Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2845 del 06/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2845 Anno 2018
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: CAVALLARO LUIGI

ORDINANZA
sul ricorso 21164-2012 proposto da:
LA

SALVIA

GIUSEPPE

C.F.

LSLGPP54M31L326T,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PADRE SEMERIA
33, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI
MAURO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MICHELE PETROCELLI, giusta delega in
atti;
– ricorrente 2017
4504

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Data pubblicazione: 06/02/2018

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
Avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO,
EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta delega in
atti;
– controri corrente –

di POTENZA, depositata il 13/02/2012 R.G.N. 778/2010.

avverso la sentenza n. 30/2012 della CORTE D’APPELLO

RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 13.2.2012, la Corte d’appello di Potenza
ha confermato la pronuncia di primo grado, che aveva condannato
Giuseppe La Salvia a restituire all’INPS quanto indebitamente percepito
a titolo di indennità di disoccupazione agricola;
che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Giuseppe

che l’INPS ha resistito con controricorso, illustrato da memoria;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 444
e 445 c.p.p. e 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la
prova dell’indebito discendesse dall’accertamento della falsità dei
documenti da lui presentati all’INPS per comprovare il requisito della
disoccupazione, piuttosto che accertare se egli fosse stato o meno
occupato nel periodo in questione;
che, con il secondo motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art.
112 c.p.c., per non avere la Corte territoriale pronunciato sul motivo di
appello concernente la violazione, da parte del primo giudice, dell’art.
2697 c.c., avendo la pronuncia di prime cure desunto la sua qualità di
occupato dalla falsità dei documenti presentati a corredo della domanda
di indennità di disoccupazione senza considerare le risultanze della prova
testimoniale assunta in giudizio;
che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima
connessione delle censure rivolte all’impugnata sentenza;
che questa Corte ha ormai consolidato il principio secondo cui la
sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., pur non
configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque una
ammissione di colpevolezza, sicché esonera la controparte dall’onere
della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice
di merito, il quale, ove intenda discostarsene, ha il dovere di spiegare le
ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente
responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale
ammissione (cfr. da ult. Cass. n. 3980 del 2016, sulla scorta di Cass.
S.U. n. 21591 del 2013);
che altrettanto consolidato è il principio secondo cui il vizio di omessa
pronuncia causativo della nullità della sentenza per violazione dell’art.

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La Salvia, deducendo due motivi di censura;

112 c.p.c. non si configura allorquando il giudice di merito non abbia
considerato i fatti secondari dedotti dalla parte, non concernenti, cioè,
alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie
costitutiva del diritto fatto valere, essendo integrato in tal caso il diverso
vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., nella misura in cui il giudice abbia
omesso la considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della

della fattispecie (Cass. nn. 17698 del 2011, 22799 del 2017);
che parimenti consolidato è il principio secondo cui il ricorrente, che in
sede di legittimità denunci l’omessa valutazione di una prova
testimoniale, ha l’onere, in ossequio al principio di specificità del ricorso
per cassazione, di riprodurre il tenore esatto della prova testimoniale il
cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua
integrità, in modo da permettere a questa Corte di valutarne la
decisività ai fini del decidere, essendo insufficienti i richiami

per

relationem agli atti della precedente fase del giudizio (cfr. in tal senso
Cass. nn. 4405 del 2006, 17915 del 2010 e, da ult., Cass. n. 19985 del
2017);
che, nella specie, il contenuto della prova testimoniale che la Corte di
merito avrebbe omesso di valutare non è stato riportato nel ricorso per
cassazione se non nella parte in cui ne dava atto la pronuncia di primo
grado;
che, avendo il giudice di prime cure affermato che «le testimonianze
[…] hanno rappresentato come possibile il fatto che i resistenti [sci!.:
l’odierno ricorrente e il suo litisconsorte in fase di merito] non fossero
realmente occupati nel periodo di cui trattasi», emerge comunque prima
facie

la non decisività delle testimonianze in questione, le stesse

potendo assumere rilevanza solo qualora la condizione di disoccupazione
dell’odierno ricorrente fosse stata asseverata con certezza;
che, alla stregua delle suesposte considerazioni, la sentenza impugnata
sfugge alle censure mossele;
che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle
spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in C 2.200,00, di cui C

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quaestio facti in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione in iure

2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e
accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 15.11.2017.

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