Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28453 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. I, 22/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. R.G. 5929/09 proposto da:

B.S. + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliate in Roma, al viale Angelico 35, presso lo

studio dell’avv. Domenico D’Amati, rappresentate e difese dagli

avv.ti Campesan Aldo e Claudio Mondin, come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, rappresentato e difeso per legge

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede in Roma,

alla via dei Portoghesi 12, elettivamente domicilia;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Trento, emesso il 5.2.08

e depositato il 27.2.08.

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 24.11.2011 dal

consigliere dr. Magda Cristiano;

udito il P.M., nella persona del Sostituto P.G. dr. FIMIANI Pasquale

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Trento, con decreto dei 27.2.08, ha parzialmente accolto i ricorsi riuniti proposti da B. S., + ALTRI OMESSI per ottenere il riconoscimento di un equo indennizzo per l’irragionevole durata della procedura fallimentare apertasi il 12.2.93 a carico della Confezioni Cristina di Costa Anna e chiusa il 21.8.07, nella quale le ricorrenti avevano conseguito l’ammissione in via privilegiata allo stato passivo dei rispettivi crediti di lavoro, solo in minima parte soddisfatti con il piano di riparto finale.

La Corte, fissata in dodici anni la durata del procedimento eccedente quella ragionevole, rilevato che i crediti delle ricorrenti erano di scarso ammontare e ritenuta pertanto particolarmente modesta la posta in gioco, considerato altresì che era nota la pressochè totale mancanza di attivo della procedura, osservato ancora che il nostro ordinamento non conosce la figura dei ed. “danni punitivi” e che il pregiudizio morale derivato dall’eccessiva durata del processo non può essere riconosciuto in misura superiore al credito vantato, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuna delle lavoratrici di un indennizzo di Euro 3.000 (pari ad Euro 250 per anno di ritardo), di Euro 3.600 (Euro 300 per anno di ritardo) o di Euro 4.200 (Euro 400 per anno di ritardo) a seconda che queste fossero titolari di crediti insinuati per un importo inferiore ai 2000 Euro, superiore ai 2000 Euro o superiore ai 3.000 Euro. Ha inoltre liquidato le spese del giudizio secondo la tabella 7^ della tariffa professionale forense, senza riconoscere l’aumento previsto dall’art. 5. Tutte le istanti hanno proposto ricorso per la cassazione del provvedimento, affidato ad otto motivi.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con i primi sette motivi le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, p.1 della CEDU, nonchè vizi di motivazione, si dolgono della ridotta misura dell’indennizzo loro liquidato, di gran lunga inferiore a quello minimo, di Euro 1000 all’anno, riconosciuto dalla Corte EDU. Contestano la correttezza della valutazione della Corte territoriale in ordine alla modestia della posta in gioco, compiuta senza operare il dovuto giudizio di comparazione con le loro condizioni socio- economiche e senza tener conto della natura alimentare dei crediti insinuati, comunque pari al doppio od al triplo delle rispettive retribuzioni mensili; rilevano che, contrariamente a quanto assunto nel decreto, sono state sempre all’oscuro dell’attività compiuta dagli organi fallimentari; osservano, ancora, che il giudice del merito, richiamando erroneamente i danni punitivi e sostenendo che l’indennizzo non può essere superiore al credito vantato, ha confuso il pregiudizio morale, oggetto del giudizio di equa riparazione, con il concreto risultato che si determina all’esito del procedimento presupposto, senza considerare che la domanda di indennizzo può essere proposta anche dalla parte soccombente. I motivi, che sono fra foro strettamente connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e devono essere accolti. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nella liquidazione del danno da irragionevole durata del giudizio, il giudice nazionale può discostarsi dai parametri fissati dalla Corte EDU (oscillanti fra i 1.000 ed i 1.500 Euro annui), purchè in misura ragionevole, e sempre che dia adeguata motivazione delle circostanze che, nel caso concreto, giustificano il riconoscimento di un minore indennizzo. Nel liquidare in favore delle ricorrenti un indennizzo pressochè irrisorio rispetto alla durata eccessiva del processo, il giudice del merito non solo si è discostato in maniera irragionevole dai predetti parametri, ma è incorso nei denunciati vizi di motivazione:

ha infatti, contraddittoriamente, ritenuto che la posta in gioco fosse particolarmente modesta in ragione dell’ammontare dei crediti insinuati, pur riconoscendo che si trattava di crediti di lavoro, aventi carattere alimentare e corrispondenti ad alcuni mesi di retribuzione delle dipendenti, ed ha in tal modo escluso ogni rilievo alla valutazione delle condizioni socio economiche di queste ultime, che costituiva invece criterio determinante per stabilire l’importanza da esse attribuita al procedimento (Cass. n. 2418/09);

ha inoltre affermato che la mancanza di attivo del Fallimento aveva reso immediatamente percepibile per le ricorrenti la sostanziale inutilità della procedura concorsuale, riducendo il patema d’animo cagionato dalla sua irragionevole durata, ma non ha tenuto conto che i creditori insinuati non ricevono dagli organi fallimentari alcuna informazione in ordine alle attività compiute ed alle effettive possibilità di realizzo delle loro pretese e che pertanto conservano l’aspettativa, sino alla chiusura del fallimento, che l’attesa sia giustificata dal serio tentativo di recupero di un attivo da distribuire; ha, infine, erroneamente affermato che il riconoscimento di un indennizzo superiore ai crediti insinuati “finirebbe con l’addossare all’amministrazione dello stato l’onere di pagare i creditori del fallimento rimasti insoddisfatti”, sostanzialmente confondendo il pregiudizio morale che deriva alle parti dal prolungarsi del giudizio – al cui ristoro ha diritto anche il soccombente – con l’aspettativa dalle stesse riposta in un suo esito positivo.

Il decreto impugnato va pertanto cassato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto questa Corte può decidere nel merito.

Nel caso di specie, non emergendo elementi tali da far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale subito dalle ricorrenti, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dai giudici nazionali nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, comporta, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, il riconoscimento, di una somma di Euro 750,00 per i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e di Euro 1.000 per gli anni successivi (Cass. n. 21840/09).

Il Ministero della Giustizia va pertanto condannato a pagare a ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 11.250, maggiorata degli interessi legali dalla data di deposito del ricorso (20.12.07) al saldo effettivo.

Poichè la cassazione del provvedimento impone di rideterminare anche le spese del giudizio di merito, resta assorbito l’ottavo motivo di ricorso, con il quale si censura, per l’appunto, la pronuncia sulle spese.

Tali spese, e quelle del giudizio di fegittimità, avuto riguardo alla somma riconosciuta, seguono integralmente la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore degli avv.ti Aldo Campesan e Claudio Mondin, che le hanno anticipate e non hanno riscosso gli onorari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare a ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 11.250 oltre agli interessi legali dal 20.12.07 al saldo effettivo;

condanna il Ministero al pagamento delle spese processuali, da distrarsi in favore degli avv.ti Aldo Campesan e Claudio Mondin,che liquida, per il giudizio di merito, in Euro 6.000 per onorari, Euro 7.491 per diritti ed Euro 337,59 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, e, per il giudizio di legittimità, in Euro 3000 per onorari ed Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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