Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28452 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 07/11/2018), n.28452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7330-2014 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 10,

presso lo studio dell’avvocato VIVIANA CALLINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE DE GIROLAMO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AUTOMOBIL CLUB DI FROSINONE, in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINA N.19, presso lo studio dell’avvocato ITALICO PERLINI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1383/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/03/2013 R.G.N. 4644/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2018 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PaOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RAFFAELE DE GIROLAMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto dall’Automobil Club di Frosinone, revocava il decreto ingiuntivo n. 207/2007 emesso dal Tribunale di Frosinone nei confronti dell’ACI – e confermato in sede di opposizione – in favore di C.P., dipendente dall’ente con qualifica di C3 fino al 31.7.2006, per l’importo di Euro 2400,00. Il Fondo di Ente (destinato al pagamento dei trattamenti accessori del personale), secondo il ricorrente, era stato determinato con accordo del 21.7.2003, integrativo di quello del 26.2.2003, in Euro 31.288,208, e per il 2004 detto ammontare sarebbe stato confermato in sede di riunioni del 23 marzo e 21 giugno 2005, con definizione delle modalità di erogazione del saldo dei trattamenti accessori, di cui Euro 21.480,032 già versati in acconto, e previsione che il 60% del residuo sarebbe andato in favore dei dipendenti con posizione economica C3. Essendo stato solo parzialmente adempiuto l’obbligo datoriale, residuavano Euro 2400,00, oggetto del provvedimento monitorio.

2. La Corte di Roma osservava che l’accordo del 26.2.2003 non era un contratto collettivo nazionale integrativo, ma un contratto integrativo aziendale, con decorrenza dal 1.1.2002 e scadenza al 31.12.2002, nel quale le parti convenivano di definire in via provvisoria, in attesa del rinnovo del CCNL di comparto per gli anni 2002/2005, i criteri di ripartizione delle risorse del Fondo di Ente per i trattamenti accessori.

3. Osservava il giudice del gravame che, in base all’art. 4, comma 1, del CCNL di settore, l’individuazione e l’utilizzo delle risorse erano determinati in sede di contrattazione integrativa con cadenza annuale ed era prevista la necessità del parere del Collegio dei revisori sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio. Osservava che non sussisteva alcun vincolo obbligatorio a carico dell’ACI per la determinazione del Fondo nella stessa misura degli anni precedenti e che, con delibera del 1.3.2005, il Collegio dei revisori aveva espresso parere negativo al mantenimento del fondo per l’anno 2004, alla luce della contrazione del numero dei dipendenti e del fatturato, rilevando l’incompatibilità del relativo costo con i vincoli di bilancio. Veniva evidenziato che le parti avevano raggiunto accordi solo per gli acconti, in attesa del C.C.I., in relazione ai bimestri del 2004 e che lo stesso accordo del 21 giugno 2005 espressamente aveva stabilito il congelamento dell’erogazione e, quindi, la non corresponsione di Euro 4000,00. Conclusivamente, veniva esclusa la sussistenza di ogni obbligo della erogazione dell’importo di cui al provvedimento monitorio, rinvenendosi conferma di ciò negli accordi con i sindacati.

4. Di tale decisione domanda la cassazione il C., affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste, con controricorso, l’ACI Frosinone.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, sono dedotte violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss. in relazione al contratto collettivo integrativo del 26.2.2003, come integrato il 23.7.2003, violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 4 c.c.n.l. Enti pubblici non economici per il quadriennio 1998/2001 del 16.2.1999, come confermato dall’art. 30, comma 3 c.c.n.l. enti pubblici non economici per il quadriennio 2002/2005 del 9.10.2003, violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 5 CCNL per il quadriennio dal 1998 al 2001, sul rilievo che, con gli accordi del 26.2 e 21.7.2003, le parti sociali avevano provveduto a quantificare l’ammontare complessivo del Fondo di Ente per i trattamenti accessori, inizialmente fissato in 26.566,00 ed innalzato nel luglio ad Euro 31.288,208, con previsione di ripartizione per compensare, tra l’altro, l’esercizio di compiti che richiedevano specifiche responsabilità con importi correlati al merito ed all’impegno individuale e che, quanto alla durata del contratto integrativo, disponeva l’art. 5 del c.c.n.l. Enti pubblici non economici del 16.2.1999 prevedendone la durata quadriennale, in senso analogo disponendo il successivo c.c.n.l., all’art. 4, sicchè aveva errato la Corte nel ritenerne la durata annuale.

