Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28441 del 07/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2018, (ud. 31/05/2018, dep. 07/11/2018), n.28441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3826-2013 proposto da:

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

R.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 810/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/09/2012 r.g.n. 350/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale della Spezia che, in accoglimento della domanda proposta dal geom. R.S. nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, aveva dichiarato il diritto del ricorrente, per il periodo di svolgimento di mansioni superiori, a percepire D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52 le differenze retributive tra il trattamento economico di istruttore tecnico (posizione B3 super) e quanto spettante per le mansioni di funzionario tecnico (posizione C1).

2. A fondamento del decisum, la Corte territoriale ha svolto le seguenti considerazioni:

a) come condivisibilmente affermato dal Giudice di primo grado, dalla “copiosa documentazione prodotta” è emerso che il ricorrente aveva svolto in modo pressochè esclusivo le funzioni di funzionario tecnico e responsabile unico del procedimento (RUP), previsti dalla declaratoria contrattuale della qualifica C1; “tali attività determinavano direzione lavori, progettazione, responsabilità del procedimento e coordinamento del personale addetto”; si tratta di mansioni caratterizzate da complessità, consistendo anche in lavori di nuova costruzione con annessi impianti o rifacimento di impianti o in importanti lavori di impiantistica;

b) irrilevante è la circostanza che il geom. R. appartenesse ad una struttura organizzata in modo piramidale e diretta l’ing. M., circostanza che non contraddice l’autonomia propria delle mansioni esercitate; del pari irrilevante è il fatto che il reparto della Spezia non avesse autonomia contabile e organizzativa, rilevando soltanto il contenuto delle mansioni svolte dal ricorrente;

c) a fronte della prova documentale il Ministero non aveva dedotto quali sarebbero state diverse e inferiori mansioni svolte in via prevalente dal geom. R.;

d) gli incentivi percepiti nel corso del rapporto di lavoro costituivano una voce autonoma, di fonte legale (L. n. 109 del 1994, art. 18, recanti gli incentivi per la progettazione in vigore sino al 31 dicembre 2005 e successivamente il D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 126 e segg.), ulteriore rispetto alla retribuzione corrispondente alle mansioni svolte.

3. Per la cassazione di tale sentenza il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha proposto ricorso affidato a due motivi. Il R. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 3, e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dalle allegazioni documentali della controparte non è possibile evincere la continuità e la prevalenza delle asserite mansioni superiori rispetto a quelle di appartenenza, in relazione al grado di responsabilità assunto e dell’impegno in termini qualitativi e quantitativi. Sostiene che la controparte si era limitata ad allegare una serie di atti ministeriali dai quali non è possibile alcun modo evincere la continuità nè la prevalenza delle asserite mansioni superiori svolte rispetto a quelle di appartenenza.

2. Con il secondo motivo denuncia “vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 4” per avere la Corte di appello omesso di esaminare l’eccezione riproposta dall’Amministrazione in sede di gravame intesa a ottenere l’espletamento della prova per testi, omissione non ha consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio diritto di difesa.

3. Il ricorso è infondato.

4. Va premesso che la Corte territoriale ha accertato, sulla base della documentazione esaminata, che il R. aveva svolto, nel periodo dedotto in giudizio, funzioni di responsabile unico del procedimento (RUP), di direzione dei lavori, di direzione operativa e di coordinamento di fase di progettazione, di formazione e di aggiornamento ed ha espressamente qualificato tali compiti come propri della figura di funzionario tecnico e responsabile del procedimento previste dalla declaratoria contrattuale della qualifica C1, stante il livello di autonomia e di responsabilità insito nei compiti accertati alla stregua della documentazione agli atti. Ha pure aggiunto che la prova documentale consentiva di affermare che i lavori erano caratterizzati da complessità (lavori di nuova costruzione con annessi impianti o rifacimento di impianti o in importanti lavori di impiantistica).

5. Tanto premesso, è infondata la censura vertente sulla presunta erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta della declaratoria contrattuale di appartenenza in luogo di quella superiore rivendicata. Tale censura è, difatti, sostanzialmente incentrata su una diversa ricostruzione degli elementi di fatto, a sua volta prospettata come accertabile mediante l’assunzione di prova testimoniale, alla quale i Giudici di merito non avevano dato ingresso.

5.1. Al riguardo, va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

5.2. Va pure osservato che costituisce accertamento di fatto, di competenza del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato, l’indagine relativa alla verifica giudiziale del livello di complessità delle mansioni svolte dal lavoratore e al grado di autonomia e di responsabilità proprio delle attività esercitate.

6. Quanto poi alle censure per vizi di motivazione di cui al secondo motivo, le doglianze del ricorrente non vertono su errori di logica giuridica, ma denunciano un’errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una diversa qualificazione dei fatti e del livello di complessità delle mansioni, con l’inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).

7. Anche le censure che involgono il mancato esercizio dei poteri istruttori sono infondate. E’ ben vero che, nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte (cfr. Cass. n. 18410 del 2013); ciò si traduce, in tema di acquisizione probatoria, nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito – da qualunque parte processuale provenga – con una valutazione non atomistica, ma globale, nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova (cfr. Cass. n. 21909 del 2013). Tuttavia, la maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito non interferisce direttamente sulle regole che presiedono all’esercizio del potere istruttorio d’ufficio (artt. 421 e 437 c.p.c.).

8. Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 5654 del 2017, n. 4980 del 2014, n. 5377 del 2011, n. 4369 del 2009, n. n. 11457 del 2007).

8.1. Dall’esame delle parti dell’atto d’appello estrapolate e trascritte nel ricorso per cassazione (pagg. 4 e 5) risulta non solo il difetto di trascrizione dei capitoli di prova formulati in primo grado dai quali potere evincere eventuali fatti decisivi che avrebbero potuto comportare una diversa decisione nel senso sopra chiarito, ma il solo svolgimento di argomentazioni difensive di mera contestazione agli assunti avversari, unitamente a generiche affermazioni relative al difetto di prova delle concrete mansioni svolte, del grado di autonomia rivestito e del livello di responsabilità connesso alle mansioni stesse.

9. Il ricorso va dunque rigettato. Nulla per le spese, stante la mancanza di attività difensiva di parte intimata.

10. Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016, n. 23514 del 2014, n. 5955 del 2014). Il contributo unificato, come precisato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9840 del 5 maggio 2011 sulla scia di quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 73 del 2005, ha natura tributaria e tale natura conserva anche relativamente al raddoppio, previsto dal citato L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 che ha introdotto il comma 1-quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 atteso che la finalità deflattiva e sanzionatoria della nuova norma non vale a certamente modificarne la sostanziale natura di tributo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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