Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28446 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. I, 22/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5789/2009 proposto da:

A.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso l’avvocato EMANUELE MERILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato TURRA’ Sergio, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

08/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato, depositato l’8/5/2008, la Corte d’appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e Finanze al pagamento a favore di A.M. della somma di Euro 9277,00, a titolo di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, per la durata irragionevole del giudizio promosso avanti al Tar Campania dal ricorrente nei confronti della Regione Campania, per ottenere l’annullamento del D.P.G.R. 30 giugno 1992, n. 9188, nonchè di altri atti amministrativi prodromici e/o consequenziali, promosso con ricorso depositato il 5/10/92, e non ancora definito alla data dell’udienza nella quale la Corte si era riservata la decisione del ricorso ex L. n. 89 del 2001 (20/2/2008).

La Corte territoriale, ritenuta la durata ragionevole del giudizio presupposto in anni tre, ha riconosciuto per il danno non patrimoniale la somma di Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, dal 5/10/95 al 20/2/08, avuto riguardo alla negligenza della parte che non aveva presentato istanza di prelievo, al non rilevante valore della causa ed alla natura della stessa, ed ha compensato le spese di lite, in applicazione del principio di causalità, considerato che l’Amministrazione non aveva in alcun modo provocato le spese stesse.

Ricorre l’ A. sulla base di tre motivi.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, in relazione alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e successive modifiche, ed all’art. 117 Cost., in ordine alla quantificazione operata dalla Corte d’appello in Euro 750,00 per anno di ritardo.

1.3.- Con il secondo motivo, si duole dell’omessa ed insufficiente motivazione, in relazione alla motivazione addotta dalla Corte napoletana a fondamento della determinazione dell’entità della liquidazione, generica e non esaustiva.

1.3.- Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per essere stata operata la compensazione in violazione di legge.

2.1.- I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente collegati e sono da ritenersi infondati, atteso che la Corte d’appello ha liquidato un indennizzo in linea con i parametri stabiliti dalla CEDU. Come affermato nella recente pronuncia 1359/2011, conforme alla precedente 14753/2010, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione elaborati da quella Corte per i casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione. Relativamente al caso di specie va considerato che, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, conv. nella L. n. 133 del 2008, – a norma del quale “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2″ – questa Corte aveva statuito che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, andasse riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, la cui mancata o ritardata presentazione può incidere unicamente sulla determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante, con riferimento all’art. 2056 c.c., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28507; Cass. 12 ottobre 2005, n. 19801; 12 ottobre 2005, n. 19804; 22 gennaio 2008, n. 1365). Ciò in quanto l’istanza di prelievo, prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2 (e richiamata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 19) con lo scopo di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata rispetto agli altri pendenti sul ruolo, non costituisce adempimento necessario, ai fini dello svolgimento del processo amministrativo e la CEDU ha più volte rilevato, nella sua giurisprudenza, che in base all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nel calcolo del periodo di ragionevole durata del processo non possa avere influenza l’omissione o il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto quell’omissione o quel ritardo non sospendono nè differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda proposta. Tale indirizzo giurisprudenziale ha ricevuto sostanziale avallo dalla CEDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi c. Italia), la quale, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010;

Falco et autres c. P Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quello di mille Euro annui normalmente liquidato, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue.

Quanto al caso di specie va considerato che il D.L. n. 112 del 2008, pur disponendo per il futuro (Cass. 28 novembre 28428; 10 ottobre 2008 n. 24901), evidenzia e da rilievo legislativo alla circostanza che nei giudizi amministrativi l’istanza di prelievo, nella prassi, ha da lunghissimo tempo assunto una funzione di segnalazione al giudice del permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, molte volte venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione, quali atti di autotutela o sanatorie. Con la conseguenza che la sua mancata presentazione ha finito con il costituire ìndice, quanto meno, di scarso interesse alla causa”.

Il decreto impugnato, nel liquidare un indennizzo di Euro 750,00 Euro per ogni anno di ritardo, ha motivato la liquidazione di tale importo considerando che si trattava di giudizio dinanzi al TAR Campania; che non era stata presentata istanza di prelievo; che ciò, pur non facendo venir meno il diritto all’indennizzo, era espressione di scarso interesse alla sollecita decisione del giudizio, che comportava una riduzione dell’ordinario indennizzo. Nell’ambito di tali principi, pertanto, la liquidazione effettuata nel decreto impugnato non appare in contrasto con la normativa di riferimento, nè inadeguatamente motivata, con il conseguente rigetto dei motivi in esame.

2.2. Il terzo motivo è inammissibile per mancanza del quesito di diritto.

Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, abrogazione efficace nei confronti di pronunce pubblicate o depositate successivamente alla data di entrata in vigore di detta legge, allorchè il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, “deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta-negativa o affermativa- che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame” (così la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza n. 2658 del 2008).

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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