Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28450 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/12/2020), n.28450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35998-2018 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO SANDOMENICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il

07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con decreto n. 1302 del 7 maggio 2018 la Corte d’appello di Napoli rigettava definitivamente la domanda proposta da C.G. intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio introdotto dinanzi al Tribunale di Benevento (Sezione distaccata di Airola) nel 2007 e definito con sentenza pubblicata il 17 gennaio 2017, affermando che non poteva essere depositata in sede di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter documentazione integrativa necessaria non depositata dinanzi al Consigliere delegato nel termine allo scopo concesso.

Per la cassazione di tale decreto il C. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo.

Il Collegio, in via pregiudiziale, stante la mancanza di difese da parte del Ministero della giustizia, rimasto intimato, proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la manifesta fondatezza del ricorso, comunicata alla parte ricorrente, disponeva con ordinanza intorlocutoria n. 3621 del 2020 la rinnovazione della notificazione del ricorso al Ministero della giustizia presso l’Avvocatura generale dello Stato, adempimento che veniva tempestivamente svolto dal ricorrente e in esito al quale il Ministero depositava controricorso, contenente anche ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.

Integrata dal relatore la proposta con riferimento al ricorso incidentale, ritenendolo infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), dell’intero giudizio, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con l’unico motivo il ricorrente principale, deducendo la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, degli artt. 2712 e 2719 c.c., oltre che dell’art. 738 c.p.c., il C. lamenta che la decisione della corte territoriale, che ha ritenuto tardiva la produzione documentale effettuata con l’atto di opposizione, nonostante il giudice designato con decreto del 03.10.2017 avesse invitato la parte ad integrare solo parte della documentazione allegata al deposito del ricorso (“rilevando la mancanza dell’attestazione di conformità, munita di sottoscrizione digitale, delle depositate copie informali agli originali analogici o alle copie autentiche degli originali analogici in possesso del difensore”), non tenga conto che solo con il provvedimento di rigetto n. 2613 del 2017 veniva evidenziato che l’invito all’integrazione comprendeva anche l’attestazione di conformità della versione informatica delle copie autentiche del fascicolo di ufficio. Aggiunge il ricorrente che nonostante la mancanza di una specifica disposizione normativa in proposito, il Collegio avrebbe considerato inammissibile la produzione non già di ulteriori elementi documentali ma unicamente nell’attestazione della conformità dei documenti già prodotti e riguardanti il fascicolo di ufficio, trattandosi peraltro di vizio che non si porrebbe sul piano della ammissibilità della domanda, bensì su quello della verifica della fondatezza del merito della medesima domanda.

Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

In primo luogo deve osservarsi che, con il decreto qui impugnato, la Corte partenopea ha soltanto deciso sulla legittimità o meno della statuizione -adottata dal consigliere designato (in composizione monocratica) – di inammissibilità del ricorso proposto ai sensi della L. n. 89 del 2001 da parte di C.G., senza tener conto della natura giuridica propriamente ascrivibile alla conseguente fase (eventuale) di opposizione instaurabile ai sensi della citata L. n. 89 del 2001, art. 5-ter e delle legittime attività di allegazione in essa realizzabili dalle parti del procedimento, con ciò obliterando del tutto la valutazione della (possibile) rilevanza dei documenti specificamente indicati nel ricorso per cassazione (e ad esso acclusi: v. pagg. 34, in cui si pone riferimento alle attestazioni di conformità degli atti analogici/cartacei estratti dal fascicolo cartaceo del giudizio presupposto).

Ebbene la giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 19348 del 2015 e Cass. n. 4142 del 2017) ha già condivisibilmente chiarito che, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo, sicchè non è precluso alcun accertamento od attività istruttoria, necessari ai fini della decisione di merito, e la parte può produrre, per la prima volta, i documenti che avrebbe dovuto produrre nella fase monitoria ai sensi dell’art. 3, comma 3, della citata legge, abbia o meno il giudice invitato la parte a depositarli, come previsto dal richiamato art. 640 c.p.c., comma 1.

Del resto, l’assimilazione dell’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter all’opposizione a decreto ingiuntivo prevista dall’art. 645 c.p.c. deve ritenersi, ormai, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 21658 del 2016; Cass. n. 20695 del 2016; Cass. n. 3159 del 2016 e Cass. n. 20463 del 2015). Da ciò consegue che – pronunciandosi solo sulla legittimità o meno del decreto di inammissibilità adottato dal giudice della prima fase monitoria (per violazione di un termine considerato improrogabile), senza considerare l’ammissibilità dei conferenti documenti prodotti con l’opposizione (tempestivamente formulata) da parte del ricorrente (la cui valutazione avrebbe consentito al giudice della stessa opposizione di poter esaminare il merito della domanda di equa riparazione) – la Corte di appello in composizione collegiale ha, illegittimamente, applicato una preclusione processuale inesistente non solo perchè non espressamente prevista, ma anche in quanto non evincibile dal sistema, il quale è ispirato ad una logica di tipo pienamente devolutivo.