2. Con il secondo motivo, si denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, ultimo periodo, del c.c.n.l. E.P.N.E. quadriennio 1998/2001 – del 16.2.1999, e violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione ai Protocolli di intesa del 22 gennaio 2004, del 22 giugno 2004 e 20 settembre 2004, osservandosi che l’accordo integrativo constava di due fasi, la prima scaturente da un’intesa di durata quadriennale ai sensi del primo periodo dell’art. 5 c.c.n.l. del 1999, diretta alla destinazione delle risorse in rapporto alle finalità, e la seconda scaturente da un’intesa di durata annuale, ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 5, destinata ad individuare le risorse occorrenti per finanziare le finalità della prima fase. Osserva il ricorrente che la Corte del merito ha disatteso la funzione dei Protocolli di intesa, la cui regolamentazione era riferita alla seconda fase dell’iter contrattuale, erroneamente interpretando il loro contenuto con riguardo alla ritenuta insussistenza per il 2004 di un obbligo al pagamento del trattamento accessorio e, quindi, anche del saldo oggetto di causa.

3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1999, art. 2 nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40,40 bis e 48 ed omesso esame circa fatto decisivo oggetto di discussione, essendo, a tenore della prima norma, il parere del collegio meramente consultivo ed avendo i Revisori, in conformità alle norme richiamate, certificato la compatibilità con i vincoli di bilancio 2004 dei costi per una reiterazione anche in tale annualità del trattamento accessorio già previsto nel contratto integrativo del 2003, sicchè i protocolli d’intesa del 2004 non avrebbero potuto essere considerati privi di idonea copertura finanziaria.

4. Con il quarto motivo, si ascrive alla decisione impugnata violazione o falsa applicazione degli artt. 1387,1399 c.c., art. 1362 c.c. e ss., con riferimento ai Protocolli di intesa del 22.1.2004, 22.6.2004, 20.9.2004 ed all’accordo del 21.6.2005, sul rilievo che anche la volontà espressa in tale ultimo accordo di “congelare” l’ammontare dell’erogazione di Euro 4.000 relativa al saldo del 2004 non poteva essere intesa quale rinuncia alla stessa.

5. Omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti è denunziato con il quinto motivo, osservandosi che non era stato considerato che l’importo di Euro 31.000,00 circa era stato regolarmente inserito nelle voci di spesa del bilancio preventivo o strumento di programmazione per il 2004 dell’amministrazione opponente e che tale bilancio era stato regolarmente approvato insieme all’Accordo integrativo sia dal consiglio direttivo dell’ente, che dal collegio dei revisori, a ciò dovendo conseguire che il trattamento fosse già acquisito nel patrimonio del lavoratore ed insuscettibile di modifica in peius senza il consenso del lavoratore.

6. Il ricorso è infondato.

7. I motivi vanno trattati congiuntamente per essere relativi a questioni connesse.

8. Va, preliminarmente, richiamato il compendio normativo che regola la specifica materia delle competenze riservate alla contrattazione integrativa e dei costi di quest’ultima, al fine di valutare la compatibilità con le regole e procedure ivi previste del richiesto pagamento dei trattamenti accessori finanziati attraverso risorse del Fondo di Ente del controricorrente ACI di Frosinone.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, nel testo ratione temporis vigente, prevedeva che “1. La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli, le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”.

Così, poi, l’art 40-bis, comma 3, riferito alla compatibilità della spesa in materia di contrattazione integrativa: “1. Per le amministrazioni pubbliche indicate all’art. 1, comma 2, i comitati di settore ed il Governo procedono a verifiche congiunte in merito alle implicazioni finanziarie complessive della contrattazione integrativa di comparto definendo metodologie e criteri di riscontro anche a campione sui contratti integrativi delle singole amministrazioni. Resta fermo quanto previsto dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 3-ter, e successive modificazioni.

2. Gli organi di controllo interno indicati all’art. 48, comma 6, inviano annualmente specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell’economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica.

