoscritta sub 5) dal predetto nel contratto di lavoro individuale, senza contenuto e pleonasticamente aggiunta alla presa di conoscenza dell’intervenuta revoca della cd. indennità C.R.I.A.S..

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Nel solco di alcuni precedenti in termini, che hanno analogamente risolto identiche questioni (Cass. 25 settembre 2015, n. 19026; Cass. 28 settembre 20145, n. 19144; Cass. 7 ottobre 2015, n. 20074; Cass. 7 ottobre 2015, n. 20075), occorre premettere la sostanziale ininfluenza della natura transattiva o meno dell’accordo collettivo aziendale del 3 luglio 1974, per il suo contenuto, in quanto risultato di una negoziazione, indubbiamente contrattuale. Peraltro, l’interpretazione resa dalla Corte territoriale, adeguatamente argomentata per le ragioni al primo capoverso di pg. 6 della sentenza, neppure è stata appropriatamente censurata, in assenza (al terz’ultimo capoverso di pg. 15 del ricorso) della specifica indicazione dei canoni ermeneutici asseritamente violati e dei principi in essi contenuti, oltre che della precisazione delle modalità e delle considerazioni con le quali il giudice del merito se ne sarebbe discostato (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536; Cass. 30 aprile 2010, n. 10554; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355).

Sicchè la censura della Cassa ricorrente, sostanzialmente risolvendosi in un’interpretazione di mera contrapposizione a quella del giudice di merito, cui essa è riservata in via esclusiva (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 maggio 2017, n. 10831) è inammissibile, per l’insindacabilità in sede di legittimità dell’interpretazione dell’atto negoziale scrutinata.

2.2. Neppure risolutiva è la critica alla ritenuta esclusione della soppressione dell’indennità Crias; per la sua fonte negoziale, per determinazione unilaterale (Delib. Commissariale n. 729 del 1982), sebbene erronea in diritto: ben potendo un contratto collettivo postcorporativo, stipulato a tempo indeterminato e senza predeterminazione del termine di scadenza, cessare per recesso unilaterale (Cass. 25 febbraio 1997, n. 1694; Cass. 18 ottobre 2002, n. 14827; Cass. 20 settembre 2005, n. 18508; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27198). E ciò per l’accertata esclusione del “valore di disdetta dell’accordo sindacale del 1974” della suddetta deliberazione, nell’argomentato esercizio della sua interpretazione dalla Corte territoriale (ai due ultimi capoversi di pg. 6 della sentenza). Essa è stata, infatti, inammissibilmente censurata non soltanto per la mera enunciazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. (penultimo capoverso di pg. 23 del ricorso e ribadite qui le ragioni sopra svolte), ma neppure essendo stata colta la ragione logica dell’interpretazione (pure rispettosa del tenore letterale), fondata sulla negata cessazione di erogazione dell’indennità Crias (non già per una ragione di nullità, ma) per la sua non assorbibilità nel premio di rendimento (oggetto della deliberazione, integralmente trascritta a pgg. 24 e 25 del ricorso, al p.to sub 1), coerente con l’accertata natura di superminimo contrattuale (così al primo periodo di pg. 6 del ricorso).

2.3. Appare poi coerente argomento interpretativo a sostegno di tale negazione (o comunque della mancanza di effetti della disposta cessazione: primi due alinea di pg. 7 della sentenza), la rinuncia del lavoratore nel suo contratto individuale, correttamente qualificata tale (al primo capoverso di pg. 7 della sentenza) nel rispetto del tenore letterale della clausola in esso sub 5 (trascritta al penultimo capoverso di pg. 29 del ricorso), a detta della Cassa ricorrente “scelta non felice” nella “dimostrata inutilità” per mancanza di contenuto: ancora una volta, sulla base di un’interpretazione meramente contrappositiva della parte (dal terzo capoverso di pg. 29 al terzo di pg. 30 del ricorso), inammissibile per le ragioni dette.

2.4. Le superiori argomentazioni rendono, infine, ragione altresì dell’inammissibilità della denuncia del vizio motivo, insussistente per la coerenza con i dati acquisiti e per la comprensibilità e la coerenza del percorso decisionale.

Esso è pertanto, anche secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla sua riforma (con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, insindacabile in sede di legittimità, per la spettanza a questa Corte della sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, con preclusione di una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie (Cass. 27 aprile 2005, n. 8718; Cass. 15 giugno 2006, n. 13783; Cass. 14 gennaio 2011, n. 824 del 2011; Cass. 4 agosto 2017, n. 19547).

3. In conclusione, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta. Essa si giustifica per la formulazione inammissibile del ricorso, preclusiva dell’esame del merito della questione.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna C.R.I.A.S. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore anticipatatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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