Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28451 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/12/2020), n.28451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4453-2019 proposto da:

C.R., CA.AS., CO.AN., CA.GE.,

CA.GI., C.S., C.A.,

C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIULIO DI

GIOIA;

– ricorrenti –

contro

m.m., nata il (OMISSIS) figlia e coerede di M.N. nato

il (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 62,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO OLIVA, che la rappresentata

e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI BASSO, GENNARO ALFANO;

– controricorrente –

contro

MA.MA., M.P., M.N. nato il (OMISSIS),

m.m. nata il (OMISSIS), m.m.C., ma.ma.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5000/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Pozzuoli, con sentenza n. 1075 del 2012, rigettava la domanda proposta da C.G., C.A., Co.An., C.S., C.R., C.G., C.A. e C.G. nei confronti di M.N. e M.P. volta all’accertamento dell’abuso edilizio realizzato dai convenuti, consistito in una nuova costruzione ubicata ad una distanza inferiore a quella prevista dal regolamento comunale, ritenendo non provato alcun intervento ampliativo del fabbricato verso il confine attoreo.

In virtù di gravame interposto dai C.- Co., la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza del solo M.N., rimasti contumaci gli altri eredi di M.P., con sentenza n. 5000/2018, rigettava il gravame condividendo le argomentazioni svolte dal primo giudice e, per l’effetto, confermava la sentenza impugnata.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, i C.- Co. propongono ricorso per Cassazione, fondato su un unico motivo, cui M.M. nella qualità di eredi di M.N., resiste con controricorso, rimaste intimate le altre parti.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con l’unico motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., art. 873 c.c. e della L.R. 20 marzo 1982, n. 14. In particolare, ad avviso dei ricorrenti, la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto rispettata la distanza dai confini del fabbricato M. sulla base dell’erronea individuazione della normativa applicabile al caso di specie, oltre che sul mancato esame della domanda sotto il profilo sostanziale della proiezione verticale dell’opera, per avere ritenuto la corte trattarsi di ultrapetizione.

Il motivo è privo di pregio.

Il giudice di appello ha motivato il rigetto del gravame rilevando che, l’unica difformità rilevata nel fabbricato M. era costituita dalla sopraelevazione. Sennonchè, come accertato dallo stesso giudice, l’arretramento della parte sopraelevata anche di pochi metri rispetto al limite originario del fabbricato, consentiva di ritenere rispettata la distanza che, la stessa parte al tempo attrice, aveva ritenuto essere quella prescritta dal confine (v. pag. 8 sentenza impugnata).

In particolare, il giudice del gravame, dopo aver rilevato l’impossibilità di pronunciarsi anche sulla proiezione verticale dell’opera, ha al contempo accertato che, nella specie, trova applicazione il Piano Regolatore Generale, pubblicato sul BURC n. 10 dell’11.02.2002, che fissa in metri cinque, anzichè venti (diversamente a quanto rilevato dal CTU), la distanza minima dai confini tra le proprietà per cui è causa.

Pacifico che, nella specie, vada corretta la motivazione come formulata dal giudice di appello, in quanto infondato il vizio di ultrapetizione. Infatti, come correttamente rilevato da parte ricorrente, l’operatività del generale criterio di distanza previsto dall’art. 873 c.c. trova applicazione in ogni direzione, e quindi non solo in orizzontale ma anche in verticale, ed impone conseguentemente che la costruzione rispetti i limiti nella duplice proiezione (Cass. 11 luglio 2012, n. 11723).

Sebbene ciò corrisponda ai principi affermati da costante giurisprudenza, tuttavia la Corte distrettuale alla premessa di ultrapetizione del giudice di prime cure ha fatto seguire l’affermazione che la distanza che il fabbricato M. era tenuto a rispettare, secondo la normativa applicabile ratione temporis, era di metri 5 e, nella specie, la sopraelevazione oggetto di causa rispettava il limite imposto e, dunque, risultava legittima.

D’altronde, il giudice distrettuale non ha disatteso il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui le disposizioni in materia edilizia, nell’ipotesi di successione di norme nel tempo, sono di immediata applicazione, in quanto i piani regolatori, come i regolamenti edilizi comunali, essendo essenzialmente diretti alla tutela dell’interesse generale nel campo urbanistico, prescindono dall’interesse del privato (Cass. 4 ottobre 2018, n. 24206).

Ne deriva che, se dopo la concessione della licenza edilizia sopravviene una nuova regolamentazione sulle distanze fra edifici, le nuove costruzioni devono adeguarsi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione, a nulla rilevando la legittimità dell’autorizzazione a costruire precedentemente concessa, mentre, qualora l’esercizio dello ius aedificandi abbia già avuto inizio e concreta attuazione al momento dell’entrata in vigore della nuova sopravvenuta normativa, ha rilievo l’epoca dell’inizio dell’opera e, quindi, la norma edilizia, che stabilisce distanze maggiori, sopraggiunta nel corso della costruzione anteriormente iniziata, è inapplicabile, non potendo avere efficacia retroattiva ed incidere su situazioni pregresse, neppure nel caso in cui l’esecuzione dei lavori si sia protratta oltre il termine previsto dalla licenza edilizia.

Tale principio trova la sua ratio nelle ragioni di giustizia sostanziale, in base alle quali, in caso di successione nel tempo di norme edilizie, la valutazione del carattere restrittivo dello “ius superveniens” va effettuata non in astratto, ma in concreto, verificando le conseguenze che all’edificante derivino dall’applicazione della nuova disciplina, sicchè quest’ultima, ove escluda il principio della prevenzione imponendo una distanza dal confine, non si applica al convenuto che ne risulti costretto ad arretrare il fabbricato (Cass. 25 luglio 2016, n. 15298).

Piuttosto, la Corte distrettuale ha chiaramente spiegato le ragioni per le quali, nel caso in esame, non poteva trovare applicazione la normativa individuata dal consulente tecnico d’ufficio (pag. 30 della relazione) specificando che, la distanza minima dai confini tra le proprietà di venti metri, si basava su uno strumento pianificatorio (il Regolamento edilizio del Comune di Pozzuoli) precedente all’entrata in vigore del Piano Regolatore Generale e, dunque, non applicabile.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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