Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28454 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/12/2020), n.28454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9608-2019 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPE CAVALLO, VINCENZO SIMONE DE PASQUALE;

– ricorrente –

contro

VIVAI COOPERATIVI PADERGNONE SOC. COOP. AGRICOLA, in persona del

presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALBENGA 45, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COLINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA MANTOVANI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 350/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 31/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 249 del 2015, condannava la Cooperativa Vivai Padregnone al risarcimento dei danni in favore di C.G., nella misura di Euro 65.421,00, in relazione alla fornitura di barbatelle risultate affette da virosi.

In virtù di gravame interposto dalla Cooperativa Vivai Padregnone, la Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 350 del 2018, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di garanzia per vizi proposta dal C., accertando la prescrizione annuale del diritto.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto C.G. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

La Cooperativa Vivai Padregnone resiste con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.

Ritenuto che il ricorso principale potesse essere respinto, assorbito l’incidentale condizionato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie illustrative.

Atteso che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1495 c.c.. In particolare, ad avviso del C., la corte territoriale avrebbe erroneamente accertato la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di garanzia a far data dalla consegna del bene, anzichè dalla scoperta del vizio che, nel caso di specie, trattandosi di piante soggette a riposo vegetativo, poteva ricondursi non prima delle stagioni primaverili successive.

La censura è inammissibile in quanto non centra la ratio decidenti.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, che viene qui ribadito, in tema di compravendita, l’azione del compratore contro il venditore per far valere la garanzia a norma dell’art. 1495 c.c. si prescrive, alla stregua del comma 3 di tale disposizione, in ogni caso nel termine di un anno dalla consegna del bene compravenduto, e ciò anche se i vizi non siano stati scoperti o non siano stati tempestivamente denunciati o la denuncia non fosse neppure necessaria, sempre che la consegna abbia avuto luogo dopo la conclusione del contratto, coincidendo, altrimenti, l’inizio della prescrizione con quest’ultimo evento (Cass. 5 maggio 2017, n. 11037; Cass. 15 dicembre 2011, n. 26967; Cass. 11 settembre 1991, n. 9510; Cass. 22 luglio 1991, n. 8169). Diversamente, il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta del vizio occulto, sempre inerente la garanzia ai sensi dell’art. 1495 c.c., decorre dal momento in cui il compratore ne abbia acquisito certezza obiettiva e completa (Cass. 27 maggio 2016, n. 11046).

Ancora diversamente, in tema di appalto (non pertinente all’odierna vicenda, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente), qualora l’opera appaltata sia affetta da vizi occulti o non conoscibili, perchè non apparenti all’esterno, il termine di prescrizione dell’azione di garanzia, ai sensi dell’art. 1667 c.c., comma 3, decorre dalla scoperta dei vizi, la quale è da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza degli stessi (Cass. 22 novembre 2013, n. 26233; Cass. 19 agosto 2009, n. 18402).

Agli effetti dell’art. 1495 c.c., comma 3, la consegna è quella, effettiva o materiale, eseguita in forza del contratto di vendita, (come avvenuto nella specie, secondo quanto accertato in fatto di giudici del merito, tra marzo e giugno del 2007).

Pertanto, il termine decorre dalla consegna, “in ogni caso” (come si esprime la norma in esame), indipendentemente, cioè dal rilievo fattuale che, nonostante l’avvenuta consegna, non fosse ancora possibile la scoperta del vizio da parte del compratore, e quindi anche se il medesimo vizio fosse stato dolosamente occultato dal venditore con espedienti o raggiri, il che rende, piuttosto, non necessaria la denuncia (art. 1495 c.c., comma 2), giustificandosi tale soluzione alla luce dell’esigenza di evitare che i rapporti negoziali restino per lungo tempo sospesi, ma anche, e soprattutto, di rendere più agevole l’accertamento della sussistenza, della causa e della entità dei vizi (Cass., 17 settembre 1963, n. 2540).

In dottrina si sostiene come, ove il venditore abbia indotto con raggiri il compratore ad acquistare una cosa viziata, ferma comunque la decorrenza della prescrizione dalla consegna del bene, è ammissibile piuttosto, in concorrenza con la garanzia, l’azione di annullamento del contratto per dolo (la cui prescrizione è diversamente regolata dall’art. 1442 c.c., comma 2), mentre è pure possibile invocare la sospensione della prescrizione dell’azione di garanzia fin quando il compratore non abbia scoperto i vizi, ma ciò in base all’art. 2941 c.c., n. 8, secondo il quale la prescrizione resta, appunto, sospesa ove il debitore abbia dolosamente occultato l’esistenza del debito, e fino alla scoperta di esso.

A tal fine, questa Corte ha già affermato che, per la sospensione della prescrizione dell’azione di garanzia accordata al compratore, agli effetti dell’art. 2941 c.c., n. 8, occorre accertare la sussistenza di una dichiarazione del venditore, non solo obiettivamente contraria al vero, quanto altresì caratterizzata da consapevolezza dell’esistenza della circostanza taciuta e da conseguente volontà decipiente (Cass. 20 agosto 2013, n. 19240).

Le questioni poste dall’art. 1442 c.c., comma 2, e dall’art. 2941 c.c., n. 8, sono tuttavia, diverse da quelle cui fa specifico riferimento il primo motivo di ricorso, che indica, quale norma regolatrice della fattispecie, unicamente l’art. 1495 c.c., e critica perciò la soluzione adottata dalla Corte d’appello mediante argomentazioni intese a dimostrare che le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata siano in contrasto esclusivamente con tale norma, non anche l’accertamento sulla natura del vizio denunciato;

– con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’insufficiente e la contraddittoria motivazione di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, lamenta che la corte distrettuale non avrebbe tenuto conto, ai fini del decorso della prescrizione, del riconoscimento da parte della cooperativa dei vizi e dei difetti delle viti, dichiarandosi disponibile al pagamento della somma di Euro 6.000,00.

Anche la seconda censura è inammissibilmente articolata.

E’ in proposito appena il caso di ribadire che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).

Ora questo tipo di sindacato non è consentito in cassazione, giacchè essendo denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).

Le censure di cui al motivo di ricorso in esame, di conseguenza, devono ritenersi inammissibili e dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5, cit. (nella specie palesemente insussistente, avuto riguardo all’estensione oggettiva dell’accertamento contenuto nella sentenza impugnata), bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo laddove ha affermato che non vi era alcun atto interruttivo certo della prescrizione nè vi era stato riconoscimento dei vizi, essendosi limitata la cooperativa ad offrire uno sconto;

venendo all’esame del ricorso incidentale, va rilevato che per l’inammissibilità del ricorso principale, resta per l’effetto assorbito il ricorso incidentale condizionato, in relazione all’unico motivo a cui esso è affidato.

In conclusione, deve essere rigettato il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Le spese relative a questo giudizio, quindi, devono essere poste a carico della parte rimasta soccombente, nonchè liquidate come da seguente dispositivo, sussistendo, altresì, i presupposti processuali di legge in ordine al versamento dell’ulteriore contributo unificato, stante l’esito integralmente negativo dell’impugnazione principale qui proposta, mentre così evidentemente non è per quella incidentale condizionata, rimasta assorbita, trattandosi di una sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr Cass. 18 gennaio 2019 n. 1343).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di parte controricorrente in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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