3. Nel caso in cui i controlli e le rilevazioni di cui ai commi 1 e 2 evidenzino costi non compatibili con i vincoli di bilancio, secondo quanto prescritto dall’art. 40, comma 3, le relative clausole dell’accordo integrativo sono nulle di diritto.

4. Tra gli enti pubblici non economici di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 3-ter, e successive modificazioni, si intendono ricompresi anche quelli di cui all’art. 70, comma 4 presente decreto legislativo.”

Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio, ai sensi dell’art. 40, comma 3, è effettuato, secondo quanto previsto dal D.Lgs. cit., art. 48 dal collegio dei revisori dei conti ovvero, laddove tale organo non sia previsto, dai nuclei di valutazione o dai servizi di controllo interno ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286.

L’art. 4 del CCNL del 9.10.2003 intitolato “Tempi e procedure per la stipulazione dei contratti integrativi”, dispone che:

“1. I contratti collettivi integrativi hanno durata quadriennale, si riferiscono a tutti gli istituti contrattuali rimessi a tale livello e si svolgono in un’unica sessione negoziale. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione dei successivi contratti. Sono fatte salve specifiche materie previste dal presente contratto che, per loro natura, richiedano tempi di negoziazione diversi, essendo legate a fattori organizzativi contingenti. L’individuazione e l’utilizzo delle risorse sono determinati in sede di contrattazione integrativa con cadenza annuale.

2. Gli enti costituiscono la delegazione di parte pubblica abilitata alla trattativa entro 30 giorni da quello successivo alla data di stipulazione del presente contratto e convocano la delegazione sindacale prevista dall’art. 10, comma 1, punto 1, lett. b), del CCNL del 16 febbraio 1999, per l’avvio del negoziato, entro 30 giorni dalla presentazione delle piattaforme.

3. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e la relativa certificazione degli oneri, secondo i principi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1999, art. 2 è effettuato dal collegio dei sindaci o dei revisori ovvero, in mancanza, dai nuclei di valutazione o dai servizi di controllo interno. A tal fine, l’ipotesi di contratto collettivo integrativo definita dalla delegazione trattante è inviata all’organismo competente per il controllo, entro 5 giorni, corredata dall’apposita relazione illustrativa tecnico finanziaria. Trascorsi 15 giorni senza rilievi, il contratto collettivo integrativo viene definitivamente stipulato e produce i conseguenti effetti. Eventuali rilievi ostativi sono tempestivamente portati a conoscenza delle organizzazioni sindacali rappresentative. Per la parte pubblica, la sottoscrizione è demandata al presidente della delegazione trattante.

4. Il contratto integrativo deve contenere apposite clausole per quanto concerne i tempi, le modalità e le procedure di verifica della loro attuazione.

5. Gli enti sono tenuti a trasmettere all’ARAN, entro cinque giorni dalla sottoscrizione definitiva, il testo contrattuale con la specificazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio.

6. Il presente articolo sostituisce l’art. 5 del CCNL del 16 febbraio 1999, che è, pertanto, disapplicato”.

Quest’ultimo, peraltro, disponeva in termini analoghi.

9. Dal combinato disposto delle norme richiamate emerge che l’individuazione e l’utilizzo delle risorse del Fondo di ente per i trattamenti accessori avviene, in sede di contrattazione integrativa con cadenza annuale, essendone prevista un durata diversa da quella generale quadriennale, e che tale contrattazione integrativa di parte economica acquista efficacia solo successivamente alla valutazione positiva dell’ipotesi di accordo da parte del collegio dei revisori, cui è demandato il controllo sulla compatibilità dei costi con i vincoli di bilancio secondo quanto previsto dal D.Lgs. 286 del 1999, art. 2.

10. Nella specie le parti sociali stipulavano, in data 22.1.2004, 22.6.2004 e 20.9.2004, successivi protocolli d’intesa con i quali veniva prorogata a tutto il 2004 la disciplina per la corresponsione del salario accessorio stabilita nel contratto integrativo del 2003 e, in ottemperanza alla previsione dell’art. 4 ccnl di settore, tali intese relative a bimestri consecutivi, erano inviate, per il previsto controllo di compatibilità finanziaria con i vincoli di bilancio, al Collegio dei revisori, che esprimeva parere negativo in relazione alla verifica allo stesso demandata.

