Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28455 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/12/2020), n.28455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11580-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 113/A, presso lo studio dell’avvocato DARIO GUCCI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CALAMBA SAS DI P.A. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato BARBARA SILVAGNI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE DI MARCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6231/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 536 del 2014, rigettava la domanda proposta da S.G., volta ad accertare l’idoneità all’uso del camino realizzato dalla Calamba s.a.s., nell’appartamento acquistato dall’attore dalla stessa società convenuta, nonchè la condanna della stessa all’eliminazione dei vizi ed il risarcimento dei danni, sul presupposto dell’intervenuta decorrenza dei termini per la denuncia, effettuata dopo quasi quattro anni dalla realizzazione dell’opera e dalla vendita dell’immobile, trattandosi di vizi non occulti.

In virtù di gravame interposto dal S., la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 6231 del 2018, rigettava l’appello condividendo le argomentazioni svolte dal primo giudice, insistendo sulla non tempestività della denuncia, avvenuta la consegna dell’immobile in data 6.07.2006 a fronte di denuncia del 28.01.2010, peraltro generiche le deduzioni circa il momento di effettiva conoscenza dei vizi.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma il S. propone ricorso per Cassazione, fondato su due motivi. La Calamba s.a.s. resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Atteso che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. In particolare, ad avviso del S., la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con quale la difesa aveva invocato l’applicazione alla fattispecie dell’art. 1669 c.c., in luogo dell’art. 1667 c.c..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1669 c.p.c.. In particolare, il giudice di appello avrebbe erroneamente omesso di ricomprendere la vicenda in esame nell’ambito dell’art. 1669 c.c., con conseguente mancata applicazione dei termini di prescrizione e decadenza ivi contenuti.

Le censure, che per l’intima connessione argomentativa meritano una trattazione congiunta, sono prive di pregio.

E’ preliminare osservare che dalla lettura della sentenza gravata si evince che la corte – condividendo l’approccio del primo giudice – ha ritenuto che l’ipotesi in esame fosse da ricondurre all’appalto (cfr. p. 4 della sentenza).

Fermo tale accertamento, ad avviso del ricorrente, in via consequenziale, il giudice del gravame avrebbe dovuto esaminare i vizi lamentati anche alla luce dell’art. 1669 c.c., mentre si era limitato a sussumere la fattispecie concreta tra i vizi di cui all’art. 1667 c.c..

Ciò posto, giova rilevare che il giudice di merito ha ritenuto intempestiva la pretesa di garanzia per difetti dell’appartamento, a norma dell’art. 1667 c.c., che fissa la prescrizione dell’azione contro l’appaltatore in due anni dal giorno della consegna dell’opera.

Premesso che alla società resistente va attribuita la qualifica di “appaltatore-venditore” per avere la stessa provveduto alla realizzazione dell’appartamento e poi alla sua vendita, è appaltatore colui che stipula il contratto previsto dall’art. 1655 c.c., per cui la circostanza di fatto che l’impresa sia stata anche costruttrice dell’immobile venduto, non rende per ciò solo l’impresa medesima “appaltatore” nei confronti degli acquirenti, e “committenti” questi ultimi. Orbene, l’azione per ottenere l’adempimento del contratto di appalto e l’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spetta esclusivamente al committente (Cass. 7 novembre 1958 n. 3637) e configura una responsabilità dell’appaltatore di natura contrattuale (Cass. 29 luglio 1975 n. 2938; Cass. 16 maggio 1981 n. 3223; Cass. 9 luglio 1983 n. 4637).

Diversamente, la responsabilità sancita dall’art. 1669 c.c. – responsabilità di natura extracontrattuale – opera non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente (Cass. 19 ottobre 1992 n. 11450).

Alle norme ed ai principi di diritto accennati ha correttamente fatto riferimento la Corte di appello, seppure facendo richiamo all’art. 1667 c.c., individuando però i criteri per il riparto dell’onere probatorio in relazione all’art. 1495 c.c..

Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione dell’art. 1667 c.c.: a norma dell’art. 1495 c.c., comma 3, l’azione si prescrive, “in ogni caso”, in un anno dalla consegna.

Del resto, il fondamento del diritto, di cui all’art. 1669 c.c., risiede nella circostanza che ricorrano gravi difetti della costruzione, tali da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, tali cioè da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

La valutazione va eseguita in termini oggettivi, dovendosi – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – dare rilievo ai vizi che, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità dell’immobile (Cass. 18 aprile 2002 n. 5632).

Più precisamente i gravi difetti, che ai sensi dell’art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti dei committenti e dei suoi aventi causa, nonchè degli acquirenti consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica secondo la sua intrinseca natura (Cass. 15 settembre 2009 n. 19868). A tal fine, non ignora questo Collegio i pronunciamenti che ravvisano tali vizi anche qualora non siano totalmente impeditivi dell’uso dell’immobile, come ad esempio quelli relativi all’efficienza dell’impianto idrico (Cass. 19 febbraio 2007 n. 3752) o alla presenza di infiltrazioni e umidità (Cass. 4 novembre 2005 n. 21351), ancorchè incidenti soltanto su parti comuni dell’edificio, e non sulle singole proprietà dei condomini (Cass. 3 gennaio 2013 n. 84).

Nel caso di specie, però, il ricorrente ha omesso di provare che la gravità dei difetti lamentati del camino fossero di natura tale da rendere inidoneo all’uso l’appartamento o quanto meno parte di esso (ad esempio perchè costituente unica o parziale fonte di riscaldamento) e, pertanto, rimanendo escluso dalla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c..

Peraltro, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta, quindi, di stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli accertare anche se, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, essi siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile. Questo accertamento di merito è sottratto al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (Cass. 26 aprile 2005 n. 8577; Cass. 21 aprile 1994 n. 3794).

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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