Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28450 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 07/11/2018), n.28450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12882/2013 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

D.D.M.S., P.D., P.C., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA MONTE ACERO 2A, presso lo studio

dell’avvocato GINO BAZZANI, rappresentate e difese dall’avvocato

ANDREA PENNESI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 250/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/05/2012 R.G.N. 392/2010.

Fatto

RILEVATO

1. che le odierne controricorrenti avevano convenuto in giudizio il Ministero dell’Interno per sentirlo dichiarare responsabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., della malattia (carcinoma polmonare), cui era seguito il decesso, contratta dal proprio congiunto P.M., vigile del Fuoco già in servizio presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Lodi;

2. che la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni domandati dalle odierne controricorrenti;

3. che avverso questa sentenza il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale resistono con controricorso D.D.M.S., P.D. e P.C..

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorrente con l’unico motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente, o comunque contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte territoriale affermato la sussistenza del nesso di causalità tra la malattia del P. e il servizio svolto nonostante che il CTU avesse escluso il nesso di causalità ed avesse individuato nel fumo di sigaretta l’unica causa della malattia dalla quale era derivato il decesso; deduce, inoltre, che l’errore diagnostico compiuto in occasione della visita del febbraio 2013, che aveva comportato un ritardo nelle cure che se somministrate avrebbero garantito un prolungamento dell’aspettativa di vita (da venti mesi a cinque anni), avrebbe potuto al più potuto comportare la responsabilità di esso ricorrente per aggravamento della malattia ma non per avere causato la malattia ed il conseguente decesso;

che in via preliminare deve escludersi che, diversamente da quanto eccepito dalle controricorrenti, alla mancata indicazione nel ricorso del numero della sentenza impugnata consegua la inammissibilità del ricorso, in quanto l’indicazione nel ricorso della data della pronuncia della sentenza impugnata, dell’Autorità giudiziaria emittente e del contenuto della decisione consentivano alle odierne controricorrenti di individuare, senza possibilità di equivoci la decisione oggetto di gravame (Cass. 138/2016);

che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, ed applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 7.5.2012), ricorre il vizio di motivazione omessa o insufficiente ovvero contraddittoria quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando tali elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico-giuridica, ovvero pone a base del “decisum” affermazioni del tutto inconciliabili tra loro rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (Cass. 12217/2012, 16762/2006);

che vizi di tal fatta non si riscontrano nella sentenza impugnata perchè la Corte territoriale, dopo avere rilevato che il CTU nominato nel giudizio di gravame aveva concluso che il tumore polmonare fosse da ricondurre “per l’85% dei casi al fumo di sigaretta”, ha valutato tali conclusioni alla luce della prova testimoniale evidenziando che essa aveva confermato l’esposizione del P. alle emanazioni nocive dei prodotti della combustione, l’insufficienza dei mezzi di protezione e che il fumo delle sigarette era ridotto in quanto il P. ne “consumava solo metà”;

che la Corte territoriale ha spiegato in maniera chiara, esaustiva e lineare le ragioni in base alle quali ha ritenuto provato il nesso di causalità tra la patologia contratta dal congiunto delle odierne controricorrenti e l’esposizione alle emanazioni nocive dei prodotti della combustione, ha evidenziato che in relazione al decesso era stata riconosciuta la causa di servizio in relazione al decesso e ha osservato, richiamando la letteratura scientifica; che nelle ipotesi di malattia ad etiologia multifattoriale (quale quella contratta dal P.) il nesso di causalità relativo all’origine professionale necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in via di “probabilità qualificata”;

che, a fronte di tale coerente e analitica motivazione, il ricorrente non indica un preciso fatto storico rispetto al quale la motivazione è omessa ovvero insufficiente o contraddittoria ma si limita a dedurre la inconfigurabilità del nesso causale tra contrazione della patologia che portò al decesso del congiunto delle odierne controricorrenti sul solo rilievo del suo tabagismo, per tal via sollecitando a questa Corte di rivalutare gli elementi di prova acquisiti al giudizio, compito certamente estraneo alla funzione di legittimità (Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013);

che sulla scorta delle conclusioni svolte il ricorso va rigettato;

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;

che non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. SSUU 9938/2014; Cass. 14827/2018, 28250/2017, 1778/2016).

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare alle controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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