11. Correttamente, pertanto, la Corte del merito ha escluso che il controllo suddetto, pur se conclusosi con esito positivo in relazione ad una data annualità, vincolasse il collegio anche per gli anni a venire, non potendo avallarsi la diversa impostazione del ricorrente, secondo cui il contratto integrativo del 26.2.2003 fonderebbe il suo diritto ad ottenere l’importo residuo di quanto già corrisposto, in misura del 60% rispetto al totale dovuto a saldo. Ed invero, la scadenza del c. i. era quella del 31.12.2002, quanto alla regolamentazione ed utilizzo delle risorse economiche, e le parti sociali avevano raggiunto intese provvisorie per il tempo successivo, in attesa di nuovo contratto integrativo, proprio perchè non poteva ritenersi connotato dal carattere di definitività quanto statuito con riguardo al trattamento accessorio anche per le annualità a venire. In base a tale impostazione, seguita dalla sentenza impugnata, che ha proceduto ad un’ interpretazione delle circostanze fattuali in coerenza con le norme di riferimento, è stata confutata la tesi che prospettava I’ attribuzione ai protocolli d’intesa di una valenza meramente esecutiva, sull’assunto che il collegio dei revisori avesse già certificato in via generale e preventiva la compatibilità della spesa per trattamenti accessori – poi prorogata quanto a previsione del diritto – con i vincoli di bilancio anche per gli anni successivi, in modo tale da non consentirne una diversa valutazione per l’anno 2004.

12. Proprio la previsione di una verifica sulla compatibilità dei costi della contrazione integrativa con i vincoli di bilancio ha indotto la Corte territoriale, differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente, a ritenere la rilevanza del controllo riferito anche alle successive intese raggiunte dalle parti sull’ individuazione ed utilizzo delle risorse con cadenza annuale, non potendo sostenersi come già acquisito il diritto all’erogazione di somme pure inserite nelle voci di spesa del bilancio preventivo o strumento di programmazione approvato insieme all’Accordo integrativo.

13. Quanto alla modalità di relativa prospettazione, come da questa Corte già precisato (cfr. Cass. 19 marzo 2010, n. 6748; id. 19 marzo 2007, n. 6435), è inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, della violazione o falsa applicazione del contratto collettivo integrativo, posto che detta disposizione si riferisce ai soli contratti collettivi nazionali di lavoro, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8.

Ne consegue che l’interpretazione di tali contratti è censurabile, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. In materia di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce, invero, in una indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche violazione, da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poichè, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di una interpretazione diversa.

E’ stato al riguardo precisato che il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (pur implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (cfr. in termini, Cass. 17.2.2014 n. 3681, nonchè Cass. 3.12.2013 n. 27062, Cass. 19.3.2010 n. 6748 e, da ultimo, v. Cass. 9.6.2017 n. 14449).

14. Le censure formulate non confutano nei termini suindicati la interpretazione fornita dalla Corte territoriale, in quanto il ricorrente richiamando solo genericamente l’art. 1362 c.c., – si è limitato a prospettare una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, il che non è ammissibile (cfr. anche Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772), essendo, per quanto detto, necessario non solo l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione previste dal codice civile che si assumono violate, ma anche la specificazione dei criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, del modo in cui questi si sia da essi discostato. Quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (si veda, tra le altre, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178).

15. Anche in relazione alla prospettazione del vizio di omesso esame, le argomentazioni che si leggono nei motivi di ricorso si collocano al fuori del novero dei motivi di censura spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1 e, segnatamente, di quello di cui al relativo n. 5, secondo la nuova formulazione della norma (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 in poi e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) nell’interpretazione fornitane da Cass. a s. u. 7.4.2014 n. 8053. Peraltro, non emerge alcuna deduzione circa la decisività dei fatti asseritamente non valutati, in relazione alla rilevanza che vorrebbe attribuirsi all’inserimento dell’importo di Euro 31.000,00 nelle voci di spesa del bilancio preventivo o strumento di programmazione per il 2004 dell’ente.

16. A tanto consegue il rigetto complessivo del ricorso.

17. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

18. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per entrambe le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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