Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28448 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 07/11/2018), n.28448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6114/2014 proposto da:

VALEM SPORTWEAR S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. PORRO 18,

presso lo studio dell’avvocato JACOPO VIVALDI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANTONIO BOLOGNESE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

M.T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4250/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 21/11/2013 R.G.N. 3918/2011.

Fatto

RILEVATO

Che la corte d’appello di Lecce ha parzialmente accolto l’appello di M.T., dipendente della srl Valem Sportswear, avverso la sentenza del Tribunale di Lecce che aveva respinto le domande della lavoratrice. La corte ha escluso che il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto dalle parti in data 19.10.2006 contenesse una reale transazione, ritenendo trattarsi esclusivamente di una dichiarazione di scienza della lavoratrice, da considerarsi quale semplice “quietanza a saldo” della somma relativa al TFR spettante ed erogatale in tale sede.

Che la corte territoriale ha poi ritenuto che dovesse invece accogliersi l’eccezione di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c. e che pertanto andasse riconosciuto alla M. un credito per differenze retributive di soli Euro 4060,79, pari agli emolumenti dovuti per il periodo dal 4.8.2005 all’11.9.2006, essendo prescritti i crediti vantati per il periodo precedente.

Che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la srl Valem Sportswear affidato a tre motivi. E’ rimasta intimata M.T..

Diritto

CONSIDERATO

Che i motivi hanno riguardato: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto che la conciliazione contenesse una mera dichiarazione di scienza invece che una consapevole rinuncia della lavoratrice ad ogni ulteriore pretesa nei confronti della datrice di lavoro, tenuto conto di quanto riferito dal teste N., sindacalista UIL che aveva assistito la lavoratrice rendendola edotta della proposta transattiva della società, prima di raccogliere la sua firma per il verbale di conciliazione nella sede sindacale; 2) la violazione dell’art. 2113 c.c., comma 4, per non avere considerato la corte di merito che, trattandosi di una conciliazione avvenuta in ambiente sindacale e quindi protetto, non poteva applicarsi la disciplina relativa all’impugnazione delle rinunce e transazioni ai sensi dei primi tre commi dell’art. 2113 c.c.; 3) la violazione dell’art. 416 c.p.c., per avere la corte di merito erroneamente ritenuto che la convenuta non avesse eccepito, nella memoria di costituzione di primo grado, la decadenza dall’impugnativa della transazione ai sensi dell’art. 2113 c.c., impugnativa che la M. avrebbe dovuto effettuare entro il termine ivi prescritto di sei mesi. Per la società ricorrente tale contestazione sarebbe invece contenuta proprio nell’eccezione di intervenuta conciliazione sindacale, sollevata con la memoria di costituzione di primo grado.

Che sono infondati i primi due motivi che possono esaminarsi congiuntamente, essendo connessi.

Questa corte ha più volte rilevato che ai fini della qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e che pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale. Nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili invece gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto soltanto quando per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (cfr. Cass. n. 729/2003, Cass. n. 9120/2015, cass. 18094/2015).

Che spetta al giudice di merito qualificare il documento sottoscritto dalle parti come transazione e non come semplice quietanza liberatoria, avuto riguardo agli elementi di fatto presi in considerazione, derivanti sia dal documento sia da altre specifiche circostanze desumibili aliunde, elementi che ove esaminati correttamente con motivazione esente da vizi, non possono essere rimessi in discussione in questa sede.

Che nel caso in esame la corte di merito ha rilevato che, sebbene le parti avessero siglato una transazione presso la sede sindacale IUTAL – UIL e che l’accordo era stato siglato anche dal rappresentante sindacale, la lavoratrice aveva accettato esclusivamente il pagamento del TFR ed a fronte di tale pagamento aveva dichiarato di non avere più nulla a pretendere dalla ditta, ritenendo “transatte e rinunciate tutte le azioni”, in particolare non avendo la M. espresso alcuna volontà di volersi privare di diritti specifici e determinati o determinabili.

Come ha statuito questa corte (cfr Cass. n. 20780/2007) per poter qualificare come atto di transazione l’accordo tra lavoratore e datore è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicchè, ove manchi l’elemento dell'”aliquid datum, aliquid retentum”, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile. Nel caso in esame la lavoratrice a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro, non ha ottenuto null’altro che il TFR, diritto che le era già riconosciuto per legge.

Che a nulla rileva, peraltro, che la transazione sia stata effettuata in sede sindacale atteso che, perchè possa applicarsi l’art. 2113 c.c., comma 4, che esclude la possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali, deve pur sempre trattarsi di un atto qualificabile come transazione e non di una mera quietanza liberatoria.

Che, rimanendo assorbito il terzo motivo, il ricorso deve essere respinto. Nessuna pronuncia sulle spese, essendo la M. solo intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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