E tutto ciò – si rileva ad abundantiam – trascurando, per un verso, che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, commi 3 e 4 – prescrivendo il deposito in copia autentica, unitamente al ricorso, dell’atto di citazione, del ricorso, delle comparse e delle memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; dei verbali di causa e i provvedimenti del giudice; del provvedimento che ha definito il giudizio – non stabilisce che la copia cartacea del fascicolo di ufficio del giudizio presupposto necessiti di attestazione di conformità e che, per altro verso, dal combinato disposto dei primi due commi dell’art. 640 c.p.c. – richiamati dalla più volte citata L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, – non si evince la previsione espressa di un termine perentorio ed improrogabile (nè, in caso di sua inottemperanza, un’esplicita sanzione di inammissibilità o di invalidità del ricorso), ragion per cui è ammissibile che la parte ricorrente possa produrre siffatta attestazione in sede di opposizione (come verificatosi nella concreta fattispecie) e, perciò, il giudice doveva chiarire perchè gli atti autenticati prodotti già davanti al consigliere designato (atto di citazione, comparsa di costituzione e risposta, memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 n. 1 dell’avv. Carmelo Sandomenico, memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 dell’avv. Alfonso Iannotta, memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2 dell’avv. Alfonso Iannotta, oltre a comparse conclusionali e repliche) non fossero sufficienti a decidere la causa, avendo il dovere di valutare gli atti, non potendo, automaticamente, pronunciare il rigetto, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., comma 2 della domanda per il solo fatto dell’avvenuta scadenza del termine originariamente concesso.

Per tali ragioni il motivo deve essere accolto;

– passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo ed il secondo motivo il Ministero lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 per aver Corte di merito errato nell’applicare la sospensione dei termini per il periodo feriale al termine decadenziale fissato per la proposizione della domanda di equa riparazione, trattandosi di termine sostanziale e non già processuale. Aggiunge l’Amministrazione che il diritto all’indennizzo può essere riconosciuto mediante il procedimento di mediazione, di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010. Infine, lamenta, sempre in relazione alla medesima norma, l’erronea applicazione della sospensione feriale dei termini, sostenendo la necessità di una sua interpretazione adeguatrice, in ragione della peculiare struttura che il legislatore ha dato al procedimento, che altrimenti creerebbe un’aporia del sistema.

Con il terzo ed il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile al termine de quo la sospensione feriale dei termini, senza tenere conto della riduzione a sei mesi del termine per impugnare, recata dalla modifica dell’art. 327 c.p.c.; al riguardo si deduce che, paradossalmente, potrebbe verificarsi che al termine endoprocessuale lungo di cui alla norma ora richiamata non risulti applicabile la sospensione feriale dei termini, che invece sarebbe invocabile per il termine decadenziale per la proposizione della domanda di equo indennizzo.

I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno rigettati, alla luce di quanto questa Corte ha precisato nelle sentenze n. 4675 del 2018 e n. 14493 del 2018, dai cui insegnamenti il Collegio non vede ragione di discostarsi.

Al riguardo va ricordato, innanzi tutto, il condiviso principio per cui “poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo” (Cass. n. 5423 del 2016; Cass. n. 10595 del 2016; Cass. n. 26423 del 2016).

Le argomentazioni sviluppate dal Ministero ricorrente per contrastare tale principio in parte si basano su considerazioni di politica legislativa che esulano chiaramente dalle conclusioni imposte dal tenore letterale della norma, come laddove si pretende di trarre argomenti dal dimezzamento dei termini per impugnare recato dalla L. n. 69 del 2009 (cfr. pagine 13 e 14 del ricorso); in parte rimandano a situazioni del tutto eventuali, come laddove si fa riferimento alla possibilità che al termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. possa in concreto non risultare applicabile la sospensione feriale (cfr. pag. 13 del ricorso).

Ancora va osservato che il carattere di speditezza che, a seguito della riforma, connota il procedimento in esame (con la sua strutturazione sulla falsariga del procedimento monitorio) mira ad assicurarne la sollecita definizione dopo la relativa introduzione, ma non può costituire argomento in sè idoneo ad escludere l’applicazione della sospensione feriale in relazione al diverso termine posto a monte dell’introduzione del procedimento medesimo. D’altronde, anche in relazione a procedimenti comunque connotati per l’intento del legislatore di favorire una sollecita istruzione e definizione, come ad esempio il procedimento sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c., non si è mai dubitato della necessità di dover fare applicazione della sospensione feriale, laddove la controversia esuli da quelle per le quali il legislatore abbia espressamente previsto l’inoperatività della detta sospensione.

Quanto, poi, al rilievo concernente l’accentuazione del carattere decadenziale del termine semestrale per l’esercizio dell’azione indennitaria – che il ricorrente individua nella previsione che preclude la possibilità di riproporre, nonostante il mancato decorso di detto termine, l’azione che sia stata rigettata, anche per motivi di rito (L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6) – esso non depone a favore della natura sostanziale del termine, trattandosi di conseguenza che appare rimessa essenzialmente alla discrezionale scelta del legislatore, senza direttamente incidere sul tema sostenuto nel motivo di ricorso, e che trova un richiamo anche nella disciplina di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c., non essendosi mai dubitato che i termini previsti per le impugnazioni conservino natura processuale, sebbene la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione precluda la relativa ripresentazione, pur nella perdurante pendenza dei termini previsti dalla legge.

Quanto, infine, alla possibilità di far ricorso alla procedura di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, la connotazione di tale procedura come chiaramente strumentale all’esercizio dell’azione giudiziale costituisce un argomento decisivo per escludere che sia venuto meno il carattere necessitato della procedura giurisdizionale, essendo peraltro tale carattere solo uno degli argomenti che depongono per la natura processuale del termine di cui all’art. 4 citato.

In definitiva, deve essere accolto il ricorso principale, respinto il ricorso incidentale.

Il provvedimento impugnato va, pertanto, cassato in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà a riesaminare la domanda di equo indennizzo e regolamenterà anche le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, respinto quello incidentale;

cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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